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archivio > Saggi e inediti>Bruno Maffi, Ricordo di Ugo Guido Mondolfo professore (Esperienze e studi socialisti, 1957)

aggiornato al: 14/04/2012

Esperienze e studi socialisti, La Nuova Italia, 1957
Ospitiamo questa volta un ricordo di Bruno Maffi ad un suo professore al liceo Berchet di Milano. Ugo Guido Mondolfo fu socialista riformista per tutta la vita e tanto più valido quindi questo suo ricordo, tributatogli per le sue qualità umane, da un comunista rivoluzionario.
 
Ricordo di Ugo Guido Mondolfo professore
 
So di non appartenere al novero degli allievi che hanno procurato molte soddisfazioni al Maestro. Non ho seguito la via della scienza pura; ho battuto e batto in politica una strada che non è la sua. Non v'è pregiudizio di parte nel mio ricordo, e nel mio brevissimo omaggio.
A noi appena usciti dal ginnasio, il nome di Ugo Guido Mondolfo incuteva un grande rispetto e, perché non dirlo? una certa paura. Ce l'avevano dipinto severo, e la sua figura ascetica non era di quelle che creano un'immediata corrente di calda intimità fra professore ed alunno. Istintivamente, ci sentivamo sperduti in un mondo nuovo di cui non possedevamo la chiave. E, se ne eravamo conquistati, è perché finivamo per riconoscere nella maschera severa l'austerità della scienza che spregia la retorica, l' approssimazione, la facile conquista, non la durezza dell'uomo che guarda dall'alto l'inerme e l'incolto. Ci avvicinava a sé a poco a poco, non con gli artifici brillanti di una facile parola o di un cuore aperto ― che pure brillava, a tratti, nel lampo d'indulgente ironia degli occhi intenti ―, ma con lo stesso rigore formativo di una cultura solida e di una mente chiara. Senza darlo a vedere, ci iniziava al difficile uso degli strumenti della ricerca storica e ad una visione razionalistica del mondo.
Per me, se ripenso a quegli anni lontani e così difficili, è questo il primo insegnamento che i suoi alunni hanno ricevuto da lui. Altri professori potevano essere più brillanti, più facili, più vicini a noi ― forse solo perché più giovani; ― nessuno ci forniva un metodo più sicuro, un più valido mezzo di formazione. E' con lui che abbiamo cominciato a ragionare con la macchina del nostro cervello.
E poi, ci schiudeva un mondo insospettato. Uscivamo dal bozzolo di programmi ricalcati su una concezione aulica della storia, che allineava su una scena di cartapesta personaggi forse pittoreschi ma puramente letterari, staccati dalla loro e dalla nostra vita; per la prima volta, vedemmo muoversi sotto la superficie dei cosiddetti grandi fatti storici le classi e le loro continue lotte, e il tessuto economico e sociale articolarsi; vedemmo dietro i blasoni e le armature tintinnanti, di cui era stata nutrita la nostra fantasia giovanile, e dietro la brillante vita cittadina dei pannelli storici di colore, i popolani con le loro fatiche e i loro tormenti, e gli aspri conflitti di forze sociali al vertice e alla base di quelli che, nei sudati libri di ginnasio, ci erano parsi i solidi e monolitici edifici di repubbliche, regni ed imperi; riconoscemmo finalmente nel popolo grasso e minuto della Firenze medievale o negli Stati della Parigi settecentesca le immagini ― proiettate su un altro schermo, ma vive e tangibili ― del nostro stesso tempo; risentimmo nelle lotte e nelle conquiste del passato l'eco di quelle che si agitavano, confusamente presentite e spesso mal comprese, intorno a noi, e che battevano fino alle porte della nostra scuola ― il Liceo Berchet, ― come di tutti i presunti sacrari intangibili di una cultura intemporale. Così le tensioni del primo dopoguerra, alle quali non potevamo sfuggire neppure se l'avessimo voluto perché tumultuavano con violenza nella nostra vita quotidiana e si ripercuotevano nel cerchio delle nostre famiglie, delle nostre amicizie, perfino dei rapporti fra compagni (ricordate le furibonde battaglie trasfigurate al ritmo delle battaglie del passato, o compagni dispersi della IB?), si illuminavano alla luce delle tensioni di classe in età lontane e vicine; e non a caso ho ricordato il tumulto dei Ciompi e la rivoluzione francese, perché appunto in quei grandi episodi ― programma o no ― la voce di Mondolfo toccava i suoi accenti più vivi e più caldi, e l'impeto delle lotte di classe infrangeva, prepotente e fecondo, la corazza della cultura ufficiale.
Non egli, così scrupoloso, avrebbe imposto agli alunni la propria ideologia; ma essa dava al racconto storico un'ossatura, lo rendeva palpitante e, insieme, limpido. in un modo che per alcuni di noi non andrà mai perduto. Nessuno gli avrebbe chiesto ― né avrebbe ricevuto da lui ― un filo conduttore (del quale tuttavia lo sapevamo in possesso) per orientarsi e agire nel presente, come per interpretare e capire il passato: ma il filo c'era, e ci veniva non dai libri ma dal suo modo di illustrare, chiarire e concatenare i fatti. Aveva un nome, dovevamo saperlo più tardi: si chiamava interpretazione materialistica della storia.
E' a questa scuola, alle parole ch'egli ci diceva dalla cattedra e passeggiando nel suo caratteristico modo fra i banchi, alle difficili esercitazioni che ci affidava e che inevitabilmente battevano su quei due grandi tasti, che si è accumulato per molti di noi ― poco o molto che abbiamo fatto, vicini o lontani che siamo ― il secondo debito di riconoscenza per Ugo Guido Mondolfo professore. Era, dopo l'insegnamento di un romantico socialismo materiato di fatiche e privazioni che qualcuno di noi respirava a casa, una prima e solida educazione al marxismo; e, per lui era una battaglia che continuava mentre, fuori e dentro le mura della scuola, la classe dominante celebrava e suoi sanguinosi trionfi. Era presto per capirlo, allora; non è tardi per riconoscerlo. E, di là da ragioni affettive familiari e personali, e fuori e al di sopra delle posizioni di parte, è un motivo di più per volergli bene.
 
Bruno Maffi
 
da «Esperienze e Studi Socialisti», in onore di UGO GUIDO MONDOLFO, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1957