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archivio > Saggi e inediti>Alcune note sul libro di Roberto Gremmo "Gli anni amari di Bordiga" (Storia Ribelle, giugno 2009)

aggiornato al: 24/07/2009

"Gli anni amari di Bordiga" (Storia Ribelle, giugno 2009)

Alcune note sul libro di Roberto Gremmo:

«Gli anni amari di Bordiga» (Storia Ribelle - Biella,  giugno 2009)

 

 

La proficua attività pubblicistica di Roberto Gremmo si è arricchita nell'ultimo anno di tre volumi ugualmente editi da "Storia Ribelle" (che è anche il titolo della rivista che Gremmo pubblica, scrivendone tutti gli articoli, e che è arrivata al n. 24): prima, nel maggio 2008 Bombe, soldi e anarchia L' "affare Berneri" e la tragedia dei libertari italiani nella guerra di Spagna che ha creato una certa reazione in ambiente anarchico dato che si sostiene che l'eliminazione di Berneri e Barbieri non  è attribuibile a sicari "comunisti" ma nacque in "ambienti amici", poi nel dicembre 2008 Mussolini e il soldo infame I segreti inconfessabili d'un giovane "anarchiste" romagnolo in Francia che ha goduto di una recensione di Massimo Novelli su La Repubblica del 14 dicembre 2008, ed ora, giugno 2009, Gli anni amari di Bordiga Un comunista irriducibile e nemico di Stalin nell'Italia di Mussolini.

Una notevole attività che sembra spaziare tra il giornalismo d'investigazione e un lavoro di inchiesta storica ma che non  raggiunge la serietà  necessaria anche a queste branche della ricerca facendo del nostro autore solo un faiseur de livres.

Comune a tutta l'attività pubblicistica di Gremmo è l'uso massiccio delle ricerche negli Archivi di Stato con la riproposizione di rapporti di spie e di fiduciari della polizia o di vari altri servizi nell'investigazione sull'attività, nel suo caso, degli oppositori indagati dal regime  fascista.

La ricostruzione storica di Gremmo non si basa quindi sullo studio e sull'indagine del periodo che va esaminando, della situazione storica e delle varie forze sociali e classi che si scontrano e sulle posizioni che i vari "attori"  vengono assumendo, ma esclusivamente su rapporti ed informative di spie e poliziotti che talvolta poco comprendono della realtà che vivono e delle posizioni di chi pedinano o di coloro su cui devono indagare e che, spesso, avrebbero bisogno di una attenta disamina critica.

Il lavoro su: "Gli anni amari di Bordiga" cui vorremo dedicare la nostra analisi si rivolge in particolare al periodo che va dal 1926 al 1945 della vita di Bordiga (anche se comprende  più di un excursus sulla storia della «Frazione» che, agendo fuori d'Italia, si richiamò, negli stessi anni in esame, alle posizioni di Bordiga ma che si dovrebbe dire, più correttamente, della sinistra comunista italiana).

Gremmo, nello svolgere il suo lavoro, non cita  un libro uscito una decina di anni fa che a quel periodo si dedicò (Arturo Peregalli e Sandro Saggioro, Amadeo Bordiga - La sconfitta e gli anni oscuri (1926 - 1945) ma ne fa cenno, senza nominarlo, in termini critici e scrive (in una nota a pag. 85): «...meno cauti di noi, alcuni autorevoli studiosi hanno considerato attendibile l'unica relazione di Polizia Politica finita nel fascicolo di Bordiga del Casellario Politico Centrale quella sulla conversazione romana del 16 maggio 1936 con l'informatore Angelo Alliotta. (...) Una parte è stata addirittura collocata in epigrafe (con tanto d'indicazione del nome di Bordiga quale autore!) sul retro copertina d'un volume su quegli anni bordighiani, definiti chissà perché oscuri».

Queste considerazioni ci sembrano abbastanza gratuite e sono contraddette dal  modo di lavorare di Gremmo ed anche da quanto scrive (ad esempio a pag 121 è detto, riferendosi a Bordiga, : «i suoi veri convincimenti se li tenne dentro ma possiamo conoscere cosa diceva in colloqui confidenziali...»).  Fino a ben dopo la morte, nel 1970, il PCI fece di tutto per cancellare da ogni ricordo storico (facilitato in questo dall'egemonia incontrastata in ambiente intellettuale) la figura di  Amadeo Bordiga. Se non si poteva negare la sua presenza a Livorno alla fondazione del Partito Comunista d'Italia, se ne poteva cercare di cancellare poi ogni traccia magari dicendo che era passato al fascismo oppure, nella migliore delle ipotesi, si era dedicato "a costruire case".

Il libro di Livorsi  del 1976 è il primo lavoro che cerca, con molta cautela in verità, di fare un po' di luce sul periodo del "contrasto con il Comintern" e poi del suo "minoritarismo".

Questo periodo è stato giustamente definito «anni oscuri» nel lavoro che gli fu dedicato e che fu pubblicato dalla casa editrice Colibrì nel 1998. Nessun intento criptico quindi ma solo l'evidenza di una realtà. Quanto alla citazione della conversazione romana  del maggio 1936 che nelle pagine interne del lavoro è ben precisato essere documento di una spia va solo detto che le parole riferite a Bordiga e riportate fra virgolette dall'informatore riportano perfettamente quello che era il pensiero e le posizioni di Bordiga (dalla citazione su... Girardengo propria di un appassionato di ciclismo, quale Bordiga era, alla considerazione degli uomini che, come singoli individui, per Bordiga non hanno mai contato molto). All'inizio di quel rapporto la spia inoltre precisava: «Appena terminata la conversazione si sono fissati rapidi appunti, con la scorta dei quali si ricostruisce questo resoconto che riproduce quasi parola per parola quanto il Bordiga ha detto, con lo stesso ordine da lui seguito,...». Non è quindi ben comprensibile la critica che Gremmo fa a quel lavoro.

Ma veniamo alle cose che non vanno nel libro di Gremmo. Lasciando perdere le numerose sviste o gli errori di "editing" (ad esempio a pag.8 si indica "il 3 febbraio 1925" come data dell'arresto di Bordiga a Roma quando si tratta del 1923, ci sono errori più seri che non possono passare inosservati. Elenchiamo i principali:

A pag. 31 Gremmo scrive:

«Dopo un breve soggiorno in Belgio, Pappalardi era tornato clandestinamente a Parigi e nel sobborgo operaio di Pantin nell'aprile del 1928 era stato tra i fondatori della "Frazione di sinistra dell'Internazionale comunista"...».

Tralasciando il fatto che che a Pantin nella primavera del 1928 viene fondata la "Frazione di sinistra del P.C.I." e non certo dell'I.C. quello che ci preme dire è che Pappalardi a Pantin non c'era proprio in quanto si era già separato, anni prima, dagli elementi legati ad Ottorino Perrone che si riuniranno a Pantin e pubblicheranno prima Prometeo e poi Bilan. Pappalardi nel 1927 aveva fondato (in Francia) i "gruppi di avanguardia comunista"  con i quali fece uscire (fino al 1929) "Le Reveil communiste" dalle cui pagine polemizzò con "Prometeo". Sulla sua figura è in attesa di pubblicazione un bel lavoro "La storia di un sovversivo: Michelangelo Pappalardi" di Fausto Bucci, Paolo Casciola e Claudio Gregori.

A pag. 94 inoltre, Gremmo scrive:

«Quando scoppiò la guerra di Spagna uno dei militanti più attivi, il napoletano Enrico Russo abbandonò il movimento pubblicò con Nicola Di Bartolomeo il periodico "La nostra Parola" che uscì "con fondi di Troski" ed entrambi raggiunsero Barcellona per arruolarsi con pochi seguaci nella "Colonna Lenin" del P.O.U.M.».

Parecchi errori in poche righe...  Enrico Russo, allo scoppio della guerra di Spagna non abbandonò la Frazione, ma fece parte della «minoranza» della Frazione la cui posizione era quella dell'intervento, su posizioni rivoluzionarie e comuniste, alla guerra in atto mentre la «maggioranza» sosteneva che lo scontro in atto era tra due forze borghesi (la democratica e la fascista) ed il proletariato non doveva parteciparvi. L'incomprensione di questo fatto è accentuato da quanto è scritto qualche riga prima, riferendosi a De Leone (altro compagno della minoranza che fu presente in Spagna): «... De Leone si trovava fra quelli che sostenevano la necessità di aggregarsi al fronte antifascista interclassista», frase che De Leone avrebbe ritenuto una calunnia ed un'infamia. La minoranza della Frazione che andò in Spagna pensava di essere utile allo scoppio della rivoluzione e disdegnava anch'essa ogni fronte antifascista. In ogni caso Enrico Russo abbandonò più tardi la Frazione (al ritorno dalla Spagna); in Spagna era andato nel 1936 (con Mario De Leone) ed era diventato comandante militare della Colonna Internazionale Lenin di cui Il trotskista Nicola Di Bartolomeo era responsabile politico. Nessun altro legame tra loro e nessuna partecipazione di Enrico Russo alla pubblicazione di «La nostra parola» (che, fra l'altro, era uscita  nel 1934 ad opera di Di Bartolomeo).

Ancora, a pag. 81, si parla di Boris Souvarine  e si scrive: «fondatore del Cercle Marx e Lenine e della Revolution Proletarienne». Giusto per il "Cercle Marx e Lenine" ma Souvarine non ebbe mai molti rapporti con la Revolution Proletarienne  rivista  fondata da  Monatte nel 1925, se non quelli di conoscenza e di critica reciproca.

A pag. 99 quando si accenna alla "Frazione" durante la seconda guerra mondiale e si legge "praticamente non ebbe più voce durante i primi anni del conflitto mondiale" è giusto, ma non è corretta la nota che a ciò segue (nota 28 pag. 111) «Durante l'occupazione nazista della Francia, nel 1943 dei militanti che si proclamavano "communistes revolutionnaires" diffusero dei volantini firmati "Fraternisation Proletarienne" invitando i proletari ad opporsi ai due blocchi imperialisti in competizione», non è giusta cioè riferita alla frazione italiana. Gli elementi citati facevano parte della "Organisation Communiste revolutionnaire (O.C.R.) legata agli R.K.D. tedeschi, che erano altra cosa rispetto ai compagni della Frazione italiana dispersi dalla guerra che cominciarono a riunirsi e a ritrovarsi a Marsiglia nel 1942-43.

Questi sono errori nella ricostruzione storica che indubbiamente pesano e non dovrebbero esserci.

Altrettanto si può dire  sulle notizie sul dopo guerra del movimento internazionalista sul quale dovrebbe comparire prossimamente un lavoro che ne illustrerà la genesi e i primi anni di attività politica.

Molti dei nomi riportati a pag. 149 sono storpiati ed inesatti ed anche se sono nomi tratti da un rapporto di polizia dovrebbero essere corretti. Ad esempio: Franco Bettone sta per Franco Bellone, Luigi Dionillis per Luigi Danielis, Alfonso Pinozzi per Alfonso Pinazzi e Maurice Camatte per Jacques Camatte.

Una precisazione anche per quanto riguarda Virgilio Verdaro che secondo noi non viene tenuto nella dovuta considerazione. «Lasciò in fretta il Belgio - scrive Gremmo -dopo l'invasione nazista per tornare nella natia Svizzera dove militò fino alla morte nel partito socialista». A dire il vero Verdaro gli ultimi anni li passò in Italia e quindi, anche solo per motivi geografici, non può aver militato "fino alla morte" nel partito socialista svizzero. Virgilio Verdaro muore a Pontassieve il 6 dicembre 1960 e pochi giorni dopo la sua morte Bordiga scrive una lettera alla moglie (11 dicembre 1960) di cui riportiamo alcuni brani:

«Non avevo sue notizie recenti e non sapevo quali erano le sue condizioni di salute. In questi ultimi anni lo ho visto di rado, con grande mio rammarico, e non ho potuto averlo alle nostre riunioni. Mi disse con affetto l'ultima volta di venire a Pontassieve, ma tanto non mi è stato mai possibile.

Quando scompaiono i più cari e bravi del vecchio gruppo della sinistra, quelli rimasti uguali a se stessi attraverso tanti anni tremendi, mi sento assai rattristato, e purtroppo la nostra valida compagnia si va col passare degli anni diradando. Come per Ottorino, per Totò Natangelo, per Peppino De Nito, provo per Virgilio lo stesso grave dolore. Ma ricordo il suo temperamento ottimista, il luminoso sorriso che non ha mai perduto in tante vicende. Certo fino agli ultimi momenti non lo ha lasciato quella ferma convinzione, che ci ha unito tutti, della forza della nostra dottrina. Noi le abbiamo tenuto fede e non importa se solo quelli che ci seguiranno sul grande cammino ne vedranno la vittoria, già vista nelle nostre vecchie ma dure teste senza che mai la abbia offesa l'ombra del dubbio.»

Risibile è poi la nota n. 31 riportata a pag. 87: «Diversi anni più tardi, nelle sue memorie pubblicate senza firma...» che non sappiamo se interpretare come facezia o come assurdità quale è.  Bordiga non scrisse mai le sue "memorie" e conoscendo le sue posizioni politiche sul ruolo del singolo, il famoso "battilocchio", sappiamo il perché, né ci è mai giunto a conoscenza di qualcuno che scrive anonimamente le sue memorie. Gremmo si riferisce qui alla Storia della sinistra comunista (al primo volume per l'esattezza) che Bordiga scrisse come storia del movimento rivoluzionario in Italia e non certo come sue memorie (per precisione poi questa storia è arrivata al IV volume).

Ma ritorniamo, con ordine, ad altre incongruenze od errori presenti nel lavoro di Gremmo.

Nel primo capitolo si parla della richiesta di "grazia" per Bordiga quando era al confino ad Ustica da parte della "zia Erminia" (4 dicembre 1926) che scrive sì : «E' un pazzo utopista», - ma continua poi (e questo non è riportato) tessendo le lodi del nipote - «tutti in lui riconosciamo la purezza dei costumi e le doti del cuore e dell'ingegno» e dell'intervento del padre che chiese aiuto, per il figlio, a Giovanni Giuriati «all'epoca ministro dei lavori pubblici del governo Mussolini» e non si fa invece cenno, con grave omissione di rilevanza storica, alla accorata richiesta di "grazia" che il vecchio Oreste Bordiga  (morirà tre anni dopo) rivolse a Mussolini per il figlio ("grazia del condono della rimanente pena di un anno")  del 13 ottobre 1928 e nella quale il vecchio professore ricordava di aver già dato alla patria il suo terzogenito Augusto ("Durante la guerra, in cui cadde il mio terzogenito Augusto").

Importante invece nel lavoro di Gremmo, ma forse andava meglio puntualizzata e precisata, la figura e il ruolo di Bruno Cassinelli nei riguardi Di Bordiga. Su di lui, in termini molto chiari, era già intervenuto Mimmo Franzinelli che nel suo "I tentacoli dell'Ovra" aveva scritto (pag. 17) : «Cassinelli operò abilmente per compromettere l'ex-segretario del PCI Amadeo Bordiga in prese di posizione filofasciste [anche se non ci riuscì, aggiungiamo noi]. I due erano buoni amici, essendosi conosciuti nell'anteguerra durante la comune militanza antifascista; con il passaggio di Bordiga all'opposizione interna, Cassinelli esercitò forme di pressione dalla seconda metà degli anni venti e lungo l'intero arco degli anni trenta, riuscendo quanto meno a insinuare dubbi e sospetti sull'intransigenza rivoluzionaria del leader comunista. «Brucassi» si giovò di difficoltà economiche e problemi familiari: egli sin dal 1927 si era assicurato la fiducia di Ortensia De Meo, moglie di Bordiga, che assecondò l'opera di «allineamento» favorita dall'emissario della Divisione polizia politica»

Ebbene quanto scrive Franzinelli è vero; Cassinelli cercò di far leva su Ortensia De Meo per far sì che Bordiga denunciasse apertamente il PCI e si staccasse dal partito con la promessa di un rapido ritorno a casa e con la possibilità quindi di dedicarsi alla famiglia, un comportamento, quello di Cassinelli spregevole ed infame.

Ebbene il Cassinelli che a fine guerra, inserito nell'elenco delle spie dell'Ovra, fu sospeso dall'albo professionale, arrestato e incarcerato a Procida, fu poi riabilitato dalla Commissione Ricorsi anche per l'intervento di Bordiga cui Cassinelli si era prontamente e senza alcun ritegno, rivolto. Bordiga difese il tandem Troiani-Cassinelli (dove Troiani era il capogruppo di Cassinelli) come si può appurare da una lettera inviata da Napoli il 31 marzo 1946 al Procuratore generale presso la Sezione Speciale della Corte d'Assise di Roma e di cui riportiamo alcuni brani. Così scrive Bordiga: «La difesa dell'avv. Bruno Cassinelli alla quale già mi sono spontaneamente offerto quale teste a discarico ha portato a mia conoscenza che nelle contestazioni all'altro imputato Troiani è spesso ricorso il mio nome in relazione a diverse circostanze di dettaglio inerenti a passi a mio favore quando ero incarcerato per motivi politici e oggetto di denunzia di polizia. Scopo della presente non è rettificare un giudizio in una qualunque sede sui miei atti, poiché tanto non mi interessa, ma di chiarire per quanto sta in me la verità nei confronti dei processati. (...) Cassinelli che mi aveva difeso nel 1923 venne a vedermi nel 1927 a Palermo in carcere durante la istruttoria. Gli spiegai che non vi era da preoccuparsi, per la insulsaggine dell'accusa, manipolata dalla P.S. e dalla Milizia fascista ad Ustica in modo tanto risibile che già aveva demolito tutta la costruzione con i miei interrogatori e con quelli da me inquadrati dei coimputati, sicché non vi era  che da attendere il proscioglimento, che infatti venne in seguito. Mi spiegò che mia moglie era stata più impaziente e più preoccupata, data la fama del Tribunale speciale, e la circostanza particolarmente strana che io ero indicato come capo del complotto, del partito comunista, e di una congiura di tutti i partiti antifascisti, mentre notoriamente dal 23 ero stato allontanato dalla direzione del partito per i radicali dissensi che soprattutto consistevano nella mia inesorabile avversione alla politica della coalizione antifascista. Dati gli attacchi di cui ero fatto oggetto nel campo politico per quel mio reciso indirizzo, può darsi che mia moglie abbia inveito contro elementi del partito e degli altri partiti di opposizione e lamentato la mancanza di soccorsi dai comitati pro vittime politiche ignorando che ciò dipendeva da miei espressi desideri.

Comunque in alto e in basso della gerarchia e della polizia di stato si sapeva bene che era assurdo parlare di una mia offerta di astenermi dalla lotta politica in caso di mia scarcerazione, perché le ragioni della mia partecipazione o meno all'azione di partito risiedevano in quistioni di indirizzo internazionale e non avevano a che fare con le misure repressive attuate dal fascismo. Mia moglie doveva ben sapere che, prima di andare al confino e dopo i congressi comunisti nazionali e internazionali del 1926 a cui partecipavo all'estero, avevo fermamente deciso di non applicare la politica del partito e del Comintern, ed anche di non iniziare una lotta fuori e contro di essi.

La portata dell'interessamento amichevole di Cassinelli, dato che non aveva figura di mio difensore, fu molto semplice: far sapere possibilmente ai centri della polizia e della politica dello Stato che il processo di Ustica era un banale errore tecnico e che sull'accusa impostata non avrebbero potuto condannare, affrettando la liquidazione dell'episodio.»

Bordiga sapeva benissimo chi erano questi elementi, si chiamassero Cassinelli, Troiani o con altro nome; il suo comportamento non permise mai che i loro tentativi di farlo cedere  giungessero a qualche risultato nella loro azione di servi del potere. Un potere che, fosse fascista o democratico, poco cambiava per Bordiga dato che erano due facce dello stesso dominio della borghesia e del capitale. E Bordiga scrive in modo glaciale: «Ero troppo educato a questa lotta perché mi potesse uscire alcunché di utile ad essi e a chi servivano». Quindi quando Cassinelli a fine guerra chiede in ginocchio il suo aiuto, Bordiga glielo da e lo stesso fa con il Troiani.

Per quanto riguarda Troiani cui Bordiga fu indirizzato da Cassinelli per questioni legali che riguardavano la famiglia della moglie, scrive : «Nella famiglia di mia moglie vi erano divergenze di interessi privati ed io ebbi occasione di prendere posizione contro illecite azioni di taluni miei parenti a danno di altri. Queste persone trovarono comodo cercare di annullare la mia azione rimettendo in moto a getto continuo accuse e denunzie di attività sediziosa». Bordiga viene quindi indirizzato a Troiani di cui Bordiga dice "compresi che si trattava di un informatore ufficioso della polizia politica ben introdotto presso il Bocchini e il Senise" (...)  "Nei miei incontri col Trojani ricordo di aver più volte discusso delle situazioni politiche, come mi è più volte avvenuto negli uffici di P.S. cui ero spesso invitato. Le mie tesi che non avevano altro di abile che la esatta corrispondenza a quanto pensavo non hanno mancato di trascendere la modesta competenza e preparazione di questi specialisti di polizia politica. (...) In sostanza per quanto a me consta il Troiani non mi ha fatto nulla di male ma mi ha spontaneamente aiutato in una causa giusta in linea di puro fatto il che del resto non lo poteva compromettere né come agente di polizia né come protestato amico del regime».

In conclusione se dobbiamo esprimere un parere, il libro di Gremmo non ci piace  in quanto inabile alla ricostruzione storica di questo periodo della vita di Bordiga . Altro è il lavoro di storico e quello che da chi si pone come tale si deve attendere.

Consigliamo a Gremmo di lasciar perdere Bordiga e la Sinistra Comunista: non è pane per i suoi denti!