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archivio > Saggi e inediti>Giorgio Galli, Introduzione a: Struttura economica e sociale della Russia d'oggi (Editoriale Contra)

aggiornato al: 28/05/2012

Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, Editoriale Contra, 1966
Nel maggio del 2009 pubblicammo, nella sezione "saggi e inediti" uno scritto intitolato: Sulla riedizione da parte di Lotta comunista di "Struttura economica e sociale della Russia d'oggi". Ad esso rimandiamo e ne consigliamo la rilettura ora che presentiamo l'introduzione che Giorgio Galli fece nel 1966 per la prima edizione curata da  Editoriale Contra di quel lavoro di  Amadeo Bordiga.
 
Giorgio Galli
 
Introduzione a
«Struttura economica e sociale della Russia d'oggi»
pubblicato dalla «Editoriale Contra» nel 1966
 
 
Quarantacinque anni orsono ― nel gennaio 1921 ― veniva fondato a Livorno il Partito comunista d'Italia, sezione della III Internazionale. A tale origine si richiama tuttora il PCI. I promotori della costituzione del partito avevano in precedenza combattuto la loro battaglia nella frazione di sinistra del PSI. Alcuni di quegli uomini sono oggi entrati nella leggenda politica: Gramsci, Togliatti. Altri hanno legato la loro fama all'attività di studio, come Angelo Tasca, autore, tra l'altro, di Nascita e avvento del fascismo; o all'opera di scrittore, come Ignazio Silone.
Quasi completamente ignorato è, invece, l'uomo che diede il maggior contributo personale, di azione e di idee, alla costituzione del partito comunista, di cui divenne il primo segretario politico: Amadeo Bordiga. Di lui scrisse Togliatti prima di morire, rievocando la formazione del gruppo dirigente comunista dei primi anni: «La direzione immediata di tutto il lavoro del partito venne affidata dal Comitato Centrale a un comitato esecutivo di cui fecero parte Bordiga, Grieco, Terracini, Repossi e Fortichiari... Il vero dirigente di tutto il lavoro fu però Amadeo Bordiga. Questi era dotato di una forte personalità politica e di notevoli capacità direttive. Aveva svolto per anni un sistematico lavoro di organizzazione della propria frazione in seno al partito socialista e aveva in questo modo acquistato vaste conoscenze e prestigio tra i quadri della sinistra del movimento. Sapeva comandare e farsi ubbidire. Era energico nella polemica con gli avversari quantunque per lo più scolastico nell'argomentazione. Tutto ciò ebbe come conseguenza che il gruppo fu centralizzato quasi esclusivamente attorno alla sua persona. Si creò la convinzione che egli fosse il vero 'capo' di cui il partito aveva bisogno e che lo avrebbe sempre guidato bene, anche nelle situazioni più difficili».
Questo, dunque, il Bordiga degli anni di Livorno, descritto da Togliatti che ne fu prima fervido discepolo e ammiratore, e poi avversario duro e svalutatorio. Una personalità, dunque, di notevole rilievo. Come leader politico, il suo destino era segnato dal fatto che il partito sorto a Livorno era rivoluzionario, mentre rapidamente avrebbe dovuto adattarsi a una linea politica dettata dall'affermarsi della stabilizzazione capitalistica in Europa e dell'involuzione staliniana nell'URSS. Questo corso storico collocava inesorabilmente Bordiga ai margini e poi fuori dal partito che aveva guidato, così come poneva prima ai margini e poi fuori dell'Internazionale di Lenin gli uomini che ne erano stati i fondatori: Trotzky, Zinoviev, Radek ecc.
Ma le ragioni del silenzio attorno al nome di Bordiga non vanno ricercate solo in questa vicenda politica, ma anche in un atteggiamento personale. Recentemente è uscito un libro dal titolo «Storia della sinistra comunista» che, come afferma la presentazione, «rievoca sulla base di una rigorosa documentazione storica il processo attraverso il quale la sinistra comunista, presente in Italia, sia pure in forma embrionale dal 1880 circa, ma ben definita per saldezza di impostazione teorica e continuità di azione pratica a partire dal 1910, si enucleò dal seno del Partito socialista nell'incessante battaglia condotta prima e durante la guerra contro il riformismo... battaglia che sarà il necessario preludio alla costituzione del Partito Comunista d'Italia».
In questa «Storia della sinistra comunista» il contributo personale di Amadeo Bordiga è nettamente preminente; ma la stessa presentazione del libro si chiude con queste parole: «Sia il testo di oggi, che i testi di allora, sono anonimi: gli uni e gli altri perché da noi considerati non già come espressione di idee e di 'opinioni' personali, ma come testi di partito, e il primo per la ragione supplementare che è frutto di un lavoro di ricerca, di riordinamento e di compilazione collettivo, al quale non si addice nessuna etichetta di persona, e che solo non comporta ma esclude la borghese e mercantile rivendicazione della peggiore forma di proprietà privata, quella 'intellettuale'».
Questa posizione di Bordiga nei confronti della «proprietà intellettuale» spiega come il suo nome sia ancor oggi poco noto, dato che egli ha sempre ritenuto giusto presentare i suoi scritti come del tutto indipendenti dalla sua persona. E rimane a questo punto da chiarire il motivo per il quale il nome è stato invece collocato in testa a questo libro ora pubblicato, che è il più organico dei suoi scritti sulla storica esperienza della Rivoluzione d'Ottobre e che è quindi il primo «libro» di Amadeo Bordiga che venga pubblicato.  
La ragione può essere rintracciata in ciò che Bordiga stesso ricorda nel terzo capitolo di questo volume, rievocando la posizione dei diversi gruppi della II Internazionale nella cruciale estate del 1914: «Le persone e i loro nomi aiutano solo ad una mnemonica didattica, forse sarà anche un poco colpa nostra se se ne fa indigestione».
Nemico della «proprietà intellettuale», Bordiga capisce, tuttavia, la necessità della «mnemonica didattica». E proprio per questo motivo il libro compare col suo nome, che ricorda e deve ricordare al lettore che il testo è dovuto ad un uomo che fondò e diresse il Partito Comunista d'Italia, che visse accanto a Lenin ed a Trotsky il periodo della grande occasione storica rivoluzionaria degli anni '20.
Egli è praticamente il solo superstite degli uomini della III Internazionale, che a quasi mezzo secolo di distanza dall'Ottobre Rosso ne tenta un bilancio di largo respiro con le stesse idee, con lo stesso metodo di analisi di allora: il marxismo restaurato da Lenin.
Il lettore troverà numerosissime volte, nel testo, la concezione del marxismo come corpo di dottrina globale e invariabile di cui ― nel corso della storia ― solo va garantita la continuità dell'interpretazione e dell'applicazione attraverso un'altra continuità, quella del partito rivoluzionario che esprime e sintetizza le esperienze della classe proletaria.
Per maggiore chiarezza, è qui, tuttavia, opportuno riportare questa stessa concezione nella forma sintetica nella quale la espresse Bordiga, in un opuscolo, pure anonimo, pubblicato col titolo «Sul filo del tempo»:
«Si adopera l'espressione 'marxismo' non nel senso di una dottrina scoperta o introdotta da Carlo Marx persona, ma per riferirsi alla dottrina che sorge col moderno proletariato industriale e lo 'accompagna' in tutto il corso di una rivoluzione sociale ― e conserviamo il termine 'marxismo' malgrado il vasto campo di speculazione e di sfruttamento di esso da parte di una serie di movimenti antirivoluzionari... La storia della sinistra marxista, del marxismo radicale, e più esattamente del marxismo, consiste nelle successive resistenze a tutte le 'ondate' del revisionismo che hanno attaccato vari lati della dottrina e del metodo, a partire dalla organica, monolitica formazione che si può far collimare col Manifesto del 1848... Lo stesso marxismo non può essere una dottrina che si va ogni giorno plasmando e riplasmando di nuovi apporti e con sostituzione di 'pezzi' ― meglio di rattoppi e 'pezze'! ― perché é ancora, pur essendo l'ultima, una delle dottrine che sono arma di una classe dominata e sfruttata che deve capovolgere i rapporti sociali, e nel farlo è oggetto in mille guise delle influenze conservatrici delle forze e ideologie tradizionali proprie delle classi nemiche... Per quanto dunque la dotazione ideologica della classe operaia rivoluzionaria non sia più rivelazione, mito, idealismo, come per le classi precedenti, ma positiva 'scienza', essa ha tuttavia bisogno di una formulazione stabile dei suoi principii e anche delle sue regole di azione, che assolva il compito ed abbia la decisiva efficacia che nel passato hanno avuto dogmi, catechismi, tavole, costituzioni, libri-guida come i Veda, il Talmud, la Bibbia, il Corano o la Dichiarazione dei diritti... Una nuova dottrina non può apparire in qualunque momento storico, ma vi sono date e ben caratteristiche ― e anche rarissime ― epoche della storia in cui essa può apparire come un fascio di abbagliante luce, e se non si è ravvisato il momento cruciale ed affissata la terribile luce, vano è ricorrere ai moccoletti... Per la classe proletaria moderna formatasi nei primi paesi del grande sviluppo industriale capitalistico le tenebre sono state squarciate poco prima della mezzeria di secolo che precede la presente. L'integrale dottrina in cui crediamo, in cui dobbiamo e vogliamo credere ha avuto allora tutti i dati per formarsi e descrivere un corso di secoli che dovrà verificarla e ribadirla dopo lotte smisurate. O questa posizione resterà valida o la dottrina sarà convinta di falso e la dichiarazione di apparizione di una nuova classe con carattere, programma e funzione rivoluzionaria sua propria nella storia sarà stata data a vuoto».
E' alla luce di questa impostazione sul concetto di marxismo che Bordiga ne analizza il momento leninista, che grandeggiò in Europa in coincidenza con la prima guerra mondiale e con il crollo della Seconda Internazionale, toccando il suo punto culminante con la fondazione dell'Unione delle repubbliche Socialiste Sovietiche, il primo stato concepito come a direzione proletaria dopo il più limitato precedente della Comune di Parigi che seguì la guerra franco-prussiana del 1870.
Sugli avvenimenti che portarono dal febbraio all'ottobre del 1917 e poi, via via, attraverso la guerra civile, la nuova politica economica e le lotte all'interno del partito bolscevico, sino all'affermarsi del regime staliniano, esistono ormai., anche in Italia, diverse pubblicazioni di valore, dalla nuova edizione della classica «Storia della rivoluzione russa» di Trotzky, a «L'opposizione nello stato sovietico» di Leonard Shapiro, ai primi due volumi di Edward Carr «La rivoluzione bolscevica» e «La morte di Lenin», nucleo iniziale della vasta «A history of a Soviet Russia, 1917 - 1940» dello storico inglese, al noto volume di Deutscher su «Stalin» e alla trilogia su Trotzky: «Il profeta armato», «Il profeta disarmato», «Il profeta esiliato». Esistono inoltre varie pubblicazioni storiche sul partito bolscevico, tra le quali la più soddisfacente è, probabilmente, quella di Rudolf Schlesinger.
Tutte queste iniziative editoriali risalgono all'ultimo decennio, e corrispondono alla maggiore apertura ed al maggiore interesse per una visione critica delle vicende sovietiche che coincide col periodo di crisi iniziatosi dopo la morte di Stalin. Oggi, in sostanza, il lettore italiano ha a disposizione una serie di testi che gli permettono di farsi, degli avvenimenti decisivi del periodo storico che va sotto il nome di rivoluzione russa, una idea sufficientemente chiara, lontana tanto dalle agiografie quanto dalle denigrazioni.
In questo quadro, gli scritti di Bordiga occupano, però, un posto del tutto particolare e insostituibile. Essi collocano la rivoluzione russa nel corso storico del processo rivoluzionario del proletariato quale è visto dal marxismo, analizzandola come può essere fatto, a mezzo secolo di distanza, da un uomo che ha vissuto e che vive questo processo e la molteplicità delle esperienze cui esso dà luogo, interpretandolo con la stessa metodologia che fu propria di Lenin.
Oggi, non solo «il termine 'marxismo'» ma anche la figura e l'opera di Lenin è come direbbe Bordiga, «vasto campo di speculazione e di sfruttamento» e l'addentrarsi nelle molteplici interpretazioni della personalità e della azione del leader bolscevico è compito che anche gli storici hanno affrontato solo in parte. Ma per quanto riguarda il Lenin dirigente politico degli anni nei quali legò il suo nome alle scelte che fecero assumere un corso determinato alla storia russa nel primo quarto del secolo, credo si possa dire che il suo metodo di ragionare e di agire fosse espressione dell'uso, nello stesso modo, dell'identico metodo con il quale Bordiga ne ha ricostruito le vicende.
Plekhanov, maestro di Lenin e considerato il padre di tutta una generazione di marxisti russi, scrisse nel 1898 un saggio assai famoso su «La funzione della personalità nella storia», vista alla luce della concezione marxista. Questo testo è rimasto tuttora alla base di quello che i marxisti pensano rispetto al legame dialettico tra il ruolo del singolo e corso degli eventi predeterminato da cause generali:
«Nei rapporti sociali ― concludeva il suo saggio Plekhanov ― esiste una determinata logica: sino a quando gli uomini si troveranno in dati rapporti reciproci, essi ineluttabilmente sentiranno, penseranno e agiranno appunto così e non altrimenti. Contro tale logica sarebbe inutile che si mettesse a lottare anche l'uomo politico: il corso naturale delle cose (cioè questa stessa logica dei rapporti sociali) ridurrebbe a nulla tutti i suoi sforzi. Ma se io so in che senso cambiano i rapporti sociali in virtù di determinati cambiamenti del processo sociale ed economico della produzione, io so pure in che senso si muterà anche la psicologia sociale; di conseguenza io ho la possibilità di influire su di essa. Influire sulla psicologia sociale vuol dire influire sugli avvenimenti storici. Quindi, in un certo senso, io posso sin da ora fare la storia e non mi occorre aspettare sino a quando essa sarà fatta».
Se questa è la funzione della personalità nella storia secondo la concezione marxista, è perché, per citare ancora Plekhanov, «le particolarità personali dei dirigenti determinano la fisionomia individuale degli avvenimenti storici e l'elemento casuale sempre esercita qualche influenza nel corso di questi avvenimenti, il cui orientamento viene determinato, in ultima analisi, dalle cosiddette cause generali, vale a dire dallo sviluppo delle forze produttive e dei rapporti che tale sviluppo determina fra le persone occupate nel processo economico e sociale di produzione»; si può dire, alla luce di queste considerazioni, allora, che il carattere peculiare di questa pubblicazione appare in tutta la sua evidenza.
La funzione della personalità di Bordiga al momento della fondazione del Partito Comunista d'Italia è stata illustrata da Togliatti. La funzione della personalità di Bordiga, oggi, è, presumibilmente, quella di essere il solo rivoluzionario vivente della generazione che conobbe Lenin e che lavorò con Lenin che, senza modificazioni da quello che fu allora, simbolo vivente di quella "invarianza" del marxismo che egli descrive, ha potuto scrivere in questi anni un'opera di vasto respiro che sintetizza l'esperienza di diverse generazioni di militanti rivoluzionari.
«Il nostro lavoro ― si può leggere nel nono capitolo di questo libro ― non è che un tentativo verso la stesura, non di una storia (nel senso che per i benpensanti si indica col termine "storiografia") ma di alcuni capitoli di scienza storica, termine che per tutto il moderno pensiero è una bestemmia. Il modernismo ostenta di aver cacciato da tutte le scienze, anche naturali e non umane (per il marxismo la scienza della specie umana è una scienza naturale) causalità e determinismo, solo perché molti problemi ― da tempo per nulla recente ― si affrontano e risolvono, quanto ad apparato matematico, col metodo probabilistico. Ossia non si assume di aver determinato, mediante leggi scoperte, il valore preciso del dato incognito, ma solo di aver stabilita la conoscenza di un certo campo di valori in cui il dato che si domanda dovrà con buona probabilità 'aggirarsi'.Ad una conoscenza del futuro (meglio dire dell'incognito, potendo essere un'incognita del passato cento volte più difficile a calcolare di una del futuro; poniamo la composizione chimica del nero che Cleopatra si dava sotto gli occhi, e l'ora fino al minuto secondo del prossimo eclissi di luna) rigorosa e puntuale, obbligata e certa, se ne sostituirebbe una elastica e approssimata. Non qui svolgiamo il punto che questa alternativa si riduce a una masturbazione filosofica da tempi smidollati: la certezza assoluta della soluzione non è che una finzione di comodo, una convenzione che, nella prassi della specie, ha fatto sempre buon gioco, figliando fiammeggiante potere di conoscenza, come il classico buscar oriente per occidente, come lo 'altissimum planetam tergeminum osservavo' di Galileo, che primo adocchiò l'anellato Saturno. La sicurezza matematica non è che un espediente per evitare di pigliar cantonate troppo di pieno; la collettiva dotazione di esperienza della specie, che chiamiamo nella storia religione, filosofia, empirismo, scienza, è un edificio elevato con tante pietre, su ognuna delle quali si può scrivere: individuale fesseria... Questa digressione serve al rilievo che naturalmente siamo anche noi influenzati dal modo tradizionale di trattare l'argomento, e come siamo vittime dell'abuso dei nomi dei personaggi illustri, così lo siamo della mania delle date 'matematiche'. Trattando Russia svolgemmo una prima parte che saggiava la esposizione marxista della storia di quel paese fino alla grande Rivoluzione. In seguito siamo passati al tema dell'attuale struttura russa, e il contenuto di tale esposizione si divide in due parti: la lotta per il potere nelle due rivoluzioni, e quella più specialmente diretta al tema: ossia a provare la tesi che la società russa di oggi è capitalista in giovane sviluppo, non socialista».
Questo brano riassume l'essenza del libro, tanto in punto di metodo (Bordiga ha una formazione anche matematica; la sua professione è quella di ingegnere), quanto per quanto riguarda l'oggetto della trattazione: «alcuni capitoli di scienza storica (volti) a provare la tesi che la società russa di oggi è capitalista in giovane sviluppo».
Il quadro completo dell'opera potrà aversi solo dopo la pubblicazione del secondo volume, fermandosi questo primo al periodo che precede il lancio dei piani quinquennali. Ma il punto in cui ambisce a sintetizzare l'esperienza marxista, dopo la prima metà del secolo è già ben definito.
Sono note le polemiche sviluppatesi, nell'ambito del movimento operaio rivoluzionario, dopo l'involuzione della III Internazionale, sulla natura sociale dell'URSS, da quando Trotzky coniò la definizione di «stato operaio degenerato» a quando, fra i suoi seguaci e allievi, cominciò ad essere formulata la teoria del «collettivismo burocratico», visto come un sistema economico di produzione diverso tanto dal capitalismo quanto dal socialismo.
Bordiga confuta solo di sfuggita queste valutazioni, fermo com'è alla concezione del marxismo quale «integrale dottrina» che ha avuto sin dall'inizio (1848) «tutti i dati per formarsi e descrivere un corso di secoli che dovrà verificarla e ribadirla». E' dunque nel quadro di questa concezione, di questo metodo, che possono essere utilmente letti i «capitoli di scienza storica» compresi in questo libro. E' il corso dei secoli soltanto che potrà stabilire se questi capitoli siano pietre della «collettiva dotazione di esperienza della specie» oppure se saranno del tutto inutili perché «la dottrina sarà stata convinta di falso».
Una volta adottato questo modo di lettura, l'esposizione di Bordiga può assumere appieno il suo valore, che è quello di apprendere la storia della rivoluzione russa come momento della rivoluzione proletaria, quale può essere scritta da chi si colloca all'interno di questa esperienza, e vi si colloca oggi, ma con lo stesso spirito e con lo stesso metodo di chi la visse nei suoi momenti epici, realizzando con ciò, la sintesi della storia come azione e come riflessione, che è una sintesi assai rara a prodursi; e che, per quanto riguarda la rivoluzione russa, si produsse soltanto nelle opere di Trotzky fino al 1940.
A queste opere e al suo autore Bordiga fa assai frequente riferimento; e, per molti aspetti e al di là delle polemiche che in questo momento dividono o gruppi politici che si richiamano alla tradizione del marxismo rivoluzionario, quest'opera del fondatore del partito comunista d'Italia può essere vista come la continuazione e lo sviluppo dei «capitoli di scienza storica» scritti dal condottiero dell'Armata Rossa.
Chi ha letto l'ultimo volume di Deutscher «Il profeta esiliato» ha potuto avvertire, al di là delle particolari interpretazioni dell'autore, il senso di vuoto dell'uomo che, dopo aver guidato alla lotta masse gigantesche di combattenti, si vede oggetto della persecuzione di un apparato mostruoso, nato nel seno stesso di quello che era stato il partito della rivoluzione, e al quale non può opporre che la sua penna di scrittore, amareggiato dai continui conflitti dei piccoli gruppi di seguaci nei quali egli purtuttavia vedeva il nuovo movimento rivoluzionario in formazione.
Bordiga, che ha vissutola stessa esperienza di Trotsky, ma su sala minore quanto a responsabilità operative, sembra essere dotato di un carattere più sereno, di una saggezza che ha tratti ambientali decisamente partenopei, così come lo hanno molte espressioni che egli adotta nel corso della trattazione. Quanto Trotzky si sentiva «scrittore», altrettanto Bordiga, si è visto, disprezza la «proprietà intellettuale». Trotzky vedeva sempre vicina l'ira della riscossa proletaria, di un nuovo Ottobre; e Bordiga l'ha sempre vista molto rinviata nel tempo, nel 1926 come nel 1945, quando la situazione poteva ad altri apparire più oggettivamente rivoluzionaria, in senso marxista, di quanto in realtà non fosse. Trotzky reputò giunto il momento di fondare una nuova Internazionale (la Quarta) alla vigilia della seconda guerra mondiale mentre Bordiga non ne vede le condizioni dopo vent'anni dalla sua conclusione: oggi egli prospetta (vi accenna anche nel nono capitolo già citato) nel 1975 la data possibile di una nuova ondata rivoluzionaria in coincidenza con un'eventuale terzo conflitto mondiale.
Sono, queste, le differenze tra le due personalità, che però si attenuano di molto, sino quasi a scomparire, allorché esse traducono in uno sforzo personale di esposizione i dati dell'esperienza collettiva accumulati dal movimento rivoluzionario di ispirazione marxista. I loro «capitoli di scienza storica» hanno molto in comune, appunto perché sono una sintesi della storia come azione e riflessione che entrambi hanno vissuto nell'ambito del pensiero marxista.
Per questa ragione, l'opera di Bordiga può essere considerata in parallelo all'opera di Trotzky: sono entrambe impegnate a sistematizzare l'esperienza prima leninista e poi staliniana, portate avanti in un periodo di deflusso rivoluzionario nei paesi industriali avanzati e di riorganizzazione della società russa su basi sempre più diverse da quelle che erano state prospettate nell'ottobre.
Rispetto a Trotzky, Bordiga ha il vantaggio di aver scritto quando molta più esperienza era stata accumulata; «La rivoluzione tradita» era stata elaborata da Trotzky sulla base dei dati e dei documenti di trent'anni fa, mentre la presente opera è stata stesa tenendo conto della situazione quale si presentava alla metà degli anni '50.
L'ulteriore evoluzione negli anni delle riforme kruscioviane e sino a quelle prospettate nell'ultimo Comitato centrale del PCUS (settembre 1965) sembra andare praticamente nella direzione indicata dall'interpretazione bordighiana nel senso che gli elementi comuni e similari tra l'economia capitalistica tradizionale e quella sovietica si sono andati facendo sempre più evidenti.
L'economia dei paesi occidentali industrialmente più avanzati è venuta oggi assumendo le caratteristiche proprie di un capitalismo sempre più coordinato e razionalizzato, nel quale il ruolo dei pubblici poteri è andato aumentando, senza che siano venute meno, nell'essenziale, le caratteristiche di fondo di economia di mercato. Per contro, la pianificazione rigida e centralizzata basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione ― peculiarità dell'economia sovietica negli anni in cui Trotzky scriveva ― va oggi cedendo il passo, nell'URSS, a forme nelle quali l'orientamento fissato dal Gosplan in materia di investimenti e di ripartizione del reddito tende a coesistere con una crescente autonomia degli organismi produttivi aziendali attorno ai quali si viene sempre più strutturando un vero e proprio mercato.
Così, le categorie fondamentalmente capitalistiche, nel senso che Marx dava a questo termine, del prezzo, del profitto, della accumulazione, riproduzione e circolazione del capitale, tendono a riapparire, anche terminologicamente, nell'Unione Sovietica, a quasi mezzo secolo di distanza dalla Rivoluzione d'Ottobre. E lo sforzo attuale del gruppo dirigente sovietico di conciliare questa realtà socio-economica e produttiva con i residui della terminologia leninista, urtano contro ostacoli sempre maggiori, tanto all'interno dell'URSS che all'interno del sistema di Paesi che si danno la qualifica di socialisti.
Parallelamente, infatti, al processo di evoluzione della società sovietica verso forme sempre più evidentemente analoghe a quelle del capitalismo classico quale, a suo volta, si è venuto evolvendo, si apre un nuovo processo critico nell'ambito dello stesso movimento comunista già a direzione sovietica. All'origine di questo processo si ritrova il richiamo al leninismo ― non è questa la sede per accertare quanto fondato ― cui fa appello il Partito comunista cinese, il quale comincia ad estendere la sua critica precisamente ai rapporti di produzione e di classe quali si vanno sempre più chiaramente affermando nell'URSS.
Per quanto suggestive siano, dunque, le teorie che si richiamano al delinearsi di una nuova forma di produzione (collettivismo-burocratica) che sia diversa dal capitalismo senza per questo essere socialista ― spezzando così la successione logica dei cicli produttivi quali il marxismo li ha definiti ed ai quali costantemente il volume si richiama ― sembra che le vicende che si succedono da un ventennio a questa parte forniscano maggiori argomenti a coloro che non vedono, invece, nell'URSS, un'eccezione alla regola dello sviluppo capitalistico.
Questi problemi potranno apparire sotto una luce più chiara allorché questo primo volume sarà completato, come si diceva, dal secondo, di imminente pubblicazione, particolarmente dedicato alle modalità del processo di industrializzazione nell'URSS quali si sono andate affermando con l'avvio dei piani quinquennali, lungo il quarto di secolo che si conclude alla metà degli anni '50.
Ma, già sin da ora si può dire che, con questo libro, i lettori dispongono di un primo testo di ampia prospettiva storica ― elaborato da una «personalità», nel senso marxista e plekhanoviano, praticamente insostituibile, oggi, in questa «funzione» ― che si colloca lungo una linea di chiara continuità, nella tradizione di pensiero comunemente chiamata dei «classici del marxismo».