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archivio > Articoli su Bordiga>Simonetta Fiori, Quel compagno forte e dritto come un albero (La Repubblica, 7 luglio 1990)

aggiornato al: 25/01/2008

La Repubblica 7 luglio 1990

L'articolo di Simonetta Fiori che qui riproponiamo prende in considerazione il rapporto tra Bordiga e Gramsci, il rapporto umano e la loro amicizia.

Nella stessa pagina di «La Repubblica» in cui è riportato questo articolo è presente  anche una lettera di Bordiga a Gramsci del 13 aprile 1927 da Ustica. La lettera, diversamente da quanto sostiene l'autrice dell'articolo, non è "inedita". Essa apparve insieme ad altre quattro lettere di Bordiga a Gramsci (ed una di Bordiga alla madre di Gramsci) in appendice allo scritto "note di filologia gramsciana" apparso su «Studi storici», n. 1 del 1975. Le stesse lettere apparvero inoltre (presentate questa volta da Antonio A. Santucci) nel volume "Gramsci Le sue idee nel nostro tempo" uscito come supplemento al n. 87 dell'Unità del 12 aprile 1987.

Che il rapporto fra Bordiga e Gramsci, anche dopo la rottura politica fra loro, fosse amichevole è testimoniato anche da un articolo di Giuseppe Fiori [«Bordiga, un combattente coraggioso e dogmatico», «Stampa Sera», 27 luglio 1970],articolo che  riproporremo prossimamente, dove sono riportate le parole di Bordiga:

«Ci stimavamo vicendevolmente. La diversità di formazione culturale e le contese ideologiche non ebbero mai la conseguenza di incrinare i nostri buoni rapporti. Ricordo la sua visita a Napoli nel '25. Veniva per tagliarmi l'erba sotto i piedi in preparazione del Congresso di Lione. Napoli era la mia fortezza e Antonio pretendeva di espugnarla. Tuttavia lo ricevetti a casa. Chi ci avesse visti insieme, avrebbe faticato ad immaginarci avversari. Lui prendeva sulle ginocchia la mia figlioletta Alma e facendola trotterellare come su un somarello sardo le canticchiava una filastrocca che finiva con il verso: "nel Perù, però, perì". Anche s'improvvisava cantatore di romanze d'operetta e metteva in casa un clima di giovialità. Hanno fatto di tutto per nascondere ai giovani il tipo di legame che mi univa ad Antonio. Sono persino arrivati a censurare lo stesso Gramsci togliendo dalla prima edizione delle Lettere dal carcere ogni riferimento alla mia persona. Stavamo insieme ad Ustica e Antonio parlava con simpatia di me alla moglie Julca e alla cognata Tania. Bene, quelle frasi le hanno soppresse».

Rapporto amichevole quindi con rispetto e amicizia tra i due ma il giudizio sul Gramsci "teorico" fu sempre drastico. Scriverà infatti Bordiga:

«Un idealista non è un marxista radicale né un marxista riformista. E' solo uno fuori della nostra via. Storicamente Gramsci ci aiutò a cacciare, con mille ragioni, Turati. Teoricamente però, ed è sempre un male quando lo si tace, ortodossia ne aveva meno Gramsci che Turati». (Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, edizioni il programma comunista, 1976, pag.103).

 

 

 

Quel compagno forte e dritto come un albero

 

Disse Gramsci di Bordiga: «Per sostituire Amadeo nella situazione italiana (era il 1924 n.d.r.) bisogna avere più di un elemento perchè Amadeo, come capacità di lavoro, ne vale almeno tre, ammesso che si possa in tal modo sostituire un uomo del suo valore». Dirà Bordiga di Gramsci: «Ero affascinato dalla grande lealtà ed intelligenza che esprimevano i suoi occhi azzurri».

Gramsci e Bordiga: è la storia di un'amicizia profonda, che travalica il contrasto politico pur netto e colma una differenza culturale. Si erano incontrati la prima volta nel 1917, al convegno clandestino della corrente socialista "intransigente rivoluzionaria". Napoletano di padre piemontese Bordiga, ingegnere di formazione materialista e determinista. Sardo della microborghesia rurale Gramsci, umanista d'estrazione idealistico-marxista. Insieme fondarono a Livorno il Pcd'I; Bordiga diventò capo incontrastato del nuovo partito, Gramsci assunse un ruolo secondario. E insieme, tra il '26 e il '27, avrebbero condiviso a Ustica la vita di confinati, in una casa a due piani affacciata sul mare.

Una convivenza scandita da abitudini fraterne. Sveglia poco dopo l'alba, con i consueti litigi per il caffè («Al mattino - scrive Gramsci - io sono il primo a levarmi, l'ingegner Bordiga afferma che in questo momento il mio passo ha caratteristiche speciali, è il passo dell'uomo che non ha ancora preso il caffè e lo attende con una certa impazienza»). Poi insieme alla scuola di confino, Bordiga capo della sezione scientifica, Gramsci della sezione storico-letteraria. E, ancora, le passeggiate entro il perimetro dell'isola, lo scopone giocato con gli altri prigionieri politici, lo scambio di libri e di giornali, le lotte per l'organizzazione casalinga (scrive sempre Gramsci: «Bordiga sostiene a torto che io sono  molto disordinato; a tradimento egli mette il disordine tra le cose mie, con la scusa della simmetria e dell'architettura; ma in realtà io non riesco più a trovare nulla nel guazzabuglio simmetrico che mi trovo combinato»).

Politicamente esisteva tra loro un grande divario. La rottura si era manifestata cinque anni prima dopo il IV Congresso dell'Internazionale Comunista, nel novembre del 1922. Di fronte allo scatenarsi della reazione in Italia e in Europa, Lenin aveva sostenuto la necessità di realizzare in ogni paese il Fronte Unico dei partiti proletari. Mentre Gramsci se ne fece immediatamente sostenitore, Bordiga vi si oppose con la sua consueta determinazione. Fino ad essere messo in minoranza dal leader sardo nel contestato Congresso di Lione del 1926.

Partito da Ustica per San Vittore, Gramsci continuò a scrivere al compagno di confino anche quando i rapporti epistolari con Togliatti erano già definitivamente interrotti. Come risulta dalla lettera inedita che riproduciamo in questa stessa pagina per ampi brani, è a Bordiga che Gramsci confida il progetto della ricerca sugli intellettuali, appena dopo averne fatto un breve cenno alla cognata Tatiana (curiosamente la lettera di Gramsci del 4 aprile cui risponde Bordiga non è conosciuta). Ed è di Amadeo che Antonio si fida, di quell'omaccione spartano e straordinariamente simpatico che viveva la propria ostinazione e il proprio schematismo come un valore irrinunciabile. Avrebbe raccontato, inorgoglito, molti anni più tardi ciò che di lui diceva il presidente dell'Internazionale, Zinoviev: «E' un palo telegrafico. Dov'è piantato, dopo dieci anni lì lo trovate». Ed anche Stalin ne era rimasto soggiogato. Affascinato da quello strano compagno italiano che «diceva sempre ciò che pensava».

Questa lettera finora sconosciuta dimostra che Gramsci, isolato in carcere, dopo aver chiuso ogni rapporto con Togliatti, intratteneva affettuosi scambi di pensieri con Bordiga. Ad avvicinarli era, presumibilmente,  oltre all'antica amicizia, la comune avversione a Stalin, sia pure originata da motivazioni diverse.

Ma il dissenso propugnato con la naturale passionalità da Bordiga non poteva avere vita facile in un partito radicalmente stalinizzato. Nel 1930 fu cacciato via dal Pci con l'accusa di trotskismo, etichetta di comodo per tacciare di tradimento i dissenzienti. In realtà Bordiga non s'era mai associato a Trotsky. Racconta Alfonso Leonetti che nel 1930 Trotsky allora in Francia (a Royan, nella Gironda), gli mandò a dire che desiderava incontrarlo, ma Bordiga lasciò cadere la proposta.

Dopo l'espulsione, il Grande Napoletano, fu trascinato in un'alluvione di fango politico e morale. Controrivoluzionario, vigliacco, venduto. Nel saggio scritto nel 1937 in morte di Gramsci, Togliatti così si esprimeva: «Bordiga vive oggi tranquillamente in Italia come una canaglia trotzkista, protetto dalla polizia e dai fascisti, odiato dagli operai come deve essere odiato un traditore». Sullo stesso solco denigratorio si muoveva l'Enciclopedia del "Calendario del Popolo" nel 1963 (Togliatti era ancora in vita): «Mentre Gramsci, prigioniero di Mussolini, lottava fino all'ultimo in carcere sotto la bandiera comunista, Bordiga viveva tranquillo in Italia, protetto dalla polizia e dai fascisti».

E' la demonizzazione; i riferimenti a Bordiga sono cancellati dalle lettere di Gramsci raccolte da Felice Platone e Palmiro Togliatti (bisognerà infatti aspettare l'edizione di Caprioglio e Fubini). Né sarà più tenero Pietro Secchia che, nella voce Bordiga dell'Enciclopedia della Resistenza, così annota: «Liberato dal confino nel 1930, egli ottenne dal regime fascista un trattamento di favore».

In realtà, il "trattamento di favore" accordatogli dal regime consistette nella radiazione dall'albo degli ingegneri, al quale sarà riammesso soltanto nel '44, dopo la liberazione di Napoli. Ma la grandine d'infamie che colpiva Bordiga non riuscì a incrinare di un millimetro l'amicizia con Gramsci. Dopo l'espulsione si sarebbero rincontrati a Formia, nel 1933, Bordiga sorvegliato speciale e Gramsci in libertà condizionale alla clinica Cusumano. Si incrociarono lungo la via Appia, si sorrisero. Ma entrambi avevano i poliziotti alle calcagna. Un rapido cenno della mano, un addio.

 

Simonetta Fiori

 

La Repubblica (supplemento "Mercurio") 7 luglio 1990