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archivio > Saggi e inediti>Una lettura marxista di due libri su Gramsci (seconda parte), (novembre 2012)

aggiornato al: 28/11/2012

novembre 2012
Ecco ora la seconda parte del lavoro dedicato alla lettura di due libri su Gramsci, questa dedicata al libro di  Luciano Canfora, Gramsci in carcere e il fascismo, Salerno Editrice, 2012.
Informiamo i nostri lettori che nel mese di ottobre è apparso un altro libro di Canfora dedicato a Gramsci, sempre pubblicato dalla Salerno Editrice (Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926 - 1937).
 
Una lettura marxista di due libri su Gramsci
 
(seconda parte)
 
 
Il contemporaneo libro di Luciano Canfora (che già ha curato altre pubblicazioni incentrate su Gramsci) si concentra con acume filologico (e secondo le caratteristiche dell’autore a ricostruire o documentare alcune eccentriche curiosità storiche) alla storia ed al tormentato procedimento della successiva pubblicazione dei testi scritti da Gramsci in carcere, sul loro utilizzo e su altri aspetti interpretativi della vicenda gramsciana.
Intendo fornire alcune informazioni estratte dal libro su due aspetti: in parte la nota maturazione del pensiero gramsciano nell’ambito dell’ideologia italiana, alcune vicende dei suoi scritti e la maturazione ed elaborazione del suo pensiero in relazione al fascismo al cui proposito Canfora sottolinea alcuni elementi che penso non siano noti ai lettori non sistematici di Gramsci.
Come già ricordato tutta la vita di Gramsci (a parte la parentesi comunista) si svolge all’interno di quelle che Canfora definisce “le due correnti dominanti del neoidealismo italiano impersonate rispettivamente da Croce e Gentile….e l’innesto che Gramsci tentò di quelle filosofie nell’orizzonte mentale e pratico del comunismo” 10 alla cui anima il Croce stesso in una recensione alle lettere rende omaggio con le parole seguenti: “ci confortiamo di quel senso della fraternità umana che, se sovente si smarrisce nei contrasti politici, è dato serbare nella poesia e nell’opera del pensiero, sempre che l’anima si purghi e di salire al cielo si faccia degna, come accadeva al Gramsci”11 che il senatore Croce accompagna con alate parole nel Pantheon nazionale.
Formatosi quindi all’idealismo italiano nell’industriosa Torino all’inizio del secolo scorso, a contatto con la miseria e lo sfruttamento proletario, Gramsci compie quella progressione solo politica (ma non teorica) al socialismo ed alla rivoluzione che continuerà fino al suo arresto e che abbandonerà nel corso della sua carcerazione. Canfora da buon interprete aderente totalmente all’ideologia nazionale non manca di sottolineare la diversa maturazione ed il diverso percorso storico che contraddistinguono Gramsci e Togliatti.
Infatti a giusto titolo segnala “Nel novembre 1926 le due vite si divaricano: per Gramsci incomincia e man mano si fa più intensa la riflessione sulle cause della sconfitta, ch’egli considera senza autoinganni e tende man mano a ritenere epocale; per Togliatti…l’unico sostegno e l’unico strumento di riscossa è l’ancoraggio ferreo all’URSS…Tutta la sua azione politica è incentrata su questo presupposto della possibilità concreta di agire, in una partita considerata pur sempre aperta. Togliatti perciò aderisce convintamene alle svolte e ai riaggiustamenti tattici promananti da Mosca e dal Komintern: li vive in prima persona dall’interno. Il che lo porta a non vedere ciò che Gramsci invece ritiene di vedere e che esprime con la diagnosi del ‘fascismo come rivoluzione passiva’ (cioè come fenomeno di prevedibilmente lunghissima durata. Togliatti è calato nell’azione e quindi asseconda le quotidiane volute del processo in atto, Gramsci è calato nell’analisi e si sforza di vedere le linee profonde al di là della quotidianità politica…(che) è una necessità …e impone comportamenti contraddittori tra i quali l’appello ai fratelli in camicia nera. 24-25. In queste frasi con astuzia abbastanza pilatesca  Canfora tende a salvare capra e cavoli, ma interessa il riferimento alla maturazione del pensiero di Gramsci sul fascismo che verrà successivamente documentato in un apposito capitolo e con estratti dai Quaderni.
Canfora vuole documentare come Togliatti fu (nonostante tutto) consapevole e volontario esecutore testamentario di Gramsci (e questo è possibile perché sussiste una coesistenza intellettuale fra i due) il quale diventa, oltre la durata del partito di cui fu segretario, essenziale mezzo di maturità politica: quindi tutti operarono per il meglio volontariamente o meno. Infatti scrive: “..si può ben dire che quando si è dissolto il partito che egli aveva contribuito a fondare, Gramsci è diventato alimento vitale, ancora una volta di maturazione politica; ma non più nell’Italia intellettualmente distratta ma nel resto del pianeta”. 21
L’interpretazione del fenomeno fascista fu uno dei punti di divaricazione fra la Sinistra e la politica dei centristi. Da una parte forse in ambedue inizialmente sommariamente ed affrettatamente valutato o come un fenomeno tout court reazionario oppure come una movimentata crisi di governo, non inconsistente in linea di principio ma eccessivamente sbrigativa in ambito politico.
Sarà interessante seguire la maturazione successiva: nella Sinistra essa ci è nota e permea tutta la nostra interpretazione ed analisi della fase postliberale del capitalismo senile, mentre in Gramsci matura una concezione di un fenomeno anch’esso più ampio, profondo e di lunga durata a cui opporrà da buon liberale la soluzione (bene accettata e condivisa da Canfora) della Costituente e quindi sul piano politico in implicito e diretto contrasto con l’analisi svolta dalla Sinistra dell’essere il fascismo (indipendentemente dalle sue diverse vesti istituzionali) il contenuto e tentativo estremo della conservazione capitalista da cui non si usciva con un ritorno ad una fase ormai superata (il cui ritorno invece al Gramsci ideologo dell’egemonia e dell’autonomia della società civile può apparire possibile), ma con un salto di qualità sociale.
Gramsci si approccia a tale analisi utilizzando un concetto che Canfora definisce ‘fecondo’ quello di “rivoluzione passiva” che articola ripetutamente nei quaderni. Gramsci matura questo concetto in contemporanea con la sua lettura della crociana “Storia d’Europa” e riflette sul testo in analogia con gli avvenimenti storici europei studiati dal Croce. Egli ha in sé ineliminabilmente una concezione progressiva e graduale. Non vede che semplificando al massimo si potrebbe al concetto di rivoluzione passiva contrapporre quello antitetico di controrivoluzione preventiva.
Gramsci scrive nei quaderni: “nessuna formazione sociale scompare fino a quando le forze produttive che si sono sviluppate in essa trovano ancora posto per un loro ulteriore movimento progressivo…che la società non si pone compiti per la cui soluzione non siano già state covate le condizioni necessarie” 28.
In relazione alla lettura del succitato testo di Croce Gramsci osserva sia pure usando categorie e modi di ragionamento a noi estranei: “Un nuovo ‘liberalismo’, nelle condizioni moderne, non sarebbe poi precisamente il ‘fascismo’. Non sarebbe il fascismo precisamente la forma di ‘rivoluzione passiva’ propria del XX secolo…Si potrebbe così concepire: la rivoluzione passiva si verificherebbe nel fatto di trasformare la struttura economica ‘riformisticamente’ da individualistica a economia secondo un piano  ((notiamo che qui l’effetto causale è in Gramsci rovesciato)) economia diretta e l’avvento di una ‘economia media’ tra quella individualistica pura e quella secondo un piano in senso integrale , permetterebbe il passaggio a forme politiche e culturali più progredite senza cataclismi radicali e distruttivi in forma sterminatrice. Il ‘corporativismo’ potrebbe essere o diventare, sviluppandosi, questa forma economica media di carattere ‘passivo’. 29
Riportando questa citazione poco dopo, nel suo testo, Canfora opportunamente chiosa: “E’ altresì evidente che anche il new deal rooseveltiano rientra in questo più generale fenomeno della risposta dei grandi Paesi capitalistici alla ‘Grande Crisi’ attraverso l’intervento statale”. 30 ed osserva successivamente: “Si può dunque osservare che la riflessione gramsciana sul fascismo come ‘nuovo liberalismo’, nelle condizioni moderne ovvero ‘guerra di posizione’ di lunga durata e sulla vittoria di Mussolini come ‘soluzione arbitrale’ di un conflitto divenuto a ‘prospettiva catastrofica’ si forma e si perfezione dopo il maggio 1932 ed entro la fine del 1933; tra il ‘decennale’ del fascismo e la vittoria hitleriana in Germania. Conferma, quest’ultima, agli occhi di Gramsci, della prospettiva non solo di lunga durata, ma europea del successo del fenomeno fascista”. 37
Esaminando questa maturazione successiva del pensiero gramsciano anche Canfora arriva ad intuire quanto più esplicitamente espone Lo Piparo. Canfora scrive: “La realtà è che il Gramsci dei Quaderni non appartiene più, in quanto pensatore e non più uomo di partito, a questa o a quella corrente” 40-41
 
Successivamente nell’appendice al libro Canfora pubblica su tale questione (in particolare sul fascismo) ampi estratti dai quaderni ed anche da scritti gramsciani precedenti il periodo del carcere. Vorrei documentare alcuni passaggi tratti da essi con riferimento al tema della interpretazione ed analisi del fenomeno fascista.  
 
Considerando la Storia d’Europa crociana in relazione alla spallata data ai vecchi regimi dalle armate repubblicane e napoleoniche , Gramsci commenta: “determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la corrosione ‘riformistica’ che durò fino al 1870. Si pone il problema se questa elaborazione crociana , nella sua tendenziosità non abbia un riferimento attuale e immediato…il fine di creare un movimento ideologico…di restaurazione-rivoluzione, in cui le esigenze che trovarono in Francia una espressione giacobino-napoleonica furono soddisfatte a piccole dosi, legalmente, riformisticamente , e si riuscì così a salvare la posizione politica ed economica delle vecchie classi feudali , a evitare la riforma agraria e specialmente a evitare che le masse popolari attraversassero un periodo di esperienze politiche come quelle verificatesi in Francia negli anni del giacobinismo, nel 1831, nel 1848. Ma nelle condizioni attuali il movimento corrispondente a quello del liberalismo moderato e conservatore non sarebbe più precisamente il movimento fascista?...Potrebbe essere una delle tante manifestazioni paradossali della storia …questa per cui il Croce…giungesse a contribuire a un rafforzamento del fascismo, fornendogli indirettamente una giustificazione mentale… 196
Quindi il fascismo si caratterizza come conservatore ma contemporaneamente come rivoluzione passiva di modernizzazione sociale. 
In seguito: “L’ipotesi ideologica potrebbe essere presentata in questi termini: si avrebbe una rivoluzione passiva nel fatto che per l’intervento legislativo dello Stato e attraverso l’organizzazione corporativa, nella struttura economica del paese verrebbero introdotte modificazioni più o meno profonde per accentuare l’elemento ‘piano di produzione’, verrebbe accentuata cioè la socializzazione e cooperazione della produzione senza perciò toccare (o limitandosi solo a regolare e controllare) l’appropriazione individuale e di gruppo del profitto. Nel quadro concreto dei rapporti sociali italiani questa potrebbe essere l’unica soluzione per sviluppare le forze produttive dell’industria sotto la direzione delle classi dirigenti tradizionali, in concorrenza con le più avanzate formazioni industriali di paesi che monopolizzano le materie prime e hanno accumulato capitali imponenti”. 196-7.
Interessante ed acuta osservazione che ci porta a considerare come tutte le vie nazionali e locali all’industrialismo nazionale portino come il socialismo in un solo paese alle stesse ricette. Insomma il nazionalismo economico fu la forma assunta dalla globalizzazione prima della sua affermazione planetaria.
Gramsci conclude il passaggio: “Questa ideologia servirebbe come elemento di una ‘guerra di posizione’ nel campo economico internazionale, così come la ‘rivoluzione passiva’ lo è nel campo politico….nell’epoca attuale, la guerra di movimento si è avuta politicamente dal marzo 1917 al marzo 1921 ed è seguita una guerra di posizione il cui rappresentante, oltre che pratico (per l’Italia), ideologico, per l’Europa, è il fascismo”. 197
Proseguendo nella presentazioni dei suoi estratti dai Quaderni, Canfora dedica alcuni passaggi alla funzione attribuita da Gramsci al ‘cesarismo’ negli accadimenti sociali ed alla sua funzione apparente di arbitro nei conflitti che non si risolvono, attribuendo a questa situazione l’intervento cesaristico ed arbitrale di Mussolini e del fascismo: “…il cesarismo, se esprime sempre la soluzione ‘arbitrale’, affidata a una grande personalità, di una situazione storico-politica di un equilibrio delle forze a tendenza catastrofica , non ha sempre lo stesso significato storico….Si tratta di vedere se nella dialettica ‘rivoluzione-restaurazione ‘ è l’elemento rivoluzione o quello restaurazione che prevale, poiché è certo che nel movimento storico non si torna mai indietro e non esistono restaurazioni ‘in toto’”198
Seppur ne veda il sottofondo sociale Gramsci però, evidenziando il carattere arbitrale, di terza forza del fascismo ed attribuendolo, almeno in parte, schierato a lato dell’elemento restaurazione (cosa evidente ed innegabile ma non tanto come restaurazione bensì come repressione) ne vede prevalentemente il contenuto fenomenico politico contingente, senza assorbirne a fondo il contenuto dinamico (peraltro intuito nella formula della rivoluzione passiva) che supera la contraddizione allora presente , riproponendola però ad un livello qualitativo ampliato e potenziato; non vi è dal fascismo un ritorno a forme precedenti e per questo il fascismo, nelle sue diverse forme e denominazioni, è fenomeno esteso e non locale bensì internazionale. In questo estratto Gramsci ha un lampo che appare perfettamente conforme alla nostra fase politica attuale: “Il ‘ tecnicismo’  politico moderno è completamente mutato…le trasformazioni avvenute nell’organizzazione della polizia in senso largo , cioè non solo del servizio statale destinato alla repressione della delinquenza, ma dell’insieme di forze organizzate dallo Stato e dai privati per tutelare il dominio della classe dirigente. In questo senso, interi partiti ‘politici’ e altre organizzazioni economiche o di altro genere devono essere considerati organismi di polizia politica di carattere ‘repressivo’ e ‘investigativo’” 199
In un passo finale appare messo in evidenza il carattere repressivo inevitabile ed instabile dei cesarismi attuali che hanno perso ogni funzione socialmente formativa ed attiva come nel caso di Napoleone I, situazione questa che, ancora una volta, rende illusorio il desiderio del ritorno a forme politiche più tolleranti e morbide: “Nel mondo moderno l’equilibrio a prospettive catastrofiche non si verifica tra forze che in ultima analisi potrebbero fondersi e unificarsi, sia pure dopo un processo faticoso e sanguinoso, ma tra forze il cui contrasto è insanabile storicamente e anzi si approfondisce specialmente coll ’avvento di forme cesaree” 201 
 
In contrappunto alla evoluzione dell’atteggiamento che Gramsci matura negli anni del carcere in merito al fascismo, nella parte finale del suo Libro, Canfora propone una selezione di espressioni di Gramsci relative al fascismo negli anni precedenti la sua incarcerazione. Cerco di riassumerne gli aspetti più significativi e si riscontrerà come queste precedenti affermazioni siano molto più superficiali, meno ponderate e collegate più direttamente all’elaborazione intellettuale del Gramsci del periodo dell’Ordine nuovo che abbandonerà successivamente, come assunto dai libri qui riassunti, negli anni del carcere. Dapprima Gramsci si attarda sulla maschera soggettiva del futuro dittatore: “(Mussolini) il tipo concentrato del piccolo borghese italiano, rabbioso, feroce, impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale dai vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato, divenne il dittatore della borghesia, che ama le faccie feroci quando ridiventa borbonica, che spera di vedere nella classe operaia lo stesso terrore che essa sentiva per quel roteare degli occhi e quel pugno chiuso teso alla minaccia…La sua dottrina è tutta nella maschera fisica, nel roteare degli occhi entro l’orbite, nel pugno chiuso sempre teso alla minaccia”205-206
Da questa descrizione individualistica, soggettiva, quasi fisionomica segue una analisi superficiale, meccanica, ammantata di pura soggettività politica del divenire del movimento fascista: “Dalla crisi il fascismo uscirà scindendosi . La parte parlamentare, capeggiata da Mussolini, appoggiandosi sui ceti medi, impiegatizi e piccoli esercenti ed industriali, tenterà la loro organizzazione politica, orientandosi necessariamente verso una collaborazione coi socialisti e coi popolari. La parte intransigente, che esprime la necessità della difesa diretta e armata degli interessi capitalistici agrari proseguirà nella sua azione caratteristica antiproletaria. Per questa parte, la più importante nei confronti della classe operaia, non avrà alcun valore il ‘patto di tregua’ che i socialisti vantano come una vittoria.
Da Ordine nuovo 1/9/1924   “Ma il fascismo, quello vero, che i contadini e gli operai emiliani, veneti, toscani conoscono per la dolorosa esperienza degli ultimi due anni di terrore bianco, continuerà, anche magari cambiando il nome” 206. Da “Ordine nuovo” 25/8/1921. Riportando questi passaggi giustamente Canfora annota: “Quanto la gravità del fenomeno fascista sfuggisse all’analisi di Gramsci al sorgere del movimento può ricavarsi anche da questo brano di un suo editoriale per l’ ‘Ordine Nuovo”.206
Nel pieno della crisi dell’assassinio Matteotti, Gramsci continua a non comprendere il fenomeno fascista, a non vederne dimensione, fondamento e dinamica e quindi ad illudersi ed ingannarsi sul suo divenire. “La crisi capitalistica aveva assunto negli anni dopo la guerra anche la forma acuta di uno sfacelo dello Stato unitario e aveva quindi favorito il rinascere di una ideologia confusamente patriottica e non c’era altra soluzione che quella fascista, dopo che nel 1920 la classe operaia aveva fallito al suo compito di creare coi suoi mezzi uno Stato capace di soddisfare anche le esigenze nazionali unitarie della società italiana. Il regime fascista muore non solo perché non è riuscito ad arrestare ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi delle classi medie iniziatasi dopo la guerra…
L’ondata di sdegno suscitata dal delitto (Matteotti) sorprese il Partito fascista che rabbrividì di panico e si perdette…(dimostra come) le stesse cime del partito avessero perduto ogni sicurezza ed accumulassero errori su errori: da quel momento il regime fascista è entrato in agonia; esso è sorretto ancora dalle forze cosiddette fiancheggiatrici, ma è sorretto così come la corda sostiene l’impiccato . Il delitto Matteotti dette la prova provata che il Partito Fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori: egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alle storie nell’ordine delle diverse maschere provinciali più che nell’ordine dei Cromwell, dei Bolivar, dei Garibaldi” 209-210.
Impressionanti questi commenti per la superficialità e la qualità degli strumenti analitici usati da chi era allora, al momento, il rappresentanto principale del Partito Comunista d’ Italia. Nel passaggio successivo della trattazione gramsciana colpisce la passività e la sudditanza agli strumenti ed obiettivi del fronte antifascista con la partecipazione all’Aventino da cui Gramsci lamenterà l’esclusione dei comunisti: “L’assemblea delle opposizioni divenne di fatto un centro politico nazionale intorno al quale si organizzò la maggioranza del paese…uno Stato fu creato nello Stato, un governo antifascista contro il governo fascista. Il Partito fascista fu impotente a frenare la situazione: la crisi lo aveva investito in pieno…..Le opposizioni rimangono ancora il fulcro del movimento popolare antifascista; esse rappresentano politicamente l’ondata di democrazia che è caratteristica della fase attuale della crisi sociale italiana. Verso le opposizioni si era orientata all’inizio anche l’opinione della grande maggioranza del proletariato. Era dovere di noi comunisti cercare di impedire che un tale stato di cose si consolidasse permanentemente. Perciò il nostro gruppo parlamentare entrò a far parte del Comitato delle opposizioni accettando e mettendo in rilievo il carattere precipuo che la crisi politica assumeva di esistenza di due poteri, di due parlamenti. Se avessero voluto compiere il loro dovere, così come era indicato dalle masse in movimento, le opposizioni avrebbero dovuto dare una forma politica definita allo stato di cose, obbiettivamente esistente, ma esse si rifiutarono. Sarebbe stato necessario lanciare un appello al proletariato, che solo è in grado di sostanziare un regime democratico, sarebbe stato necessario approfondire il movimento spontaneo di scioperi che andava delineandosi. Le opposizioni ebbero paura di essere travolte da una possibile insurrezione operaia: non vollero perciò uscire dal terreno puramente parlamentare nelle questioni politiche e dal terreno del processo per l’assassino dell’on. Matteotti nella campagna per tenere desta l’agitazione nel paese. I comunisti, che non potevano accettare una diffidenza di principio contro l’azione proletaria, che non potevano accettare la forma di blocco di partiti dato al Comitato, furono messi alla porta” 209/10/11
Sconvolgente in questi passaggi è la totale subalternità dell’autonomia politica del Partito Comunista alle indicazioni puramente politiche e limitate all’ambito istituzionale dei partiti aventinisti, al punto di bloccare dapprima con essi e poi tardivamente di farsi cacciare. Negli scontri sociali i tempi e l’autonomia operativa per i partiti proletari sono indispensabili condizioni di riuscita e di successo. La cecità della direzione gramsciana, la sua dipendenza da una strategia multiclassista e la sua rinuncia alla rappresentanza effettiva ed incondizionata ed alla difesa intransigente della autonomia classista del proletariato (in quello che era uno scontro sociale e non una battaglia nazionale per la democrazia) segnano tutta la dipendenza dell’illusione puramente in ambito politico dei comunisti alle linee di forza strategicamente incardinate nel dominio di classe degli interessi complessivi borghesi da parte dell’illusorio fronte democratico aventiniano a cui Gramsci incatenò, condannandolo alla sudditanza ed a portare acqua, il proletariato italiano.
Questa illusione permane e si manifesta in frasi che illustrano come Gramsci mai arrivasse a concepire la lotta per il potere come lotta per la presa del potere unitaria da parte del proletariato rappresentato e costituito unitariamente da un Partito Comunista parte di un movimento internazionale; in Gramsci è sempre (nascosta o meno) una strategia interclassista democratica e nazionale: “Il sistema delle forze democratiche antifasciste trae la sua forza maggiore dall’esistenza del Comitato parlamentare delle opposizioni che è riuscito a imporre una certa disciplina a tutta una gamma di partiti che va dal massimalista a quello popolare. Che massimalisti e popolari ubbidiscano a una stessa disciplina e lavorino in uno stesso piano programmatico, ecco il tratto più caratteristico della situazione.   ((eh si, caratteristico davvero)) …La piccola borghesia può conquistare lo Stato solo alleandosi con la classe operaia, solo accettando il programma della classe operaia: sistema soviettista invece che Parlamento nell’organizzazione statale, comunismo e non capitalismo nell’organizzazione dell’economia nazionale e internazionale. 212 (come se i due piani fossero separati, autonomi e indipendenti).
Ed infine a dimostrazione della permanenza delle illusioni ordinoviste ancora nel 1924 la perniciosa convinzione che il potere sia nelle fabbriche e non nei gangli dello stato e che per accedere ad esso occorra una concezione di formazione educazionistica..
“Per conquistare lo Stato occorre essere in grado di sostituire la classe dominante nelle funzioni che hanno un’importanza essenziale per il governo della società. In Italia, come in tutti i paesi capitalistici, conquistare lo Stato significa anzitutto conquistare la fabbrica , significa aver la capacità di superare i capitalisti nel governo delle forze produttive del paese. Ciò può essere fatto dalla classe operaia, non può essere fatto dalla piccola borghesia che non ha nessuna funzione essenziale nel campo produttivo, che nella fabbrica, come categoria industriale, esercita una funzione prevalentemente poliziesca non produttiva”. 212
A fianco di tale visione si accoppia una concezione progressista, gradualista di lenta permeazione della struttura sociale che esclude, di fatto, ogni visione di rottura rivoluzionaria e che è consustanziale alla concezione della maturazione dell’egemonia nell’ambito della società civile che molecolarmente trasforma il contenuto qualitativo dello stato stesso..
“La misura in cui il Partito nel suo complesso, e cioè tutta la massa degli inscritti, riuscirà a svolgere il suo compito essenziale di conquista della maggioranza dei lavoratori e di trasformazione molecolare delle basi dello Stato democratico sarà la misura dei nostri progressi nel cammino della Rivoluzione, consentirà il passaggio a una fase successiva di sviluppo”. 217.
 
Nei due libri esaminati se viene posta in evidenza in modo argomentato l’evoluzione del pensiero di Gramsci in carcere: la sua maturazione, ma parimente il permanere delle sue concezioni teoriche originarie, risulta peraltro per evidente contrasto la differenza e l’opposizione rispetto alla concezione teorica ed all’analisi dei fenomeni presi in esame effettuata dalla Sinistra.
 
novembre 2012