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archivio > Biografie>Riccardo Salvador (1900 - 1993) Note biografiche e scritto

aggiornato al: 17/03/2009

Riccardo Salvador (1900 - 1993)

Riccardo Salvador (1900 - 1993)

 

 

Riccardo Salvador nasce a Piovene Rocchette, in provincia di Vicenza, il 21 novembre del 1900, primo di sette fratelli. A 12 anni è già in fabbrica, operaio alla Lanerossi. Dopo la prima guerra mondiale ed il servizio militare (sarà congedato nel 1922) va a Milano dove lavora in varie fabbriche ma dove soprattutto aderisce (1923) al Partito Comunista d'Italia. Nel 1924 subisce una aggressione fascista ed entra a far parte dei "gruppi sportivi" del P.C.d'Italia, l'organizzazione di autodifesa del Partito. E' in questo periodo che conosce Repossi, Fortichiari, Gramsci, Togliatti, Damen e Tresso. Riguardo a quest'ultimo scriverà in un ricordo pubblicato nel libro di Paolo Casciola e Giorgio Sermasi, Vita di Blasco (Odeonlibri ISMOS 1985): «Ho conosciuto Pietro Tresso a Milano nel ristorante gestito da Nicola, ritrovo di molti compagni del partito e in particolare di quelli che erano stati costretti ad abbandonare i luoghi d'origine perché presi di mira dalle squadracce fasciste. Eravamo nel 1924. (...) Gli ci vollero quattro anni per capire lo stalinismo e con esso il partito quale esso era effettivamente diventato agli ordini della Russia termidoriana del capitalismo di Stato. (...) Si ancorò ad un antistalinismo trotzkista che reputo errato. (...) Lo ricordo con stima e rispetto».

E' in questi anni, dopo aver partecipato alla conferenza internazionale di Basilea del gennaio 1928 ed essere rientrato poi in Italia (e nella clandestinità con il nome di Mario Lovati) che si lega alla sinistra.

Ricorderà, in una lettera della metà degli anni ottanta, che è testimonianza di una dirittura morale e di una onestà che per lui faceva tutt'uno con il suo essere comunista, quanto succedeva nel Partito comunista d'Italia nell'imminenza del congresso di Lione:

«Eravamo alla vigilia del congresso di Lione. L'Unità, s'era detto dal centro, doveva aprire le sue pagine a quei compagni che avevano delle ragioni politiche da esporre. Io sapevo invece che gli articoli inviati dai compagni della Sinistra non venivano pubblicati. Colsi così l'occasione dopo una sottoscrizione fatta in fabbrica (la Cerutti macchine utensili) dalla cella di fabbrica di cui ero responsabile, per scrivere una lettera al Centro denunciando il sopruso ai danni dei compagni della sinistra e accludendo a questa lettera la sottoscrizione mi recai all'Unità consegnandola al direttore Alfonso Leonetti. Questi la lesse, fece una smorfia di disappunto (logico, era un centrista) e mi disse la passerò al Centro che voleva dire Gramsci. Dopo tre o quattro giorni comparve in seconda pagina sull'Unità la risposta in questi termini: risposta alla lettera del compagno Salvador Riccardo. E qui invece di presentare la lettera per intero si usa il metodo più subdolo per snaturarla. Si citano alcuni frammenti della lettera e a ognuno di questi si aggiunge un commento facendo sì che la versione della lettera venisse capovolta. Concludendo con un giudizio secco: ecco una interpretazione massimalista sul problema della discussione pre Lione.Da questa porcata, dopo il mio intervento all'Unità presso Leonetti questi mi rispose che l'articolo era di Gramsci e recatomi subito da Gramsci nel suo ufficio per chiedere spiegazioni mi rispose che il Direttore dell'Unità era Leonetti e non lui. Il grande intellettuale Gramsci si comportò da vero stalinista contro il piccolo militante proletario provocandone una grande e penosa delusione. In seguito seppi e capii anche il perché. Non era e non era mai stato un marxista!».

La clandestinità di Riccardo è di breve periodo. Ai primi di maggio del 1928 viene arrestato. Processato nel novembre dal Tribunale speciale, è condannato a 12 anni e sei mesi di reclusione che sconta nei carceri di Lucca, Finale Ligure, Volterra e Pianosa; in carcere conoscerà Sandro Pertini (che una volta diventato Presidente della Repubblica andò a trovarlo a Schio).

Rimesso in libertà nel 1936 per amnistia, lavora a Milano dove riallaccia i rapporti con i compagni della Sinistra. All'inizio della seconda guerra mondiale ritorna a Schio. Alla fine della guerra viene additato da elementi del PCI come partecipante alla strage di fascisti detenuti nel carcere di Schio e compiuta da partigiani dissidenti (ma conosciuti) dalla direzione del PCI. Alla fine di queste note biografiche riportiamo la sua presa di posizione su quei fatti pubblicata nel 1945 da "Battaglia comunista".

Nello stesso periodo riprende con compagni a lui legati (operai della Lanerossi) l'attività politica con il Partito Comunista Internazionalista.

Nel 1947 emigra in Svizzera, dove fonda con altri compagni (italiani e spagnoli), il gruppo di Winterthur del partito. All'epoca della scissione tra "battaglia comunista" e "programma comunista" rimane con il gruppo di Bordiga e Maffi.

Tornato a Schio alla metà degli anni sessanta riforma la sezione del Partito (ora Partito Comunista Internazionale) che diventa fucina di giovani militanti alla scuola della Sinistra Italiana.

La sezione di Schio (con Riccardo) uscirà poi dal partito, quando si manifesterà  una sua deriva movimentista ed attivista , nel settembre del 1982. Seguiranno poi riunioni ed incontri infruttuosi con altre realtà che avevano abbandonato "il programma comunista" (Ivrea, Torino, Sud Francia, Torre Annunziata, ed altre) e che ponevano il problema di una ricostruzione organizzata del movimento. Sono anni pesanti e difficili in cui il gruppo scledense vive anche alcuni abbandoni che rattristano ma non scoraggiano Riccardo.

Alla fine degli anni ottanta e dopo una riunione nel marzo del 1989 tra i compagni della sezione di Schio e Bruno Maffi, questa rientra organizzativamente nel Partito Comunista Internazionale (il programma comunista).

Riccardo muore a Schio il 31 ottobre 1993 dopo aver attraversato quasi tutto il secolo seguendo con tenacia,  forza e modestia l'insegnamento della Sinistra Comunista. Il suo esempio fu esemplare, nella formazione di nuovi compagni, nel far valere come modo comunista di essere il rifiuto dei sotterfugi e della calunnia e della falsità nella lotta politica; per lui l'onesta e la dirittura morale erano connaturati all'essere rivoluzionari e comunisti.

 

Dopo la sua morte i compagni a lui legati hanno continuato il loro impegno e la loro attività. Usciti dal Partito Comunista Internazionale (il programma comunista) nel 2003, pubblicano ora «Sul filo rosso del tempo» sempre sotto la denominazione "Partito Comunista Internazionale" e sono presenti anche con un sito internet (clicca qui)

                                                                                                                                           s.

 

 

 

 

Si fa luce sull'eccidio di Schio

 

Il compagno Riccardo Salvador, quello stesso che l' «Unità» del 13 u.s. accusava di aver provocato l'eccidio di Schio aggiungendo all'accusa e alla delazione la calunnia, ci scrive questa lettera che, per noi, chiude definitivamente un'altra losca pagina della malafede centrista.

 

Cari compagni, mi trovavo a Vicenza nella Camera del lavoro, quando appresi dall' «Unità» che uno dei principali responsabili dell'eccidio ero io in persona. E' stata così grossa la vergognosa accusa che non riuscivo a capacitarmi come questo animale che si chiama uomo, e per giunta comunista, potesse giungere fino a questo punto.

Tornato in serata a Schio, mi presentai alla Tenenza dei carabinieri col giornale in mano, per mettermi a loro disposizione. Il maresciallo di servizio mi rispose che sul mio conto non c'era nessuna accusa e che potevo tornarmene a casa. Il mattino seguente mi presentai al governatore inglese col giornale, ripetendo quanto avevo detto ai carabinieri. Il governatore lesse attentamente l'articolo; lo tradusse in inglese, notò la dissonanza tra la prima e la seconda parte dell'articolo e poi mi chiese perché mi si accusava così apertamente. Gli spiegai che si tentava di colpire il sottoscritto non tanto per la mia persona quanto per mettere in cattiva luce un movimento politico che per la sua intransigenza, e dirittura politica e morale, li poneva sempre più in imbarazzo di fronte al popolo italiano. E poi coll'intenzione di addossare a questo movimento un eccidio che politicamente è deplorevole. Gli feci inoltre osservare che il giornalista, per meglio giocare il colpo, mi ha calunniato sul mio passato politico e gli spiegai quanto aveva detto di falso nei miei confronti. Il governatore, finito il colloqui, mi rilasciò una lettera da consegnare a mano al cap. Baker (capo della polizia alleata di Vicenza) il quale mi fece solo due o tre domande per dirmi soltanto che questa faccenda non sta a loro risolverla, ma alle autorità italiane. Ritornato a casa, scrissi una lettera Aperta al comunista Vito Pandolfi, che troverete qui acclusa, per farla pubblicare in qualche giornale locale, ma, visto che perdevo il mio tempo inutilmente, pensai, col permesso dello stesso governatore di Schio, di farla stampare per un manifesto per Schio e dintorni. E così ho fatto... Vi dirò che il sindaco comunista di Schio, uno dei pochi onesti, venuto a conoscenza del manifesto, mi mandò a chiamare per dirmi il suo disgusto e pregarmi di sospendere l'affissione del manifesto perché ne aveva mandato a mezzo dell'avv. Vezzani, o Vezzolin, non ricordo bene, una copia all' «Unità» per una smentita. Perciò mi pregava, per non rovinare la reputazione del partito a Schio, di attendere qualche giorno. Mi riservai di dargli una risposta in giornata e, mentre vi scrivo queste righe, ho deciso che prima di sera lo farò affiggere: primo perché il fatto è avvenuto a Schio; secondo perché la pugnalata è partita da Schio; terzo perché a Schio sono conosciuto e non posso aspettare a mettere alla gogna dei delinquenti che non ci hanno pensato su due volte per colpirmi in una maniera così vergognosa...

Vostro, Riccardo Salvador

 

Lettera aperta al comunista Vito Pandolfi

 

Nell'articolo «Si fa luce sull'eccidio di Schio» Voi avete pubblicato sul giornale «Unità» del 12 corr. un'accusa di provocazione da parte di un sedicente Partito Comunista Internazionalista, il cui principale propagandista dovrebbe essere un certo Salvatori.

Vi dico esplicitamente che non spendo una sola parola per difendermi da una calunnia così infame e stupida al tempo stesso. Credo che le indagini su questo eccidio non si faranno fuorviare da tale losca manovra. Voglio piuttosto mettere in luce la vostra malafede per ciò che avete scritto sul mio passato politico. Non mi chiamo Salvatori, ma Salvador. Sono stato, è vero, arrestato nel maggio 1928, col compagno D'Onofrio ed altri, fra i quali il compagno Prof. Girolamo LiCausi. Essi possono far fede del mio atteggiamento dall'arresto fino al processo ed alla condanna di anni 12 e mezzo.

Del mio contegno durante il periodo di prigionia possono deporre centinaia di compagni e sfido chiunque a dimostrare che io abbia, come si dice nel vostro articolo, tenuto un atteggiamento pavido. So di certo invece che qualche vostro compagno di Schio non può dire altrettanto.

Poi, come dite voi, io sono stato in Francia e qui, collaborando al «Prometeo», davo elementi alla Polizia fascista per rintracciare i nostri compagni. Mi dispiace, sig. Pandolfi, di non aver mai messo piede in Francia né prima né dopo la mia uscita dal carcere.

Quanto al «Prometeo», mi rincresce ancora di più non solo di non avervi mai potuto collaborare ma di non essere mai riuscito ad averne uno fra le mani; poiché era noto fra i vecchi compagni comunisti (quelli cioè che credevano e credono tuttora alla dignità politica e morale) che «Prometeo» rappresentava l'espressione più pura e più alta del nostro movimento rivoluzionario.

Egr. Sig. Pandolfi, il Proletariato italiano e con esso tutti i galantuomini, a qualsiasi ceto appartengano, e che voi intendete rappresentare nel campo del giornalismo, nonostante i 23 anni di silenzio fascista, non sono del tutto incretiniti, come vorreste Voi, ma conservano ancora, per fortuna, un tantino d'intelligenza e di spirito critico per potervi giudicare e con Voi tutti i piccoli Machiavelli d'Italia.

Riccardo Salvador

 

N.d.R. Il comp. Salvador ha fatto bene a rispondere per le rime. Ma non dia troppa importanza al sig. Vito Pandolfi: è uno dei tanti piccoli intellettuali che si occupavano di teatro ai tempi del Guf e che il centrismo ha trasformato di colpo in ... uomini politici! Pietà di loro: non sanno quel che si fanno.

battaglia comunista, 28 luglio 1945