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archivio > Saggi e inediti>La Conferenza di Genova e i doveri del proletariato (Rassegna Comunista, n. 19, 15 aprile 1922)

aggiornato al: 15/08/2012

Rassegna Comunista, n. 19, 15 aprile 1922
Ripubblicando questo articolo, dedicato alla  "Conferenza di Genova" (del 1922) apparso su «Rassegna comunista», lo facciamo precedere e introdurre da quanto fu scritto, in una versione leggermente diversa, nel libro Amadeo Bordiga La sconfitta e gli anni oscuri (1926 - 1945) pubblicato da Colibrì nel 1998.
 
Nel 1922 si mostrava con maggiore evidenza che l’attività della Terza Internazionale affiancava l’azione diplomatica dell’Unione Sovietica. A Berlino, agli inizi di aprile, l’IC partecipò ad una conferenza dei partiti di sinistra proposta dall’Unione di Vienna (la cosiddetta “Internazionale 2 e mezzo”) per discutere della situazione economica in Europa e della lotta difensiva della classe operaia contro la reazione montante. Il Comintern aderì alla Conferenza all’insegna della politica del Fronte unico. Bordiga, che vi partecipò come delegato dell’Internazionale, fu il solo, come scrive Rosmer, «a chiedere che fosse preso atto delle sue riserve nei riguardi della tattica del fronte unico».
L’incontro terminò con un nulla di fatto, ma occorre tenere presente che negli stessi giorni, sempre a Berlino, si teneva un’altra conferenza, la quale riuniva diplomatici russi e tedeschi in vista della preparazione della Conferenza economica di Genova tra le grandi potenze. I due appuntamenti non avevano apparentemente nulla in comune, ma era significativo che da una parte si discutesse di Fronte unico con i socialdemocratici e, contemporaneamente, si trattasse dall’altra per giungere ad accordi commerciali e diplomatici. Che esistesse un nesso tra le due conferenze appare chiaro se si pensa che l’incontro di Berlino con le due ali del socialismo internazionale avrebbe dovuto avere un seguito nel «Congresso mondiale di tutti i partiti ed organismi proletari» da tenersi proprio durante la Conferenza di Genova.
Quest’ultima era stata indetta per favorire il reinserimento nella comunità delle nazioni delle due reiette del sistema di Versailles, cioè la Germania e l’URSS. Per i comunisti russi era un’occasione da non perdere, ed infatti vi parteciparono con entusiasmo prevedendo un buon successo per il futuro dello Stato sovietico. E per mostrare la loro buona volontà, su richiesta di Lenin, essi inclusero tra i propri delegati anche un rappresentante dei Bianchi fuorusciti, il professor Kljucnikov, redattore della rivista «Smena Vech» che appoggiava, per patriottismo, il nuovo regime.
Il 10 aprile Cicerin dichiarò che la delegazione russa riconosceva la possibilità dell’esistenza parallela «del vecchio ordine sociale e del nuovo» appena nato, e aggiunse: «la collaborazione economica fra gli Stati che rappresentano due sistemi opposti di proprietà è un imperativo decisivo per la ricostruzione del mondo».
Il giovane PCd’I accolse quest’esperienza in maniera ambigua, giacché appoggiava gli sforzi diplomatici compiuti dello Stato sovietico per il proprio rafforzamento, ritenendoli positivi ai fini della strategia rivoluzionaria in Occidente. La rivista ufficiale del partito, «Rassegna Comunista», salutava infatti la conferenza con queste parole:
 
«A Genova i delegati soviettisti non rappresentano soltanto uno Stato, il primo e finora unico Stato di operai e contadini che abbia rotto il cerchio magico dell’onnipotenza capitalistica, ma rappresentano la più grande potenza storica dell’avvenire, il proletariato mondiale».
 
È con questo spirito che il PCd’I organizzò un servizio d’ordine per proteggere i diplomatici russi che partecipavano all’incontro, già peraltro difesi da un’imponente schieramento di polizia predisposto dallo Stato italiano.
Il risultato della Conferenza di Genova, per quanto riguardava la Russia sovietica e la Repubblica di Weimar, fu il trattato di Rapallo. Esso istituiva rapporti preferenziali tra i due Stati, i quali erano basati sul comune auspicio di sovvertire il sistema di Versailles scaturito dai trattati di pace del dopoguerra. Da parte sua il Comintern «non tardò ad adattare la propria linea allo spirito di Rapallo: il suo IV Congresso infatti, oltre ad approvare la nuova politica del fronte unico, proclamò la “lotta contro Versailles”, che i comunisti avrebbero dovuto condurre fornendo il proprio sostegno alle rivendicazioni nazionali della Germania, considerata non più un “Paese imperialistico”, ma un Paese “oppresso” da una pace iniqua, imposta soprattutto dall’“imperialismo francese”».
La Russia stabilì con la Germania non solo un’alleanza economica ma anche un accordo militare segreto (già peraltro in vigore da alcuni anni) che sarebbe stato denunciato, il 16 dicembre 1926, dalla tribuna del Reichstag dal socialdemocratico Scheidemann. In base ad esso, il risorto esercito tedesco ebbe, oltre che aiuti in armi, anche basi in Russia per la realizzazione di armamenti moderni.
(da: Amadeo Bordiga La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), pp. 30-32)
 
 
 
La Conferenza di Genova e i doveri del proletariato
 
 
L'attenzione di tutto il mondo è oggi ansiosamente concentrata su Genova, dove si svolge su scala mondiale uno dei più grandi episodi della lotta tra sfruttatori e sfruttati.
La conferenza è destinata ad avere immensa portata storica. Non per quello che essa delibererà o non delibererà. Sarebbe vano infatti attendersi che essa riesca ad attuare sia pure parzialmente il programma assegnatole da coloro che la promossero: vale a dire la ricostruzione su basi capitalistiche della sconvolta e depauperata economia europea. Noi comunisti sappiamo che tale programma è ineffettuabile, utopistico. Nella fase in cui è giunto, il capitalismo non può rispondere alle esigenze dello sviluppo odierno delle forze produttive. Esso è diventato impedimento a tale sviluppo. Soltanto un altro sistema indirizzato all'aumento della produzione, e non già del profitto privato, può trarre per l'umanità una nuova vita e un nuovo avvenire dalle ruine accumulate dalla lotta imperialista del capitalismo moribondo. Questo, finché dure la sua travagliosa e lenta agonia, non può far altro che accumulare nuove rovine, ostacolando l'integrale valorizzazione dei beni naturali e della forza di lavoro umana, accendendo nuovi conflitti imperialistici.
Pertanto, senza alcuna illusione noi comunisti italiani, noi comunisti di tutto il mondo, guardiamo a Genova. Da questa accolta di alte cime dal capitalismo, accorse ad un tentativo supremo di salvare un mondo condannato dalla storia, non può uscire la parola della salvezza.
E tuttavia, il nostro interessamento per il grande evento storico non è inferiore a quello di chi milita nella trincea opposta alla nostra. Il capitalismo è andato a Genova con la speranza di trovare il bandolo dell'intricata matassa del caos economico, in cui le sue intime contraddizioni l'hanno cacciato. Ma a Genova apparrà evidente anche ai più devoti ammiratori della «civiltà» borghese che questa non è in grado di trovare il bandolo, che ogni suo tentativo in questo senso non fa che arruffare ancor più la matassa. Dialetticamente ne uscirà la dimostrazione definitiva, palpabile, dell'incapacità del regime borghese a risolvere la crisi in cui esso è caduto, ad assicurare sia pure soltanto la nuda esistenza dell'umanità, e quindi della necessità, se l'umanità non vuol perire, di eliminarlo e di passare ad altre superiori forme di vita e di produzione. Questa «lezione oggettiva» non rimarrà senza efficacia sulla coscienza delle masse lavoratrici di tutto il mondo. Essa contribuirà potentemente ad illuminarle, a risvegliarle, a raccoglierle in una salda unità di coscienza e di volontà di lotta per la salvezza loro, che è salvezza dell'umanità.
Genova, dando la prova definitiva dell'incapacità del capitalismo a salvare l'umanità dal baratro in cui esso la ha spinta, opererà per il rivoluzionamento delle masse e per l'avvicinamento della rivoluzione proletaria più di ogni nostro lavoro di propaganda e di agitazione. Per ciò, sopratutto, le anime nostre oggi si tendono verso Genova.
A Genova si combatte una grande battaglia tra il passato e l'avvenire, tra il capitalismo e il comunismo, tra la borghesia e il proletariato. Quest'ultimo vi è formalmente rappresentato soltanto dai compagni russi, apparentemente soli contro tutta l'avida geldra degli agenti politici dell'imperialismo. Ma dietro i compagni russi sta trattenendo il respiro il proletariato cosciente di tutto il mondo. A Genova i delegati soviettisti non rappresentano soltanto uno Stato, il primo e finora unico Stato di operai e di contadini che abbia rotto il cerchio magico dell'onnipotenza capitalista, ma rappresentano la più grande potenza storica dell'avvenire, il proletariato mondiale. E' appunto questa circostanza, quella che richiama sui commissari della repubblica soviettista l'attenzione quasi spasmodica non soltanto dei proletari di tutto il mondo, ma anche dei loro avversari di classe.
La riunione della Conferenza è stata di per sé la confessione, da parte dei gruppi dirigenti del capitalismo europeo, di non essere riusciti, dopo tre anni dalla «pace», ad assicurare le necessarie condizioni di vita all'Europa, nei quadri da loro ritenuti necessari e immutabili del capitalismo. L'invito alla Russia soviettista è stato la confessione che tali gruppi, sebbene in apparenza padroni del mondo, si sentono incapaci anche per l'avvenire di stabilire un ordine qualsiasi, senza il concorso del proletariato, rafforzato nella prima posizione politica da esso conquistata e validamente difesa.
Genova, qualunque cosa accada, è già di per sé una sconfitta del capitalismo. Non a caso le potenze capitalistiche che ancora si sentono forti e s'illudono di poter superare la crisi con mezzi propri, come gli Stati Uniti e la Francia, hanno disertato la Conferenza o hanno tentato e tentano di sabotarla: Essi con l'infallibile istinto di classe sentono che questa radunata è una vittoria della classe avversaria.
La crisi economica, frutto della guerra imperialista e della pace più imperialista ancora, spinge le potenze capitaliste a sforzarsi di allargare l'area di sfruttamento a tutto il mondo, a metter la mano rapace sulle sorgenti di materie prime di tutto il mondo, sulla mano d'opera a buon mercato dei paesi non capitalistici. Una delle più vaste zone ancora esenti dallo sfruttamento capitalista è l'immensa Russia, coi suoi sterminati e in gran parte fertilissimi piani, con le sue inesauribili e quasi intatte ricchezze naturali. Il capitalismo europeo ed americano tentò di metter le mani su quest'immensa riserva, trascinando la Russia zarista e kerenskiana nei vortici della guerra imperialista, mirando ad assicurarsi, con la concessione di prestiti, il diritto attuale di servirsi degli operai e contadini russi come carne di cannone, e in avvenire come bestie da fatica da adoperare a strappare dalla terra russa i suoi tesori a beneficio dell'ingordigia capitalista di profitto. La rivoluzione d'Ottobre ha spezzato il gioco. Questo fu ritentato più tardi, mediante l'organizzazione degli eserciti bianchi. Anche questa volta la resistenza eroica dei proletari e del contadini russi lo fece fallire. Il capitalismo si è convinto che con le armi non può avere ragione dello Stato soviettista, sostenuto dalla fede e dallo spirito di sacrificio degli operai e dei contadini russi, e dalle ardenti simpatie delle avanguardie proletarie di tutto il mondo. E siccome ha bisogno delle ricchezze latenti della Russia per fare almeno il tentativo di ricostituirsi, ha per necessità dovuto offrire un armistizio allo Stato dei Soviety.
Bene hanno fatto i compagni russi ad accettare l'armistizio. La prima ondata della rivoluzione proletaria, se ha lasciato in mano del proletariato posizioni preziose per la continuazione futura della lotta, quali le repubbliche soviettiste e i partiti comunisti, non è tuttavia riuscita ad abbattere il capitalismo. I due eserciti si fronteggiano ancora: Ciascuno di essi ha i suoi morti da seppellire, i suoi feriti da curare, le sue truppe affaticate da fare riposare. Finché il capitalismo, pur colpito a morte, continua ad esistere; finché esso continua a detenere in tutto il mondo, tranne che in Russia, il possesso dei mezzi di produzione; i comunisti russi sono costretti ad entrare con esso in trattative per ottenere i mezzi di cui hanno bisogno per risanare l'economia russa. E questa preziosa posizione proletaria di lotta, che è lo Stato soviettista, potrà così essere conservata nelle mani dei comunisti, per rendere i più incalcolabili servizi al proletariato il giorno in cui esso riprenderà la lotta su tutto il fronte.
La Russia soviettista dovrà pagare l'armistizio con sacrifici più o meno grandi, consentendo al capitalismo mondiale una più o meno vasta sfera d'azione sfruttatrice anche in Russia. E sia. Il capitalismo non avrà tuttavia fatto un buon affare politico. esso avrà a sua volta dovuto acconsentire non solo all'esistenza, ma al rafforzamento dello stato dei contadini ed operai in Russia, speranza oggi, centro d'azione domani del proletariato mondiale in lotta coi suoi oppressori.
In questo momento il proletariato, grazie al tradimento e all'opera di avvelenamento morale compiuta dai socialtraditori, non è ancora in grado di venire direttamente in aiuto dei compagni russi. Si va lentamente ma sicuramente preparando a questo compito. ma fin d'ora quanto vi sono in tutti i vari campi, in cui disgraziatamente il proletariato è ancor diviso, lavoratori coscienti, possono e debbono fare il possibile per sostenere i compagni che a Genova lottano apertamente, sul campo insidioso di un tappeto verde, contro il capitalismo imperialista. Questi debbono avere la sensazione che il proletariato di tutto il mondo condivide le loro ansie, esulta dei loro successi, palpita dei loro palpiti.
I delegati russi si trovano isolati a Genova contro un mondo nemico, che non ha altra mira se non quella di obbligarli a consentire allo sfruttamento del proletariato russo e tedesco. Essi hanno però anche non trascurabili elementi a loro vantaggio: la rivalità tra i vari gruppi capitalistici e i rispettivi Stati, e la pressione che su tali Stati può esercitare la classe lavoratrice. Bisogna che questa pressione sia intensificata al possibile, bisogna che i lavoratori manifestino in maniera chiara e incontrovertibile la loro ostilità alla politica delle «riparazioni» che tende a sottoporre il proletariato tedesco ― non la borghesia tedesca ― a condizioni spaventose di servitù, di miseria, di sfruttamento, a renderlo contro sua volontà strumento dell'offensiva capitalista in tutto il mondo; alla politica di restaurazione capitalistica e di asservimento della Russia soviettista, che mira ad infrangere questo massimo baluardo proletario e a strappare al proletariato di tutto il mondo la sua arma più affilata.
Questo dovere incombe sopratutto al proletariato italiano. Non soltanto né principalmente  perché il trionfo della politica imperialista della Francia e dell'Inghilterra lo escluderebbe senza cerimonie dai benefici immediati derivanti dalla riapertura del mercato russo, ma specialmente e principalmente perché il proletariato italiano è forse quello che, in tutta l'Europa occidentale, nonostante le male arti usate dai riformisti e dai loro complici massimalisti per allontanarlo dalla causa della rivoluzione russa, è rimasto più ardentemente devoto a questa causa.
Il compito dei lavoratori italiani è chiaro. I rappresentanti del popolo lavoratore russo si battono a Genova contro le prepotenze e le insidie del capitalismo mondiale. Si battono per i poveri di Russia, per gli affamati del Volga, ma allo stesso tempo si battono per la causa del proletariato mondiale. Mentre ad essi noi comunisti italiani inviamo il nostro fraterno saluto augurale, diciamo a tutti i lavoratori italiano, a qualunque partito appartengano: ― «Fratelli, aiutate i vostri fratelli in lotta! Aiutateli col largo respiro della vostra solidarietà completa, incondizionata! Aiutateli, ché essi lavorano per la vostra causa, per l'emancipazione del proletariato!».
 
Quanto è venuto svolgendosi a Genova, dopocché era stato scritto quanto precede, mostra che la lotta tra i compagni russi e il capitalismo internazionale è diventata ancora più aspra e serrata di quanto si prevedesse. Di fronte all'attitudine chiara e concretamente risoluta dei rappresentanti soviettisti decisi a non permettere la colonizzazione della gloriosa repubblica dei lavoratori; di fronte ai parziali successi riportati da tale attitudine ― specialmente all'accordo con la Germania che apre una prima breccia nel fronte capitalista ― il capitalismo si raccoglie, mette da parte per un momento le sue rivalità, tenta ricostituire il blocco per jugulare la repubblica soviettista. Tanto più energica deve esser la risposta dei lavoratori di tutto il mondo.
 
Rassegna Comunista, n. 19, Napoli, 15 aprile 1922