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archivio > Biografie>Ippolito Ceriello (1899 - 1974), note biografiche e scritto

aggiornato al: 02/03/2009

Ippolito Ceriello (1899 - 1974)

Ippolito Ceriello (1899-1974)

 

 

Parte di questa nota su Ippolito Ceriello è tratta da: Quaderni Pietro Tresso, n. 14, novembre 1998 «Amadeo Bordiga, lettere a Bruno Bibbi, Piero Corradi, Eugenio Moruzzo, Michelangelo Pappalardi e Ludovico Rossi (1925-26) a cura di Fausto Bucci e Paolo Casciola».

 

Ippolito Ceriello nasce a Laviano, in provincia di Salerno, il 6 agosto 1899. Alla fine della prima guerra mondiale, (cui partecipa come volontario), milita nel P.S.I., per passare poi, dal 1922 al P.C.d'I. dove fa parte della sinistra. Laureato in legge, figura come proprietario amministratore della rivista Prometeo che ha a Napoli come sede ‘La Libreria Italiana', ove oltre a Ceriello che ne è il gestore, trovano spazio altri animatori del periodico quali Amadeo Bordiga e Michele Bianco: Prometeo nasce e muore nel corso del gennaio - luglio 1924, dopo sette numeri, a causa della sua soppressione  motivata da Togliatti, come ricorda Spriano, in ragione delle possibili tendenze frazionistiche (lettera del 26 agosto al segretariato del Komintern).  

Nel novembre 1925 Ceriello richiede la concessione del passaporto per la Francia, “per commercio”: a Parigi entra in contatto in veste di fiduciario di Bordiga con Bibbi, Pappalardi, Corradi  ed altri. 

Nel  1926 a seguito di perquisizioni nel domicilio napoletano, subisce il sequestro del passaporto e viene assegnato al confino per quattro anni.. Nel 1927 sarà arrestato a Lipari per attività comunista; trasferito poi a Ponza da cui viene liberato nel novembre 1929  ritorna a Laviano dove lavora come procuratore legale in forma sovente solidale e disinteressata: attività che sotto il profilo civile e penale eserciterà continuativamente sino alla morte.

La vigilanza quotidiana e persecutoria, documentata dagli organi di polizia, l’impedimento all’espatrio,  gli arresti  e una condanna “per oltraggio a magistrato in udienza”, hanno corso sino  all’ aprile del 1943, anno nel quale viene  internato a Istonio, negli Abruzzi ove si trovano Onorato Damen e Bruno Maffi. Rimesso in libertà in agosto, si stabilisce a Salerno, in un momento in cui  la città si avvia ad  assumere un profilo politico essenziale per l’intera  storia del dopoguerra. Ceriello viene eletto segretario della Federazione provinciale del P.C.I. che al pari di altre Federazioni meridionali (come Catanzaro e Cosenza), vede un preminente, e diffuso orientamento bordighiano. Organizzatore e polemista efficace, Ceriello nel  dicembre  pubblica  Il Soviet  giornale dal titolo inequivocabile, che sarà  immediatamente sequestrato dalle forze anglo-americane: Ceriello e il suo braccio destro, il livornese  Danilo Mannucci ( eletto segretario provinciale della Camera del Lavoro) vengono condannati a un mese di carcere con la condizionale per aver pubblicato il giornale senza autorizzazione. In questo periodo Ceriello ristabilisce i contatti con Bordiga (allora a Formia):  contatti che quando Bordiga rientra a Napoli, vedono Ceriello, riproporre  più volte al   vecchio leader il ritorno nell'agone politico alla testa della dissidenza comunista, impegnata, sotto il profilo decisionale e strategico, in una congiuntura decisiva. Bordiga tuttavia  non muterà atteggiamento, chiedendogli di pazientare: posizione questa, destinata nel tempo a rinsaldare considerazioni di ben più ampio e motivato disincanto politico, espresse nel corso degli anni successivi  da parte  di Bordiga allo stesso Ceriello nel corso dei loro incontri.

Nel luglio del 1944, tuttavia al I° Congresso della federazione salernitana del PCI, già nel frattempo commissariata dai vertici del partito, si procede agli atti ‘dovuti’ finalizzati alla liquidazione del gruppo dirigente: “il cittadino Ceriello”  viene espulso dal partito e definito da Garuglieri, quadro toscano deputato alla liquidazione del gruppo dirigente locale  «un ex bordighiano, bacato anche dal punto di vista morale» secondo un tipico meccanismo del PCI che apparenta   disaccordo politico ed indegnità morale, invocando e talvolta  applicando misure più drastiche quali la delazione se non l’assassinio.

Con i compagni accomunati dalla sua stessa sorte ( il già citato Danilo Mannucci ed Ettore Bielli, fra gli altri) Ceriello costituisce inmmediatamente  la  Federazione di Salerno della «Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti italiani» che pubblicherà L'Avanguardia (al termine di queste note riproduciamo un articolo apparso su quel giornale e ripreso poi da Battaglia comunista, scritto probabilmente da Ceriello). La Federazione oltre a divenire nel biennio 1944-45 un punto di riferimento per le sezioni nate nel circondario, estende i rapporti e la diffusione della stampa ad altri nuclei che vanno costituendosi nell’Italia meridionale (è il caso ad esempio di Ragusa).

Nell'estate del 1945, dando “saldatura organica” agli intendimenti comuni,  l’organismo salernitano   si scioglie insieme alle altre Federazioni della Frazione, per aderire, al Partito Comunista Internazionalista. A questo punto Ceriello viene chiamato a collaborare a Battaglia comunista e alla preparazione teorica e documentaria della rivista teorica del Partito Prometeo.

Al Convegno torinese di fine 1945 la partizione dei compiti prevede  una sua "Relazione politica e di organizzazione del partito" per il Sud (mentre a Maffi spetta quella per il Nord) ma l’intervento  non viene tenuto.

E’ questo il sintomo del profilarsi di una graduale intermittenza che legata anche a progressive differenziazioni dell’intendere la caratterizzazione del lavoro e del costume  politico,  finirà per sancire  il definitivo allentamento del rapporto tra  Ceriello e il partito. 

Nell'estate del 1946 Battaglia comunista (n. 22, 27 luglio - 3 agosto) dà secca  nota della radiazione, avvenuta l'11 aprile,  di Ippolito Ceriello : essa fa  seguito ad  un confronto che  lo oppone  al gruppo locale ed anche agli organismi centrali  del P.C.int.

Ceriello  infatti decide di  partecipare, come indipendente in una lista civica , alle elezioni amministrative nel suo paese di Laviano : da tale scelta, legata al nodo della “partecipazione elettorale”, consegue il provvedimento dell'espulsione, esplicito sebbene non indolore e dibattuto, (come si apprende  per via di corrispondenze personali  indirizzate a lui da altri militanti  vedi in primo luogo Maffi e Terzani ).

 Le elezioni sanciscono comunque in forma plebiscitaria  la sua elezione a sindaco di Laviano, carica che egli vede confermata  nell’arco di due legislature, estese fino agli anni sessanta.

Pur fuori dal partito, continua nell’arco di tempo compreso tra gli anni Cinquanta e Settanta , a frequentare Amadeo Bordiga che  sino alla sua morte manterrà immutati  con lui rapporti non solo  amicali ma anche professionali.

Ceriello, si spegne  a Salerno nel 1974, sei anni prima del terremoto dell'Irpinia. Oltre a provocare centinaia di vittime, il sisma  non lascerà , tra le altre, traccia della sua casa e, purtroppo (fatte salve  poche ed importanti  testimonianze ), della  preziose memorie documentarie a lui riferite.

 

m.

 

 

 

Teoria del nazionalcomunismo

 

L'articolo che qui pubblichiamo è uscito sul numero del 4 maggio di L'Avanguardia di Salerno (quindicinale della Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti italiani) a commento del noto discorso-programma tenuto da Scoccimarro  al Consiglio nazionale del P.C.I. Per quanto ormai lontano dai fatti che lo avevano direttamente provocato, crediamo interessante riportarlo sia perché colpisce in pieno quella ch' è ormai la linea direttiva immutabile del centrismo, sia perché rappresenta un penetrante contributo alla chiarificazione ideologica delle nostre file, delle quali i compagni della Frazione sono entrati recentemente (com' è noto ai lettori di "Battaglia Comunista") a far parte con l'apporto della loro tradizione ventennale di lotta sulle basi fondamentali della Sinistra Italiana.

(La Redazione)

 

Al recente Consiglio nazionale del Partito comunista staliniano è stato incaricato Scoccimarro di trattare il problema della teoria  e del programma generale. E' sembrato forse troppo grave  il silenzio assoluto della stampa del partito e dei suoi oratori su questo punto.

Scoccimarro debitamente delegato ed inspirato dalla direzione suprema, ha tentato di fare del suo meglio, ed è partito dalla constatazione che tanto i vecchi militanti quanto i giovani ravvisano un contrasto  tra le enunciazioni classiche del programma comunista - che i primi conoscono attraverso l'esperienza delle lotte di venticinque anni fa e i secondi soltanto attraverso i testi - con la politica concreta di oggi. Queste formulazioni: rivoluzione proletaria, dittatura del proletariato, lotta di classe contro classe, apparirebbero oggi come abiti vecchi usciti di moda.

Lo sforzo intellettuale di Scoccimarro per colmare l'abisso non è stato in verità molto originale: egli ha invocato le mutate condizioni storiche per giustificare l'abbandono delle antiche direttive, non diversamente da quanto sempre hanno fatto i socialisti che tendevano a porsi fuori dal campo del programma rivoluzionario.

Il fatto nuovo principale è l'esistenza di uno Stato socialista e la sua alleanza con le grandi potenze democratiche. Conseguenza di questo grande fatto storico è l'attitudine dei partiti comunisti i quali, anziché condurre la lotta di classe, sostengono nei singoli paesi la collaborazione e l'unità nazionale. Questo potrebbe essere creduto un atteggiamento transitorio, una politica limitata al periodo bellico, ma è lo stesso Scoccimarro  che riconosce al mutamento di rotta una portata assai più profonda. Egli infatti apertamente dice che quelle mutate condizioni storiche pongono al partito questo interrogativo: l'avvento della classe operaia al potere non può determinarsi in forme e modi diversi da quelli che concepivamo venti anni fa?

Tale dichiarazione dimostra che le surricordate direttive del marxismo-leninismo rivoluzionario sono abbandonate non temporaneamente ma in modo definitivo.

Preso atto di questo, senza meraviglia perché da tempo era caduta al riguardo ogni illusione, va contestata a Scoccimarro proprio la sua impostazione storica. Potrebbe concedersi, a parte la complessa indagine economico-sociale, che lo Stato russo fosse uno Stato socialista, proprio se esso non fosse alleato agli Stati capitalisti e quanto meno se  nella situazione di guerra richiedesse ai partiti comunisti degli altri paesi di appoggiarlo con la lotta e la guerra di classe anziché con la collaborazione nazionale.

Secondo Scoccimarro, la lotta per la indipendenza e l'unità nazionale sarebbe stata sempre rivendicata dalla classe operaia, ed anche questa tesi non differisce in  nulla da quella favorita dei social traditori del 1914, primo tra essi Mussolini. Secondo Scoccimarro, i proletari di Francia, Belgio, Iugoslavia, ecc. hanno avuto ragione di condurre una lotta per le rivendicazioni nazionali contro la oppressione nazista e fascista che nei singoli paesi aveva per i suoi complici il nazionalismo imperialista di destra. Omettendo la critica di questo falsissimo schema basterà chiedere a Scoccimarro come mai la stessa rivendicazione di indiopendenza di quei paesi contro l'occupazione tedesca non fu affatto appoggiata né dallo Stato socialista di Mosca né dai comunisti staliniani locali fino a quando la guerra non era ancora scoppiata tra la Russia e la Germania e come la stessa indifferenza per l'unità e l'indipendenza nazionale si ebbe nella spartizione della Polonia del 1940, e, potrebbe ben aggiungersi, in quella del 1945.

Per giustificare che la democrazia borghese venti anni fa era avversata mentre oggi viene accettata come alleata, Scoccimarro costruisce una teoria storica della evoluzione della democrazia e della borghesia piuttosto contraddittoria.

La vecchia democrazia sarebbe stata basata su un'alleanza della borghesia alta con la borghesia media contro il proletariato, mentre oggi vi sarebbe una lotta della media borghesia contro la grande borghesia reazionaria e plutocratica. Quindi le classi lavoratrici, alleandosi, notate bene, non solo con i ceti semi proletari, ma anche con la media borghesia, fonderebbero una nuova e moderna democrazia progressiva e popolare, facendosene un obiettivo che in Italia e altrove si sostituisce a quello della dittatura proletaria. Per giustificare questo falsissimo schema viene, sempre senza nessun originale trovato, tirato in ballo il paragone della rivoluzione russa e della pretesa alleanza ammessa da Lenin con i democratici borghesi contro la reazione zarista. Il tentativo di chiarificazione teorica finisce così nel più spregevole confusionismo e tutti i termini sono messi fuori del loro luogo.

Nella Russia del 1917 il regime borghese non si era ancora stabilito, e le forze politiche delle classi borghesi e proletarie lottavano tutte con ben diversi obiettivi per realizzare la distruzione del regime feudale e zarista. In tale situazione che non ha nulla a che fare con quella europea di oggi (meno ancora vi avrebbe a che fare se la Russia che era allora il solo paese feudale fosse davvero oggi il solo paese comunista) anche i comunisti potevano essere costretti ad appagarsi del costituirsi di un regime e di un governo di carattere borghese attraverso la lotta rivoluzionaria.. Proprio Lenin col suo indirizzo teorico e strategico fu l'espressione del fatto che, in una situazione così complessa e sfavorevole, il proletariato e il suo partito più estremo riuscirono ad attaccare e sgominare successivamente tutti i loro nemici, battendo con la guerra di classe, col terrore rivoluzionario e con la dittatura del proletariato, feudatari zaristi, grandi industriali, medi e piccoli borghesi.

La successione delle situazioni nei paesi occidentali a stabile regime borghese-capitalistico è ben diversa da quella della Russia di allora e richiede, se veramente non si vuole fare gettito della dottrina e del metodo bolscevico, un programma storicamente almeno altrettanto audace. Non esiste nessuna prospettiva di forme borghesi,, risultanti da una lotta rivoluzionaria, che possa essere considerata come un vantaggio accettabile ed una rivendicazione soddisfacente per il proletariato. Il senso dell'evoluzione capitalista non procede dalla pretesa democrazia grande borghese verso una democrazia piccolo-borghese. Se davvero, dopo lo stabile avvento storico del capitalismo, la piccola borghesia lottasse per abbattere la grande borghesia, questa sarebbe secondo Marx una lotta reazionaria e in fatti il «Manifesto» dice che nella Germania del 1847 «il partito comunista lotta insieme con la borghesia ogni qual volta questa combatte per un principio rivoluzionario contro la monarchia assoluta, contro l'antica proprietà feudale contro la piccola borghesia». ma siamo a cento anni dal 1847, e la media e piccola borghesia non hanno sulla scena storica che il compito ignobile di servitori e di succubi del grande capitale, vuoi quando offrono compiacente personale mercenario al fascismo, vuoi quando lo offrono al comunismo addomesticato, autorizzato dalla forza dei capitalisti vincitori.

Il mutamento, nei 25 anni che si pongono tra i termini contrapposti da Scoccimarro, ha ben altro carattere.

Allora era ancora possibile al regime borghese dirigere il mondo secondo le parole e le istituzioni democratiche; oggi per lo svolgersi del tipo monopolistico ed imperiale del capitalismo al suo limite massimo, per le stesse sommate distruzioni di due guerre, liberalismo e democrazia sono forme tramontate ed incompatibili con la più recente fase del capitalismo che già or sono vent'anni Lenin diagnosticò come universalmente prevalente e suscettibile solo di forme politiche di tirannide e di oppressione.

Era forse ancora comprensibile l'opportunista di trenta anni fa che respingendo come Kautski faceva, l'analisi di Lenin, attribuiva  ancora al capitalismo la possibilità di pacifiche evoluzioni in senso democratico popolare e progressivo. e comunque di pacifismo sociale  che conducesse ad una tattica di collaborazione di classe. Tutto quanto si è svolto fra le due guerre sta a distruggere ulteriormente questa prospettiva che già la critica bolscevica aveva definitivamente disperso. Il mondo capitalistico, sotto l'esclusivo controllo dell'altissima borghesia, seppellisce gli ultimi avanzi della organizzazione liberale in economia e in politica e si ordina,  pur avendo sconfitto i Mussolini e gli Hitler, in un sistema fascista. La piccola borghesia e la democrazia popolare spariscono tra le ombre e gli spettri del passato. Chi le vuole resuscitare non solo persegue opera vana ma tenta di fermare il cammino della storia, egli è il vero reazionario, mentre il controrivoluzionario fascista e grande borghese ha di lui più diritto di usare lo strano aggettivo di «progressista». Ogni progressista di oggi si troverà ad essere il fascista di domani.

La posizione del proletariato e del suo partito resta perciò quella di Marx e di Lenin. La borghesia si volge verso la concentrazione di tutte le sue forze economiche e politiche, diventa sempre più implacabile nello sfruttamento e nella oppressioe, e il suo percorso storico sarà arrestato da una forza sola, quella rivoluzionaria della classe lavoratrice. Tale processo si svolge attraverso una serie di grandi guerre sempre più imperialistiche.

La distinzione finale di Scoccimarro tra la guerra del 1914-18 e l'attuale, tra  l'Union sacrée di allora e l'unione nazionale di oggi si volge tutta a suo danno, e l'analisi marxista conchiude a stabilire che il collaborazionista di oggi è dieci volte più traditore di quello di allora. Se i borghesi hanno potuto dire quaranta anni fa che i socialisti avevano posto Marx in soffitta, a più forte ragione possono dire oggi che i comunisti dei partiti staliniani hanno buttato Marx, e Lenin con lui, nel letamaio.

 

battaglia comunista, 3 settembre 1945