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archivio > Articoli su Bordiga>Michele Fatica: "Il Soldo al Soldato" di Amadeo Bordiga, (Giano, n. 18, sett.-dic. 1994)

aggiornato al: 04/10/2009

Giano, n. 18, settembre-dicembre 1994

Questo scritto di Michele Fatica comparve nel 1994 su «Giano» (pace ambiente problemi globali) la rivista diretta da  Luigi Cortesi morto all' inizio di questo settembre, dopo una malattia che lo aveva aggredito qualche anno fa e contro la quale aveva combattuto con forza. Luigi Cortesi,  fin dagli anni della «Rivista storica del socialismo», si era adoperato (con Stefano Merli), nei suoi scritti e nelle sue pubblicazioni, nel riportare nella giusta luce la figura di Amadeo Bordiga. In questi ultimi anni aveva fatto parte del comitato scientifico della Fondazione Amadeo Bordiga e qui ci pare doveroso ricordarlo come uomo e come storico del movimento operaio.

Il dotto lavoro di Michele Fatica (autore che più volte abbiamo ospitato) è posto come presentazione ed introduzione a «Il soldo al soldato» (che ad esso segue nello stesso numero di Giano) e  che  magari riproporremo anche noi in altra occasione.

 

 

 

«Il soldo al soldato» di Amadeo Bordiga

Una campagna antimilitaristica, un testo, un autore

 

E' trascorso oltre un quarto di secolo da quando Gaetano Arfè (1), notò la diversità, almeno tra la prima e la seconda decade di questo secolo, della Federazione giovanile socialista rispetto al partito, diversità fondata sopra un'autonomia voluta dagli stessi giovani socialisti, richiamandosi ai problemi specifici della gioventù proletaria italiana. La singolarità dell'organizzazione politica giovanile richiedeva, pertanto, una riflessione storica tale da non risolversi e non dissolversi nella storia del partito. Esigere uno spazio ed un'autonomia organizzativa per i giovani rompeva con una cultura tradizionalistica che poneva quella fascia di età sotto il consiglio, la tutela e il governo di uomini di età matura, ai quali si attribuivano pregi e qualità (esperienza, prudenza, moderazione) che quanti avevano vissuto meno non potevano avere. Lo stesso partito socialista, che pure ambiva dare voce a quanti erano stati esclusi da millenni dal circuito dell'attività politica, non era estraneo, in alcuni settori, a quella cultura del passato, tanto da reagire con diffidenza e sospetto ai primi fermenti organizzativi autonomi dei giovani (2).

Tra i problemi specifici del proletariato giovanile l'obbligo del servizio militare richiamava particolare attenzione. Tradizionalmente era sentito come una delle imposizioni più odiose anche in tempo di pace. I giovani di leva lo vivevano all'età di venti anni, lungo l'arco di tre anni, come uno sradicamento dall'ambiente familiare, una separazione da abitudini e da amicizie, una interruzione dell'attività di lavoro, una rottura di trame affettive, un trasferimento coatto in una istituzione, ossessionata, ancor più della fabbrica e di qualsiasi luogo di lavoro, dalla disciplina, dalla gerarchia, dalle formalità e dagli obblighi del grado. Il termine stesso di «soldato» suscitava una certa ripugnanza, evocando storie tristi di vite vendute e perdute, di gente un tempo reclutata con la forza e con l'inganno. L'assetto moderno dell'esercito con le «uniformi» e lo spirito di corpo, proprio dei vari reparti specializzati, dava ancora più la sensazione di un ambiente in cui si perdeva ogni libertà ed ogni autonomia di giudizio.

Ma la dialettica sociale si proiettava anche nella duplice ottica con la quale i giovani guardavano alla vita militare. Per una parte della gioventù del ceto medio - e anche minuto - che pur viveva sotto l'assillo del lavoro e dei problemi del lavoro, che cercava di prepararsi - spesso senza riuscirvi - ad occupare un impiego o ad esercitare un'attività con la dura applicazione allo studio, andare sotto le armi e arruolarsi nei quadri dell'esercito significava valorizzare una prestanza fisica che non aveva altrimenti significativi riconoscimenti, assecondare un certo spirito di avventura, guadagnarsi la prospettiva di una sicura carriera e soprattutto esercitare sui giovani proletari una rivalsa, spesso anche fisica, al riparo di codici e regolamenti. Per la gioventù degli strati alti della società, compresa la superstite aristocrazia, la prospettiva era ancora più allettante, perché si aprivano, dopo l'accademia militare, il prestigio e i privilegi della carriera degli ufficiali.

Nel periodo giolittiano, quando più vivo e più aperto si fa il dibattito su tutti gli aspetti e i problemi della società italiana, anche il rapporto di freddezza, di indifferenza o di ostilità tra giovani ed esercito viene discusso, dagli stessi ufficiali, su periodici non di circolazione interna o limitata,  con molta trasparenza e franchezza. Uno di questi ufficiali, Vittorio Carpi, raccolse in un libro (3) saggi ed articoli interessanti, che rivelano la psicologia del giovane medio italiano di fronte all'obbligo militare, le tecniche, pensate dai responsabili dell'esercito, per suscitare una certa affezione alla vita militare, i compiti nuovi assegnati all'esercito italiano, le possibili reazioni nel caso di un impegno di guerra.

Sull'adempimento dell'obbligo di leva da parte dei giovani il Carpi non si nascondeva la disaffezione, il disamore, la passività con cui l'obbligo veniva assolto:

 

Oggidì, purtroppo, i giovani non sono attirati alle armi dalla passione; alle ferme fisse corrisponde un servizio automaticamente compiuto, nessuna molla impulsiva suscita l'interesse personale del soldato e lo spinge a guadagnarsi l'affetto e la stima dei superiori; unico suo pensiero è quello di attendere il giorno del congedo o di cercare tra i mille un motivo di riforma, che in altri tempi consideravasi un avvilimento (4).

 

Per suscitare nei giovani interesse all'addestramento militare egli andava anche al di là della proposta, allora dibattuta, di ridurre l'obbligo del servizio in tempo di pace da tre a due anni, suggerendo una ferma minore «quanto migliore è la condotta e l'interessamento dell'individuo», precisando che «la disciplina militare non è una macchina bruta [...] che infranga tutto ciò che si presenta ai suoi ingranaggi; [perché] essa vive di morale e di ragioni, ed ama plasmare con la persuasione» (5).

Erano belle parole e proposte anche sensate, che non potevano far dimenticare i continui interventi dell'esercito, con eccidi, morti e feriti, diretti a reprimere scioperi o tumulti popolari, a cominciare dai moti del maggio 1898 per passare ai fatti di Candela del gennaio 1903 e per finire con l'intervento dei carabinieri, formazione speciale dell'esercito, negli scioperi di Cerignola (maggio 1904), Buggerru (settembre 1904), Castelluzzo (settembre 1904).

Tuttavia, per un ufficiale «democratico» come il Carpi, non tanto questi compiti di mantenimento dell'ordine interno competevano all'esercito, ma traguardi più ambiziosi, conformi a quelli degli Stati più ricchi ed avanzati politicamente (6). Questi traguardi erano riassunti nella «nuova lotta che si compie per la civiltà nei terreni coloniali, a favore di quell'impulso espansivo che sembra essere legge demografica degli Stati costituiti» (7). Ma questa duplice finalità assegnata all'esercito, di portare la civiltà ai popoli incivili e di alleggerire la pressione demografica (si pensava ai vuoti provocati dalla guerra tra la gioventù in armi e alla migrazione dei civilizzatori più poveri nelle colonie), aveva trovato resistenze interne deplorevoli. Con rammarico il Carpi rievocava il «fermento incosciente che prima del 1898 si opponeva alla partenza della truppa per la guerra, schiantando le rotaie, erigendo barricate, disconoscendo il sentimento altissimo dell'onor nazionale». Tra gli oppositori, vecchi e nuovi, delle imprese coloniali, due fasce della popolazione colpivano lo studioso di cose militari: le donne [«...noi assistemmo a dimostrazioni femminili, ahi, quanto diverse da quelle di Cornelia!»] e i giovani, inclini ad accettare la disciplina di partito e a respingere quella dello Stato [«...oggi a che meravigliarci se alcune omeopatiche dimostrazioni ci segnalano l'esistenza di qualche manipolo ribelle che riconosce e subisce ogni disciplina extralegale e si mostra insofferente di quella legale?»] (8).

Se bloccare l'iniziativa delle donne proletarie oppositrici delle guerre non era facile, per isolare i «manipoli ribelli» durante il servizio di leva, le gerarchie militari, sull'esempio della Francia, avevano costituito le cosiddette «compagnie di disciplina», dove i soldati socialisti, anarchici, sindacalisti erano confinati e costretti alle prestazioni più umilianti, continuamente scherniti e mortificati dai sottufficiali di carriera (9).

D'altra parte quella guerra coloniale in nome della civiltà, auspicata dal Carpi, era stata dichiarata dal governo italiano alla Turchia il 29 settembre 1911: la posta in gioco era la Tripolitania e la Cirenaica, dove - diceva il Ministro degli esteri di San Giuliano nel suo ultimatum alla potenza nemica - il Governo ottomano non sapeva assicurare l'ordine pubblico e non garantiva lavoro alle imprese italiane (10). Tuttavia il clima di euforia fondato sulla illusione che le popolazioni berbere arabizzate avrebbero accolto come liberatori i soldati italiani e che i «manipoli ribelli» anarchici, socialisti, sindacalisti si sarebbero stretti intorno al vessillo italico senza opporsi alla missione civilizzatrice nazionale, svanì subito. I berberi dimostrarono presto di preferire la dominazione turca a quella italiana e le forche erette a Sciara Sciat, il 25 ottobre 1911, a pochi chilometri da Tripoli, su cui pendevano i corpi dei libici (11), responsabili di aver sparato sui bersaglieri italiani, testimoniò che l'Italia operava né più né meno come ogni «potenza colonizzatrice» (12). Né i «manipoli ribelli» erano rimasti immobili nella inerzia. La Confederazione del lavoro il 27 settembre 1911 aveva proclamato lo sciopero generale: gli scioperanti a Forlì avevano sbarrato le rotaie della strada ferrata (13); il soldato anarchico Augusto Masetti, il 30 ottobre 1911, aveva sparato al suo tenente colonnello, gridando: «Viva l'anarchia, abbasso la guerra!» (14).

Il Governo italiano aveva cercato di guadagnarsi l'appoggio dei socialisti riformisti concedendo il suffragio universale politico maschile: ma la vecchia funzione dell'esercito, come macchina repressiva, soprattutto ad uso interno, nonostante l'avventura coloniale, non era venuta meno. A Roccagorga, nel Frusinate, il 6 gennaio 1913, contro una innocua manifestazione di povera gente furono impiegati i soldati, che ebbero ordine di sparare e provocarono con i loro colpi sette morti e varie decine di feriti. Erano questi i precedenti che indussero la federazione giovanile socialista - questa volta sostenuta pienamente dal partito, passato, dopo il congresso di Reggio Emilia (7-10 luglio 1912) nelle mani della sinistra - a prendere, nel febbraio del 1913, le misure concrete per dare vita ad una organizzazione permanente. «Il soldo al soldato», di cui già si era discusso e su cui già si era ottenuto un consenso di massima nel congresso dei giovani socialisti tenuto a Bologna tra il 29 e 22 settembre 1912 (15). L'incarico di scrivere il manifesto della nuova istituzione fu affidato ad Amadeo Bordiga.

Nella ricostruzione della vicenda biografica di alcuni personaggi notevoli del XX secolo, sono stati fissati, da opinion-makers  ed organizzatori di cultura, alcuni tracciati precisi, con rischi notevoli per i biografi in vena di discostarsene. Evitando di proposito noti rinvii bibliografici, diremo solo che per Antonio Gramsci sono state stabilite, quali tappe obbligate del suo itinerario ideale: 1) la lettura illuminante di Antonio Labriola, l'unico serio studioso italiano di Marx; 2) la presa di coscienza della questione meridionale; 3) la lotta senza cedimenti al fascismo; 4) il carcere; 5) il martirio. Per altri della stessa corrente politica, sono stati trovati surrogati in sostituzione del carcere e dell'assassinio ad opera del fascismo (16).

Una tale considerazione ci è parsa una premessa doverosa a proposito della biografia di Amadeo Bordiga, il quale, essendosi tirato fuori in età piuttosto avanzata quasi da solo, con le sue mani, dalla pattumiera della storia, dove lo avevano gettato avversari politici e scrittori di cose contemporanee, non ignorando i martirologi e le agiografie di tanti suoi ex-compagni, tracciò per la sua esistenza un percorso ideale con un costante punto di riferimento: la coerenza al marxismo e il determinismo (17). Ora dobbiamo confessare che la sua totale avversione giovanile alla guerra, al massacro organizzato dai governi, ai conflitti sanguinosi per la creazione di ministati fondati su improbabili e dubbie purezze etniche, ha rapporti molto labili e tenui col marxismo, ma proviene da una indole portata istintivamente alla repulsione della sopraffazione fondata sulla forza brutale, comunque mascherata o sofisticata e al rifiuto della istituzione, la caserma, che educa i giovani secondo quel principio.

Per non dilungarci  troppo facciamo solo qualche citazione da articoli che scrisse in quei convulsi anni che coincidono con il dopo-guerra libica e vedono l'Europa balcanica lacerata da sanguinosissimi conflitti delle etnie in rivolta contro l'impero ottomano e in guerra tra di loro tra stragi interminabili e strascichi di epidemie:

 

Possiamo accettare la formula: i Balcani ai popoli balcanici. Ma domandiamo: a quali popoli? A quelli che avanzeranno dalla strage reciproca, agli orfani, alle vedove, agli storpi, ai colerosi? Le cifre questa volta provano bene qual è l'effetto di una guerra! Le perdite sono tali che non è iperbole asserire che la razza si è dissanguata e isterilita per un lungo avvenire. (18)

 

Questa viscerale avversione alla guerra dipende da una visione dell'umanità fondata su valori che sono opposti a quelli che reggono il mondo attuale:

 

La guerra sancisce il principio della violenza e della prepotenza collettiva, come fonti principali di progresso e di civilizzazione, idealizzando la forza brutale, e tentando così di distruggere la nostra visione di una società basata sulla concordia e la fratellanza umana. (19)

 

Pertanto, data la costante, ferma ed intransigente opposizione alla guerra e all'istituzione-caserma, l'autore dell'opuscolo-manifesto della istituzione Il soldo al soldato non poteva essere, tra i giovani militanti socialisti, se non Bordiga.

L'istituzione-caserma è uno dei bersagli polemici dello scrittore. I tempi non avevano portato ancora a maturazione la coscienza sulle origini, le genealogie e le filiazioni delle istituzioni totali. E' certo che le fabbriche, che egli vedeva, nei viaggi quotidiani da Resina all'università di Napoli, cominciarono a farlo riflettere sulla istituzione-fabbrica, sulle masse umane che vi consumavano l'esistenza, organizzate secondo il «sistema di lavoro scientifico dell'ingegnere aguzzino Taylor» (20). Non c'interessa in questa sede la conclusione delle riflessioni su questo tipo di istituzione, diciamo solo che contemporaneamente egli sentì il problema della istituzione-caserma e ne avvertì subito l'incompatibilità con il socialismo. Ad indicare con quanta ossessione egli sentisse il problema, indichiamo alcuni passi in cui entra la parola caserma:

 

Con la brutale educazione della caserma la borghesia fa dei giovani, ingenui lavoratori i suoi migliori e più devoti servitori; instillando nell'animo loro il veleno militarista, e l'odio contro gli altri rei di vivere in un paese posto al di là delle Alpi e del mare.

 

Oggi noi vogliamo fare un altro passo: persuasi che non conviene abbandonare il giovane coscritto, per quanto già preparato, all'influenza demoralizzatrice della caserma...

 

L'educazione della caserma si sforza di creare una psicologia tutta speciale, tendente a trasformare gli uomini in bruti e violenti. Molte volte i giovani compagni in quell'ambiente odioso si sentono isolati senza una voce amica che possa per un momento innalzare l'animo loro ad una visione più nobile e più alta (21).

 

Come più in là si accennerà l'opuscolo uscì anonimo. Ma anche se non sapessimo, attraverso la polemica che si sviluppò più tardi, nell'acceso clima che contrappose neutralisti ed interventisti, che Bordiga ne fu autore (22), per accertarne la paternità basta leggere suoi scritti contemporanei che insistono sulla caserma e sviluppano, sul tema caserma, gli stessi concetti:

La caserma europea, che così bene imbarbarisce i bianchi, non può non trasformare in vere belve questi neri...(23).

 

Il can-can di retorica che salutò l'uscita del Turco dall'Europa, o quasi, fu addirittura assordante e coprì anche le urla e i gemiti delle vittime massacrate in una guerra selvaggia, in cui le soldatesche cristiane e civili mostrarono che l'educazione della caserma europea le aveva portate ad un grado di ferocia maggiore di quelle barbare e musulmane (24).

 

Ci sono altri richiami, che conducono, attraverso un'analisi interna del testo, a Bordiga. Il nesso democrazia-leva di massa stabilito dalla rivoluzione francese è costantemente ricordato dal Nostro (25), insieme al genocidio dei pellirosse inteso come marchio autentico della democrazia americana (26), per dimostrare le origini non certo luminose di un sistema di governo, cui si rivolsero sempre le sue critiche, ciò che fu la vera costante del suo percorso biografico.

Un altro testo citato ci sembra essere ancora una spia di sicura attribuzione: La grande illusione di Norman Angell (27), che voleva dimostrare la vanità della guerra in tempo di armi  con capacità di distruzione totale. Una volta vi erano vincitori e vinti, ora non più: la terra bruciata non consente neppure vantaggi economici al supposto vincitore.

Al Bordiga giovanissimo, che sognava una umanità migliore delle altre specie animali viventi, fra le quali vige il principio della libera concorrenza (28), il libro piacque e lo citò. Poco dopo, allo scoppio della guerra mondiale, confessò che anche le previsioni dell'Angell si erano rivelate errate (29).

E' passato quasi un quarto di secolo da quando chi scrive, pubblicandone il testo, ritenne di aver dimostrato la paternità del Soldo al soldato. Ma siccome la storia contemporanea, molto spesso,  non serve al progresso delle conoscenze, ma a scopi diversi, pochi studiosi lo hanno registrato (30). Tuttavia, al di là di un piccolo merito attribuzionistico del singolo, resta la grande attualità di un testo che tratta di cose che, quasi inalterate, stanno sotto i nostri occhi dopo 80 anni: la caserma, la guerra e l'eccidio delle popolazioni balcaniche, gli interventi delle potenze europee in parti dell'Africa a portare con reparti armati - si dice - cibo, ordine, ripristino della legalità, là dove antichi equilibri naturali e tribali furono sconvolti dalle stesse potenze che imposero modelli di vita materiale, di vita civile e politica repugnanti alle culture locali. I risultati sono molte vite stroncate di proletari bianchi e neri.

 

Note:

 

1)- G. Arfé, Il movimento giovanile socialista. Appunti su primo periodo (1903 - 1912).Con una notizia su un complesso di lavori per la storia del Partito Socialista Italiano di Gianni Bosio, Milano, 1966 [edizione ciclostilata], 1973.

2)- Ibidem, pp. 1-9, fa rilevare l'opposta reazione delle due ali del partito, quella riformista e quella rivoluzionaria, di fronte al costituirsi di un'organizzazione autonoma dei giovani. Dopo il congresso costitutivo di Firenze (6-7 settembre 1903) della Federazione giovanile socialista emerse ancora la tendenza del partito, allora guidato dai riformisti, di tenere sotto controllo la neonata organizzazione, esigendo che nel comitato centrale, composto di sette membri, fossero presenti due suoi rappresentanti.

3)- V. Carpi, Questioni militari, Roma, 1908.

4)- Ibidem, p. 50.

5)- Ibidem,pp. 13 e 50.

6)- Portando l'esempio degli Stati Uniti d'America, dove il presidente Theodore Roosvelt aveva pubblicato un libro in lode dell'esercito [The Strenuous Life, New York, 1900, trad. it. di  H. di Malgrà, Vigor di vita, Milano, 1904] e quello dell'Australia, dove il segretario del partito del lavoro si era fatto promotore del servizio militare obbligatorio per tutti, il Carpi concludeva: «L'amore alla ricchezza e al benessere non fiacca la fibra, ma la tempra e convince l'uomo che per vivere deve essere forte individualmente e collettivamente» (Ibidem, pp. 27-28).

7)- Ibidem, p. 11.

8)- Ibidem, pp. 14-15.

9)- Come si va e come si vive nelle Compagnie di disciplina, in «Avanti!», n. 54, 23 febbraio 1913.

10)- Il testo dell' ultimatum è in molti libri relativi all'impresa di Tripoli; ne citiamo uno solo - non essendo questa una rassegna bibliografica sul fatto specifico - : P. Maltese, La Terra promessa. La guerra italo-turca e la conquista della Libia. 1911-1912, Milano, 1968, pp. 96-97.

11)- Solo nella prima fase della repressione seguita ai fatti di Sciara Sciat la stampa nazionalista italiana calcolò in mille gli indigeni uccisi, parte impiccati, parte fucilati o mitragliati; ibidem, p. 151.

12)- G. Volpe, L'impresa di Tripoli 1911-1912, Roma, 1946, p. 91.

13)- P. Maltese, La terra promessa ecc., p. 89.

14)- L. Lotti, La settimana rossa. Firenze, 1965, p. 54.

15)- G. Arfè, Il movimento giovanile socialista ecc., cit., 1973, p. 107, con la notizia ripresa da un articolo dell' «Avanguardia», 16 febbraio 1913, su contatti del segretario della Federazione giovanile socialista, Lido Cajani, con il Partito socialista francese sopra uno scambio di opinioni sulla organizzazione «il soldo al soldato», operante in Francia dal 1900.

16)- Chi scrive fece una tale osservazione a proposito della biografia di Pietro Tresso scritta da A. Azzaroni, Blasco. La riabilitazione di un militante rivoluzionario, intr. di I. Silone. Milano, 1962, in M. Fatica, Pietro Tresso a Gravina in Puglia (1914-1915), in «Miscellanea di studi storici dell'Università degli studi della Calabria», vol. II, Cosenza, 1982, pp.192-213 (i surrogati in tal caso furono l'esilio e l'assassinio ad opera degli stalinisti).

17)- Ci riferiamo ai due volumi, Storia della sinistra comunista, Milano, 1964, 1966. Chi scrive accolse a suo tempo alcune testimonianze del vecchio Bordiga che si inscrivevano in questo itinerario; M. Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli (1911-1915), Firenze 1971. F. Livorsi, Amadeo Bordiga. Il pensiero e l'azione politica. 1912-1970, Roma, 1976, le riprese non senza qualche sfumatura ironica, citando quanto Lenin disse a Lev Trockij: «Gli uomini non sono certo nati marxisti», L. Agnello, Amadeo Bordiga, in «Dizionario biografico degli italiani», vol. XXXIV, Roma, 1989, pp. 487-495, pone in relazione la sua formazione giovanile con il rapporto di amore-odio con il padre Oreste, massone e democratico, uno dei maggiori studiosi di economia agraria ed estimo rurale del tempo. Del resto, esempi di trasgressione politica nel ramo anche materno della sua famiglia, non erano mancati, se si pensa al caso di Michele Amadei, nonno materno (1839-1906) di cui si può leggere il profilo biografico di F. Santi in «Dizionario biografico degli italiani», vol. II, Roma 1960, pp. 602-603. Sicuramente dal padre gli vennero - come scrive l'Agnello - «la fermezza di carattere e il disinteresse personale, preziose indicazioni metodologiche nella ricerca economica e sociale, un'originale modalità di approccio ai problemi del Sud, esente dagli ideologismi del dibattito sulla 'questione meridionale'».

18)- La guerra balcanica, in  «L'Avanguardia», n. 265, 1° dicembre 1912

19)- Contro la guerra mentre la guerra dura, in «L'Avanguardia», n. 254, 25 agosto 1912.

20)- Per la concezione teorica del socialismo [III], in  «L'Avanguardia», n. 283, 13 aprile 1913, ora in Storia della sinistra comunista, cit., vol. I, pp. 199-207. Frederick Winslow Taylor (1856-1915), ingegnere meccanico americano, fu in pratica l'inventore della catena di montaggio e della produzione in serie.

21)- Il Soldo al Soldato, Roma, 1913, pp. 8 e 12-13.

22)- Si rinvia a quanto ne scrivemmo alcuni decenni fa, riportando, insieme all'opuscolo, qualche passo del carteggio Cajani - Bordiga del 1913 apparso in  «L'Avanguardia», n. 376, 21 febbraio 1915, in Origini del fascismo e del comunismo a Napoli, cit., pp. 473-482.

23)- Bianchi e neri, in  «L'Avanguardia», n. 297, 27 luglio 1913. L'articolo fu scritto a proposito dello sciopero dei minatori sudafricani, in cui egli auspicava l'unione di proletari inglesi, cafri e boeri, e a commento del caso di un ascaro accusato di tentata violenza ad una donna bianca.

24)- I delitti del nazionalismo, in  «L'Avanguardia», n. 294, 6 luglio 1913. L'articolo a commento delle guerre balcaniche e delle imprese non solo serbe, ma anche di altre etnie della penisola nel conflitto interetnico e contro i turchi.

25)- Il socialismo di ieri dinanzi alla guerra di oggi, in  «L'Avanguardia», n. 359, 25 ottobre 1914, ora in Storia della sinistra comunista, cit., vol. I, p. 248; Nulla da rettificare, in «Avanti!», n. 141, ora in Storia della sinistra comunista, cit., vol. I, p. 397.

26)- La borghesia e il principio di nazionalità, in «Avanti!», n. 24, 24 gennaio 1915, ora in Storia della sinistra comunista, cit., vol. I, p. 275.

27)- Norman Angell (1874-1967), economista ed instancabile sostenitore della pace internazionale, premio Nobel per la pace nel 1933, scrisse The Great Illusion: a Study of the Relation of Military Power in Nations to their Economic and Social Advantage, London 1910, che ebbe moltissime edizioni, scatenò violente reazioni negative, ma anche grandi entusiasmi, ebbe innumerevoli edizioni, fu tradotta in molte lingue, in italiano nel 1913 da L. S., intr. di A. Cervasato, per la casa editrice Humanitas di Bari. Sulla grande popolarità di questo libro negli ambienti socialisti v. D. Biocca, Il nuovo pacifismo e il dibattito sulle conseguenze economiche dell'imperialismo e della guerra, 1913-1915, in «Nuova rivista storica», 1982, pp. 547-563.

28)- La nostra missione, in  «L'Avanguardia», n. 273, 3 febbraio 1913: «Il concetto animalesco della concorrenza - lotta per la vita - viene attenuandosi, mentre si delinea il principio del muto aiuto - Entraide di Kropotkine -. Succede che la maggioranza sfruttata tende ad accelerare quell'evoluzione che la borghesia vorrebbe contrastare colla forma materiale e coll'educazione».

29)- Il socialismo di ieri dinanzi alla guerra di oggi, in «L'Avanguardia», n. 359, 25 ottobre 1914, ora in Storia della sinistra comunista, cit., vol. I, p. 246: «In verità la tesi dell'impossibilità della guerra aveva la sua maggiore formulazione nel famoso libro di Norman Angell - un borghese - nella mostruosa concezione borghese della pace armata, e nel concetto specificamente antisocialista che la civiltà procedesse in modo evolutivo e educativo aprendo gli occhi a governati e governanti sull'enorme errore e la evidente follia di una conflagrazione europea, dati i 'moderni mezzi di distruzione'».

30)- Non si vuole compilare una lista degli studiosi attenti a quanto scrivono gli altri e studiosi disattenti, diciamo solo che G. Arfè, nei due lavori citati alla nota 1, anche se ha messo in grande evidenza il ruolo egemonico esercitato da Bordiga nella federazione giovanile socialista all'inizio del secondo decennio del Novecento, nella seconda edizione de Il movimento giovanile socialista ecc., che è del 1973 [quindi di un anno e più posteriore al nostro  Origini del fascismo e del comunismo a Napoli] non rileva la scoperta della paternità; sulla stessa linea si collocano gli studi di M. Degl'Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia, Roma, 1980; G. Oliva, Esercito paese e movimento operaio. L'antimilitarismo dal 1861 all'età giolittiana, Milano, 1986. Tra gli storici che si sono accorti sia della pubblicazione del testo, sia della sua attribuzione ricordiamo: F. Livorsi, Amadeo Bordiga, Roma, 1976; R. Martinelli, I giovani nel movimento operaio italiano dalla FGS alla FGC, in «Movimento operaio e socialista», 3 1976, pp. 247-284. Il lavoro di A. De Clementi, Amadeo Bordiga, Torino 1971, non parla del Soldo al Soldato.

 

 

Michele Fatica

 

Giano, n. 18, settembre - dicembre 1994