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archivio > Articoli su Bordiga>Paolo Spriano: Il caso Bordiga (Rinascita, n. 32, 31 luglio 1970)

aggiornato al: 18/01/2011

Rinascita, n. 32, 31 luglio 1970

Riproponiamo, a titolo di documentazione, un articolo di Paolo Spriano (1925-1988), che fu, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, lo storico ufficiale del PCI e l'autore di una sua  monumentale storia in cinque volumi.

Alla data della stesura di questo articolo Bordiga è appena morto. Il silenzio, l'ostracismo e la calunnia che il partito di Togliatti aveva steso su di lui si diradano poco a poco pur mantenendosi su di una linea di rifiuto, più che di incomprensione, del marxismo rivoluzionario di Bordiga e Spriano, ligio a quel che resta di una ortodossia togliattiana, ne è la servile espressione.

 

La polemica di Lenin e i giudizi di Gramsci e di Togliatti

Il caso Bordiga

 

Il destino di Amadeo Bordiga è stato strano, né alcuni aspetti eccezionali della sua figura e della sua opera cesseranno di colpire dopo la morte. E, forse, non ultimo momento di questo generale paradosso è che quel partito che - cinquant'anni fa - egli contribuì più di ogni altro a fondare e col quale poi la rottura è stata non solo lacerante ma definitiva, può parlare oggi di lui senza ira, anzi con uno sforzo, che si è fatto sempre più evidente (iniziato dall'uomo che Bordiga tenacemente odiava, Palmiro Togliatti) di riconoscere meriti e virtù storiche di chi, nel 1919-20 alzò la bandiera  della scissione dall'opportunismo riformista e guidò la frazione comunista a buttare via la camicia sporca della socialdemocrazia e a indossare quella nuova fiammante dell'Internazionale di Lenin. Fu proprio Bordiga a quel famoso XVII congresso del PSI al teatro Goldoni, a urlare con la veemenza che gli era propria, rivolto alla maggioranza dei delegati centristi: «Noi, se dovremo andarcene, vi porteremo via l'onore del vostro passato, o compagni!».

In fondo, il caso Bordiga, che non è più stato tale per tutte le generazioni affluite al PCi dopo il 1930 è l'esempio migliore della giustezza di un metodo - purtroppo ancora eccezionale nel nostro movimento - che consiste nel valutare criticamente il proprio passato abbandonando ostracismi e apologie, cercando, in spirito di verità, non solo di «dare a ciascuno il suo», ma di capire le ragioni di un certo patrimonio ideale, di uno sviluppo politico, di una contraddizione reale e sociale che si impersonarono in un dirigente o in una corrente.

Probabilmente lo stesso Bordiga ha facilitato - nell'ultimo venticinquennio - il recupero di un distacco e di una pacatezza di giudizio (il che non significa che esso sia immutabile, né che ogni generazione lo viva e lo condivida allo stesso modo) con il suo atteggiamento. Bordiga si rifiutò, dopo la liberazione, di fare una lotta politica aperta al partito, di diventare in qualche misura uno strumento dell'anticomunismo ( e pare che gli americani qualcosa del genere gli avessero proposto al loro arrivo a Napoli). Naturalmente, non stette zitto: ripropose piuttosto, nel ristretto cerchio dei suoi amici, vecchie querelles del 1915-25, posizioni dottrinali assunte allora, messe a punto su una primogenitura contestata, citazioni e ricordi, magari con quegli scatti di carattere che lo resero  celebre, con certe sfuriate verbali tipicamente napoletane. Chi vuole ritrovarne una parte si veda la Storia della sinistra comunista che Bordiga intraprese (ma non firmò), un curioso miscuglio di documenti, di riflessioni e di invettive. Invece, più difficile è pescare le pubblicazioni ebdomadarie o periodiche di Bordiga e bordighiani, che sono rimaste - altro tratto straordinario - tipicamente clandestine in un'epoca in cui di clandestino non c'è più niente (almeno da noi), talché oggi è più facile ritrovare i fogli, davvero clandestini, che il partito introduceva in Italia durante la dittatura fascista che non le rassegne bordighiane più recenti, circolate con uno stile di setta quasi risorgimentale. In esse il punto di vista - ma forse bisognerebbe parlare di stato d'animo - è quello dell' heri dicebamus. Quaranta o cinquant'anni di storia paiono essere passati invano; ci si aspetta da un futuro vendicatore la riparazione di successive deviazioni e contaminazioni di tutto il movimento. E' lo stesso atteggiamento che Bordiga ebbe anche di fronte a Lenin, inteso come «restauratore» del marxismo piuttosto che come teorico di un'epoca nuova. La politica come culto della intransigenza ideologica, come applicazione rigida di «principi», assunti a protezione, e levati a steccato, ad evitare sbandamenti e degenerazioni: questo è stato il bordighismo, questo è rimasto, quale masso erratico nel panorama marxista. E bisogna pur dirlo, semplicemente.

Bordiga non ha lottato contro il fascismo, ha persino evitato di tenere contatti, negli anni più caldi, con i gruppi della sua parte che erano emigrati in Francia e nel Belgio, e lo riconoscevano leader  e maestro. E' rimasto isolato e «dormiente», a fare l'ingegnere. Son cose che pesano, e più che sulla biografia del singolo, sulla sorte di una battaglia ideale e politica. Gramsci era in galera, come centinaia di quadri, magari formatisi, tra i giovani comunisti, sotto la guida di Bordiga nel periodo più bello della sua milizia, quello della prima guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra.

Infatti, la sconfitta del bordighismo, la caduta del prestigio di quello che fu il primo capo del PCI (anche se la figura di segretario generale del partito non esisteva) fu provocata tra i militanti proprio da questa sua assenza dalla lotta, questo silenzio profonda. Sulla nostra stampa dell'emigrazione, soprattutto negli anni dei processi di Mosca, Bordiga divenne però anche una sorta di mito negativo; nell'affanno di esorcizzare anche da noi lo spettro del trozckismo, il bordighismo fu definito il trozckismo italiano e fu assimilato al fascismo. Le accuse erano assurde, spesso grottesche. Oltre tutto Trotzckij era ben altra tempra di rivoluzionario e combattente e il suo rapporto col leninismo, seppure controverso, era ben più essenziale.

Di Bordiga non si parlò più o quasi dopo il 1945, se non come classico modello dell' «estremismo malattia infantile del comunismo», secondo la famosa formula di Lenin, che in effetti polemizzò con lui nel 1920. Gli studi a cui diede avvio Togliatti con la Formazione del gruppo dirigente, restituirono via via al primo periodo di vita del PCd'I i suoi reali connotati ed è anche abbastanza naturale che negli ultimi anni sia venuta, da posizioni polemiche, una nuova mitizzazione - questa volta a segno positivo - di Bordiga e delle sue idee. C'è da augurarsi che si stampi presto una raccolta degli scritti di Bordiga, che è in preparazione, come un saggio su di lui,opera del più tenace dei suoi studiosi, Andreina De Clementi. Si potrà misurare meglio l'abisso di qualità (e intendo qualità rivoluzionaria, ché per lo stile e il livello culturale basta una pagina qualsiasi per un confronto schiacciante) che separa Bordiga da Gramsci. Semmai alcune delle ragioni di un rinnovato interesse per le formule bordighiane possono trasformarsi in un problema storiografico reale. Il suo rifiuto della storia, il suo procedere matematico, la sua ossessione del tatticismo, come somma di tutti i mali, la sua concezione del partito quale organo di garanzia di purezza rivoluzionaria nei confronti di un proletariato troppo debole e «circondato» per potersi esprimere egemonicamente, da dove vengono? Dalle tradizioni dell'anarchismo rivoluzionario meridionale? E' assai dubbio e ancora da dimostrare. L'intransigenza di Bordiga fu comunque uno straordinario antidoto contro la vocazione trasformistica e opportunistica del socialismo italiano e ad essa si dovette non solo il fascino che Bordiga possedeva presso i giovani del primo dopo guerrra ma la stima di cui lo circondavano gli uomini dell' Ordine Nuovo. Se Togliatti stesso, nel 1923, riluttava dallo staccarsi dalla leadership bordighiana non era forse perché temeva che si potesse arretrare dalla conquista di Livorno, tornare a una tradizione che avrebbe imprigionato l'autonomia politica dell'avanguardia operaia?

Eppure, la vittoria del gruppo Gramsci - Togliatti - Scoccimarro - Terracini, nel 1924-25, fu la vittoria dello sviluppo leninista del partito, la presa di coscienza di un compito storico che si basava sulla ricognizione delle forze motrici della rivoluzione italiana. C'é una notazione di Gramsci dal carcere che è estremamente indicativa del modo come egli giudicasse l'esperienza del bordighismo, inquadrandola nella storia d'Italia, dei suoi partiti. Gramsci osservava che il Partito d'azione mazziniano e garibaldino, non riuscì mai a radicarsi nelle masse popolari, a «ordinare gruppi sociali omogenei». Ed è qui che richiamò Bordiga. «La posizione del Gottlieb (cioè Amadeo, cioè Bordiga, n.d.r.) - scriveva in una nota - fu appunto simile a quella del partito d'azione, cioè zingaresca e nomade: l'interesse sindacale era molto superficiale e di origine polemica, non sistematico, non organico e conseguente, non di ricerca di omogeneità sociale ma paternalistico e formalistico». (Risorgimento, pag. 98).

Il senso della lotta politica di Gramsci con Bordiga, a favore delle cellule di fabbrica, della sua polemica contro l'idea di dare un appuntamento alle masse popolari, contro l'identificazione fra fascismo e democraticismo borghese, era appunto volto a dare omogeneità sociale alla costruzione del partito operaio.

Qualche anno fa, Bordiga scrisse a un vecchio compagno con cui aveva mantenuto un legame d'amicizia. Si era al culmine delle agitazioni studentesche e Bordiga si sfogò contro questa «schiuma interclassista», confidando che, cogli anni ottanta, sarebbe venuta finalmente la rivoluzione «classista e supernazionale», se non ricordo male l'espressione. C'era in quella missiva tutto l'uomo, la sua coerenza indiscutibile, la sua speranza, quella stessa per la quale, il 21 gennaio del 1921, si mise alla testa del corteo della delegazione comunista al Goldoni e la condusse - erano le 11 di mattina - al San Marco «per deliberare la costituzione del Partito comunista, sezione italiana della III Internazionale».

 

Paolo Spriano

 

Rinascita, n. 32, 31 luglio 1970