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archivio > Articoli su Bordiga>Leo Valiani, Amadeo Bordiga contro i trasformisti (L'Espresso, 30 maggio 1971)

aggiornato al: 18/06/2011

L'Espresso, 30 maggio 1971

Riproponiamo oggi un interessante articolo di Leo Valiani, autore già ospitato in passato nel sito. Si tratta della recensione fatta per il settimanale L'Espresso del libro che  Andreina De Clementi scrisse su Amadeo Bordiga per la casa editrice Einaudi.

Si trattò del primo lavoro per la grande editoria su Bordiga e suscitò un certo scalpore. Riportiamo quanto, a sua illustrazione,  viene detto  nella quarta di copertina:

«Questo studio, il primo che appaia sull'uomo politico napoletano, ne inquadra storicamente la figura e ne definisce la collocazione nel comunismo italiano e internazionale, attraverso un'indagine precisa e serrata, che analizza le componenti teoriche e politiche della sua formazione (1912-1917), il significato e la portata della direzione politica del PCd'I (1921-1923), il passaggio all'opposizione e i motivi della sconfitta (1924-1926).»

 

Amadeo Bordiga contro i trasformisti

 

Il contributo di Amadeo Bordiga alla costituzione del partito comunista d'Italia è abbastanza noto. Mancava però uno studio che lumeggiasse tutta l'attività politica di Bordiga, dal suo esordio nella federazione giovanile socialista fino alla sua estromissione dal partito di cui dal 1921 al 1923 era stato l'indiscusso capo. Il libro che Andreina De Clementi gli ha dedicato colma in buona parte questa lacuna. L'autrice lascia nell'ombra, forse per mancanza di testimonianze sulla gioventù di Bordiga, il problema delle fonti della sua formazione intellettuale. Essa riferisce che Bordiga, per quanto napoletano, non leggeva Benedetto Croce, ma direttamente Marx; di più gli scritti politici del grande teorico che non il "Capitale" di cui, a sua stessa confessione, aveva studiato solo il primo volume. E' sicuro però che Bordiga seguiva la pubblicistica socialista e, siccome sapeva il francese e il tedesco, sarebbe interessante verificare se era consapevole della coincidenza di certi suoi indirizzi, già nell'anteguerra, con quelli d'alcune frazioni del movimento rivoluzionario internazionale. Si tratta in particolare della sua rivalutazione del momento della violenza politica,  e quindi, potenzialmente, della dittatura rivoluzionaria, nel partito socialista che, soprattutto in Italia, ma anche altrove, nei paesi nei quali godeva dei vantaggi della legalità democratica, si era completamente inserito nel meccanismo parlamentare. Prima di Bordiga questa rivalutazione l'avevano compiuta i sindacalisti rivoluzionari e Mussolini. Dei primi, che a Napoli aveva visto scivolare nel trasformismo, Bordiga fu accanito avversario e, come la De Clementi documenta, promosse in polemica con loro il circolo intransigente "Carlo Marx" e, successivamente, la fondazione d'una Camera del Lavoro più classista della Borsa del Lavoro gestita dagli epigoni del sindacalismo. Di Mussolini, dal 1912 al 1914 fu amico e compagno, ma anche nei suoi articoli d'allora il sorelismo e il blanquismo mussoliniani non hanno eco. La sua azione, che la De Clementi precisa benissimo, è quella d'un marxista ortodosso, che si sforza d'indirizzare le lotte operaie alle quali è in grado di partecipare sul binario della politica rivoluzionaria.

Di marxisti di questo stampo non ve n'erano molti in Italia ed è naturale che Bordiga,che aveva forti attitudini di capo politico, e anche d'organizzatore, ne diventasse il principale nella lotta contro la guerra del 1915-18. Stando alla De Clementi, non risulta che anteriormente alla rivoluzione russa avesse un'idea precisa delle posizioni di Lenin. La sua elaborazione di un orientamento nuovo, praticamente già comunista, appare del tutto autonoma. Ciò offre una prima spiegazione del perché, dopo essere sembrato,  fuor che sul punto dell'astensione dalle competizioni elettorali, il più autentico interprete di Lenin in Italia dalla fine della guerra fino alla scissione di Livorno, meno d'un anno dopo si trovasse già in contrasto con chi dirigeva l'Unione Sovietica e l'Internazionale Comunista. La De Clementi è dell'avviso che fu Lenin a cambiare strategia, più che per l'evoluzione dell'URSS, che avrebbe pesato soprattutto sui suoi successori, per le sconfitte subite dalla rivoluzione proletaria in Europa, e massimamente in Germania. La questione andrebbe approfondita, sulla base di ricerche molto più ampie e capillari di quelle di cui la giovane autrice, dotata d'indubbio acume, ma troppo portata a dedurre i fatti dai suoi schemi marxistici, s'è valsa. Ove la De Clementi ha senz'altro ragione è nella sua insistenza sul contrasto che sin dalla svolta del 1921, appariscente nella Terza Internazionale specialmente attorno alla tattica del Fronte Unico coi partiti socialdemocratici, esisteva fra i leninisti russi e l'estrema sinistra del comunismo europeo. Quest'ultima era votata alla disfatta per l'enorme prestigio della rivoluzione bolscevica vittoriosa e anche per le divisioni ideologiche che correvano nel suo seno. Essa aveva, comunque, delle reali condizioni della lotta di classe nella Europa occidentale una conoscenza molto maggiore di come Lenin e i dirigenti russi dell'Internazionale, che pretendevano dettar legge ai partiti esteri, non potessero avere. Se gli olandesi Pannekoek e Gorter furono i primi e i più eloquenti nella polemica rivoluzionaria occidentale con Lenin, Bordiga fu il più autorevole nella sua opposizione alla bolscevizzazione dell'Internazionale e dei partiti aderenti. Anche se non condividiamo tutti i giudizi della De Clementi, questa parte del suo volume ci sembra molto stimolante anche per quel che riguarda l'esame della differenza d'atteggiamenti fra Trotzki e Bordiga. Questi percepì prima del teorico della rivoluzione permanente in che direzione l'Internazionale evolveva. Peccato che la De Clementi non abbia esaminato anche gli scritti di Bordiga, apparsi negli ultimi anni, sul capitalismo di Stato nell' URSS.

La radice della dispersione della sinistra comunista europea risiedeva, naturalmente, nei rapporti di forza, sfavorevoli ovunque ai rivoluzionari. Le stesse classi operaie dei rispettivi paesi non davano ascolto ad essi se non in esigua misura.

 

Leo Valiani

 

L'Espresso, 30 maggio 1971