Cerca nel sito



 


archivio > Biografie>Ottorino Perrone: una pagina della battaglia rivoluzionaria (il programma comunista, n.21, 1957)

aggiornato al: 07/02/2008

il programma comunista, 8-25 novembre 1957

Per ricordare Ottorino Perrone, in questa sezione che si vorrebbe occupare delle "biografie" di militanti della sinistra comunista italiana, cosa di meglio che riproporre quanto su di lui scrisse su «il programma comunista» Amadeo Bordiga. Un ricordo "a caldo" di fronte alla morte improvvisa non solo di un compagno ma di quello che fu, forse, il miglior amico di Bordiga degli anni dopo la seconda guerra mondiale.

Dopo lo scritto di Bordiga, abbiamo inserito anche un breve ricordo di Perrone da parte di Antonio Natangelo, altra colonna della sinistra comunista italiana.

Sia su Ottorino Perrone che su Antonio Natangelo ci ripromettiamo di ritornare prossimamente.

 

 

* * * * *

 

OTTORINO PERRONE: una pagina della battaglia rivoluzionaria

 

Ottorino Perrone, che la morte ha falciato a Bruxelles il 17 ottobre scorso, appena sessantenne, non avrebbe mai chiesto  che si «commemorasse» la sua persona. Aveva dato non per ricevere: la sua vita faceva tutt'uno coi destini della dura battaglia rivoluzionaria.

Ricordarlo - dopo le brevi, angosciate parole che, al primo annunzio della sua scomparsa, gli abbiamo rivolto dal giornale e, a Bruxelles, durante i funerali - non è dunque per noi né un obbligo formale, né un compito da cronisti; è continuare la sua lotta al di là dei limiti della sua esistenza fisica e ricordare soprattutto ai giovani una pagina luminosa di quella battaglia in cui gli scomparsi non sono meno vivi - e spesso sono più vivi - dei rimasti, affinché vi attingano ancora una volta la certezza e l'entusiasmo che ne sono il patrimonio intangibile.

Non è una biografia, questa: è la pallida, accorata rievocazione di un momento della lotta comune; un ricordo come solo possono concepirlo i rivoluzionari - per guardare avanti, dove egli non ha mai cessato di guardare.

 

Ardenti giovanili consegne della vecchia sinistra

Al Congresso di Livorno del 1921 Ottorino era un ragazzo di vent'anni e con la totalità della gioventù socialista del tempo venne con noi. Serratiani e turatiani ci misero in minoranza, ma li lasciammo senza giovani.

Di Ottorini avevamo una generazione intiera, illuminati, semplici ardenti, e con loro ci educammo a nulla mai chiedere di personale, a dare senza farsi notare né applaudire il poco o il molto che si aveva in corpo.

Sul terreno delle tesi di sinistra votate quasi unanimemente al II Congresso di Roma del 1922, marzo, Ottorino era con tutta l'anima dalla parte del Comitato Esecutivo. Propagandista ed organizzatore instancabile, fu scelto come uno dei cinque ispettori dell'organizzazione o segretari interregionali. Quando nel 1922 al Congresso di Mosca fu decisa contro il parere dell'Esecutivo e della maggioranza del partito la fusione coi cosiddetti terzini che si erano staccati dai massimalisti, e il vecchio Comitato trasmise la direzione del Partito ai centristi ligi alla tattica dell'Internazionale, Ottorino conservò il suo incarico con la stessa attività e dirittura.

Per la preparazione del IV Congresso internazionale di Mosca il Partito tenne (si era in pieno fascismo) una conferenza illegale nella regione dei laghi lombardi magnificamente organizzata e riuscita. Ottorino fu l'anima della corrente di sinistra oltre che uno dei più attivi organizzatori tecnici. Quella conferenza fu l'ultimo esempio della possibilità di consultare rettamente un partito di veri rivoluzionari, di troppo forti tradizioni perchè si inaugurassero le manovre e le pastette che poi intossicarono tutto. La Centrale aveva in mano tutto il partito da due anni quasi. Non è il momento di dire del duello polemico: bastano le cifre sulla votazione. Su nove membri della Centrale, uno per la sinistra, quattro per il centro, 4 per la destra, 1 astenuto. Su cinque segretari interregionali (funzionari, ma dalle schiene diritte): 4 per la sinistra, 1 per il centro. Su 44 segretari delle federazioni provinciali: 35 per la sinistra, 4 per la centrale, 5 per la destra. Delegato della federazione giovanile: per la sinistra. Il Partito votò contro chi pagava.

La Centrale «bolscevizzatrice» si fece battere perfino dalla destra!

Gli occhi di Ottorino luccicavano come carboncini. Egli organizzò la scena di addio, non dimenticabile forse nemmeno da chi è finito nel molle. Si fingeva di essere la maestranza di un'officina in ferie per dono del padrone. Al pranzo di chiusura Antonio fu obbligato a recitare la parte: Amadeo rispose come capo del personale e grandi inni si levarono alla collaborazione nell'azienda. Ottorino recitando anche lui la parte seria si sbellicava dentro di sé dello scherzo satirico agli ordinovisti: ci si voleva schermire, ma ci fece tacere: bisognava fare la parte «pour la conspiration».

Non si sa se si arrabbiò di più Mussolini o Zinovief.

Si andò a Mosca e lì cominciò il lavoro al rullo compressore sui sinistri, previa saponata di prima classe agli imbelli capi centristi. Ottorino, lavorato come gli altri prima che si sapesse che era degli extra-duri, era indignato ed amaro sotto l'allegria che mai lo lasciava. Sotto il sorriso il suo cuore fanciullescamente semplice si lacerava ad ogni defezione di qualche vecchio sinistro che, nascondendosi dietro i tavoli della commissione italiana e del congresso, mollava gli ormeggi.

Con un numero sempre minore di fedeli alla vecchia rozza bandiera di Livorno Ottorino condusse la stessa lotta, naturalmente non più ispettore del partito, per il Congresso di Lione del 1926 in preparazione dell'Esecutivo allargato di Mosca del febbraio-marzo. La sinistra era ancora maggioranza; non vi fu che qualche altra sorda capitolazione, e del resto non era necessaria la manipolata cifra maggioritaria perchè i sinistri rifiutassero ogni partecipazione alla centrale e corresponsabilità al rovinoso indirizzo dell'Internazionale. Ottorino lavorò come un negro durante il Congresso sui documenti della sinistra, che un giorno ripubblicheremo; o pubblicheremo la prima volta perchè tutto era illegale. Si conviveva in una casa francese clandestina, e fino al penultimo giorno da amici. L'ultimo giorno lui ci disse: basta, costoro non sono più compagni, hanno presa la strada della controrivoluzione. Gli demmo ragione. I due gruppi, quelle ultime ore, dopo la dichiarazione finale di rifiuto di due posti nel Comitato Centrale, e dopo la negativa più feroce alla pretesa di fare ammende e riconoscere errori, le passarono senza scambiarsi parola.

Sono trent'anni e i nomi dei neri e magari dei bianchi contano poco e si possono scordare. Non scorderemo che Ottorino era di quei pochi che hanno in mano la bussola sicura del nord della rivoluzione. Mai seppe cosa fosse livore personale o rancore.

 

La seconda ma sempre la stessa battaglia

Con questa bussola, riparato, dopo una memorabile fuga-beffa dai fascisti che lo tallonavano a Milano, prima a Parigi, poi a Bruxelles, Ottorino inizia nel 1927 e prosegue ininterrottamente fino alla seconda guerra mondiale (e, nel corso di questa, per vie sotterranee), la battaglia internazionale, la seconda battaglia della Sinistra. La sua vita è da allora in gran parte la storia del giornale «Prometeo», della rivista «Bilan» (dal 1933) e della costituzione delle Frazioni belga e francese della Sinistra Comunista Internazionale, primi nuclei di quelli che sono oggi i gruppi d'oltre Alpe di un Partito che per definizione non ha confini.

I vecchi compagni che hanno partecipato a quella lotta, i giovani che si sono formati alla sua scuola, se si guardano indietro e cercano di ricostruire, al di là dei suoi inevitabili aspetti caduchi, il nocciolo duro e permanente di una attività condotta con la fermezza, il fuoco, il sacro furore proletario contro l'opportunismo, la spontanea e sorridente dedizione che chiunque abbia conosciuto «Vercesi» non separerà mai dal suo ricordo, non hanno difficoltà a ritrovarlo. E' il nocciolo che fa dire ai vecchi compagni italiani di esilio: «Avremmo durato senza quella bussola sicura?»; che fa scrivere ai compagni francesi e belgi: «Senza quella bussola, noi non saremmo».

Nella bufera degli anni che dal trionfo dello stalinismo sull'Opposizione russa nel 1926 corrono sanguinosi fino al secondo massacro mondiale e oltre, fra gli sbandamenti che travolgono un po' tutti, l'ago della bussola punta fermo ed invariabile al polo della strategia internazionalista e rivoluzionaria. E' il periodo della grande virata dell'Internazionale di Mosca: il passaggio a vele spiegate - ma per un processo complicato e non sempre e non a tutti evidente - nel campo della democrazia, dell'antifascismo borghese, dei fronti popolari, e quindi della preparazione dell'edizione numero due - più infame, più perniciosa - dell'unione sacra di guerra. L'Internazionale stalinizzata fa sue le parole d'ordine già ferocemente smascherate dalla III Internazionale di Lenin; nello smarrimento dell'ora, gruppi sparsi di oppositori, lo stesso Trotzky, si allineano sul fronte della difesa dell'URSS e dell'antifascismo. Fermamente, senza esitare «Bilan» martella su queste due posizioni obiettivamente convergenti, nell'atto stesso in cui solidarizza appassionatamente con la «vecchia guardia» massacrata e dispersa.

Incendio del Reichstag: lo stalinismo versa lacrime sul pantheon parlamentare distrutto, difende i propri titoli democratici, abbandona alla sua sorte il «responsabile» vero o presunto dell'attentato, pone la sua candidatura all'ingresso nell'Internazionale antifascista. «Bilan» non ha lacrime da versare sulle macerie del parlamento tedesco, denunzia la proditoria «svolta» democratica, difende - esso il rappresentante di una corrente che non ha mai patrocinato la violenza individuale, ma sa storicamente spiegarla - Van der Lubbe come il PC d'Italia difese, contro la canea ipocrita dei difensori dell'ordine costituito, i responsabili dell'attentato anarchico al Diana. Parallelamente, lo staffile cade sui socialisti austriaci della Comune di Vienna, fattisi «estremisti» in una situazione disperata, che esclude ogni prospettiva di vittoria dopo essere stati immutabilmente legalitari e ministerialisti in fase di marea rivoluzionaria montante, o sulla borghesia spagnola che reprime nel sangue, sguinzagliando contro gli operai le truppe marocchine, la rivolta proletaria delle Asturie.

L'URSS entra nella Società delle Nazioni (ci soffermiamo su episodi staccati che tuttavia segnano altrettante pietre miliari nell'evolvere delle situazioni storiche e, insieme, della battaglia  cui Ottorino ha legato il suo nome): la diagnosi è confermata, lo stalinismo si è definitivamente inserito nel gioco dei contrasti imperialisti intrecciantisi nel «covo dei briganti» ginevrini e si prepara alla violenta liquidazione delle residue resistenze rivoluzionarie in Russia. Non può più essere questione di una neppur ipotetica frazione di sinistra dell'Internazionale; o di qua o di là; o con loro o sul filo della tradizione rivoluzionaria marxista che va contro di loro.

Guerra di Spagna. I movimenti proletari del 1936 e 1937 sono lucidamente diagnosticati come episodi di classe inconclusi non solo per l'inesistenza di una situazione rivoluzionaria, ma per una situazione internazionale che volge non nel senso della ripresa classista, bensì in quello della seconda guerra mondiale fra gli Stati, e quindi non genera né può generare dal suo seno la forza di guida, il Partito... Alle spalle delle armate repubblicane sta, ben saldo, lo Stato borghese rivestitosi democratico-antifascista; su scala internazionale, il proletariato, sotto la guida della duplice direzione controrivoluzionaria socialdemocratica e staliniana (siamo in piena orgia di fronti popolari e di grandi «purghe»), invoca l'intervento armato degli Stati occidentali in difesa della democrazia minacciata, e si accoda ad essi. L'originaria spinta elementare di classe è stata prontamente diretta su un binario anti-classe; sulla piazza d'armi spagnola si prepara la mobilitazione antifascista degli operai di tutto il mondo per quello che sarà un nuovo, spaventoso macello. Il moto rivoluzionario proletario, se deve risorgere, risorgerà contro i manipolatori della generosa rivolta spagnuola.

Sono tre episodi quelli che abbiamo scelto; ma sono episodi cardinali. La Sinistra non più soltanto «italiana» non ha perso la bussola, non è caduta nelle suggestioni che, ad esempio, precipitano i «trotzkisti» nell'equivoco dell'antifascismo e della difesa dell'URSS e nel «noyautage» dei partiti socialisti; ha invece indicato uno stabile punto di riferimento ai proletari che, in altri gruppi di opposizione, cercano la via della ripresa. E' su questa linea di demarcazione che giovani militanti trotzkisti o, in genere antistaliniani aderiscono alla Frazione belga; ma non solo su questa. La ferma bussola del marxismo determina infatti la posizione di «Bilan» anche di fronte al problema della riorganizzazione internazionale delle forze rivoluzionarie; esclusa ogni prospettiva di risanamento dei partiti legati a Mosca e, peggio ancora di spostamento a sinistra di forze inquadrate in organizzazioni pre-comuniste (socialdemocratiche di varia tinta), bollato lo sterile, anzi rovinoso gioco delle improvvise alleanze e delle precipitose fusioni: insomma respinto il bagaglio del «trotzkismo» di allora così come la III Internazionale di Lenin e, con rigore ancor più conseguente, la Sinistra italiana avevano fermamente respinto analoghe manovre in quanto disgregatrici - di là da qualunque «buona intenzione» - delle forze rivoluzionarie; la ricostruzione dell'Internazionale comunista è legata - anche qui in netta contrapposizione al trotzkismo, la cui influenza in Francia e in Belgio era allora sensibile e ha lasciato tracce che spiegano la nostra insistenza sulla linea di demarcazione tracciata nei suoi confronti dai pochi, incrollabili compagni riuniti intorno a «Bilan» - non alla volontà disordinata di minoranze per giunta eterogenee, ma ad una nuova crisi storica del capitalismo. Era così opposto un argine alla rovinosa impazienza e all'agitazione convulsa di gruppi ed organizzazioni  non ancorate alla visione dei grandi archi storici, propria del marxismo, e oscillanti  sull'onda delle alternative di riflusso e di avanzata del moto proletario.

Opposizione inflessibile di una strategia di classe all'antifascismo dilagante; difesa dell'internazionalismo in tutte le sue implicazioni strategiche e tattiche contro la guerra democratica come contro la guerra fascista, e contro la posizione trabocchetto della «difesa dell'URSS»; riaffermazione della concezione marxista del rapporto fra partito e classe contro le mille varianti dell'operaismo; difesa del metodo di selezione delle forze del partito rivoluzionario consegnato nelle tesi costitutive della III Internazionale e in quelle del PC d'Italia del 1921 e del 1922 contro la tattica delle alleanze e delle fusioni, e relativo commercio di principi e metodi organizzativi; diffusione dei testi fondamentali della Sinistra Italiana in ambienti dove essi, malgrado le storiche battaglie in seno al Comintern, erano e sarebbero a lungo rimasti sconosciuti (citiamo dalle collezioni, fra l'altro le Tesi di Roma, Partito e Classe, Il principio democratico, I problemi dell'organizzazione comunista), insieme con la riaffermazione di quella che oggi chiameremmo «l'invarianza del marxismo» (articolo di Ottorino «I principi, armi della rivoluzione»); sono questi gli apporti permanenti di «Bilan», le basi sulle quali si costituiranno nel 1936 la Frazione belga e nell'immediato dopoguerra, sia pure con qualche incertezza iniziale, la Frazione Francese. La continuità teorica ed organizzativa aspramente difesa in Italia trovò così il suo organo di costante proclamazione su scala internazionale, fermissimo nell'orientamento generale, saldo nel turbine di contingenze mai accolte come sorprese. mai prese a pretesto di rinunzie, patrimonio invariabile del futuro Partito Mondiale della rivoluzione comunista.

 

«Il programma comunista», n. 21, 8-25 novembre 1957

 

 

Completiamo il ricordo di Ottorino Perrone con questo breve scritto di Antonio Natangelo.

 

Battaglie di altri tempi

 

Fra le lettere che abbiamo ricevuto in ricordo di Ottorino Perrone nessuna poteva essere più calda e vibrante di quella di Antonio Natangelo vecchio organizzatore metallurgico.

Egli non ha dimenticato i tempi in cui a Milano il comitato sindacale centrale comunista era diretto dalla Sinistra e in particolare dal suo segretario Ottorino; i tempi in cui si trattava di difendersi non solo dal disfattismo socialdemocratico, ma dall'attacco fascista nella duplice veste dello squadrismo bastonatore e del subdolo sindacalismo che presentava le sue liste nelle elezioni per le commissioni interne e brigava per conquistare le roccaforti proletarie nelle fabbriche; i tempi in cui gli organizzatori sindacali rossi conducevano «uniti fraternamente nella loro fede» una battaglia su più fronti, e, malgrado tutto, si beffavano del bestione dominante (all'ultima elezione per le CI, la lista comunista ottenne una maggioranza schiacciante: era alla direzione sindacale la Sinistra, ma lo stesso Profintern dovette inviarle il suo plauso). Ma c'è nella lettera, un episodio che mette conto di riportare tale e quale - come dice Natangelo - soprattutto per i giovani.

 

«Dopo il Congresso di Lione del 1926 noi della sinistra non accettammo le false impostazioni date alla lotta proletaria: già vedevamo che, come purtroppo dovevano dimostrare i fatti, sarebbe stato necessario ricominciare daccapo: i partiti erano divenuti gli strumenti diplomatici dello Stato russo, e questo stava scivolando sempre più nelle braccia della borghesia internazionale.

Ebbene, a Milano, il compianto Ottorino era rimasto segretario del Comitato sindacale, di cui facevo parte anch'io come rappresentante dei metallurgici, e, siccome egli era infermo e abitava in una camera ammobiliata in corso Garibaldi, le riunioni si tenevano in camera sua. Povero Ottorino, aveva avuto un attacco polmonare , e buttava catinelle di sangue!

Quella sera, Germanetto e altri gli consegnarono, noi presenti, il deliberato della centrale del partito: O accettare gli ordini o dar le dimissioni. Come sempre, noi della Sinistra accettammo le nostre responsabilità, e Ottorino rispose per tutti: "La Sinistra non gioca la sua funzione storica contro lo stipendio: non accettiamo l'ultimatum". La sera stessa, fra lo stupore del vecchio Serrati, che pur faceva parte del comitato sindacale e non riusciva a capacitarsi che vigessero "metodi come neanche i borghesi userebbero", gli furono tolte tutte le cariche, e gli fu ... dato il benservito. Ma non ci fu ombra di rimpianto, in  Ottorino: la battaglia doveva essere condotta a qualunque costo. Poco dopo i fascisti gli saccheggiarono la casa; egli e il cognato se la svignarono per i tetti, e ripararono all'estero. Fu l'ultima beffa che il sempre sorridente ed entusiasta «Vercesi» poté concedersi in Italia. E cominciò la dura vita della emigrazione.

Altri tempi, altre battaglie. Ma Ottorino non aveva conti da presentare: ha combattuto ed è morto sulla breccia, la stessa di trent'anni fa. Non lo dimenticheremo».

 

«Il programma comunista», n. 2 , 22 gennaio - 5 febbraio 1958