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archivio > Articoli su Bordiga>Nevol Querci: A Colloquio con Bordiga

aggiornato al: 17/09/2007

La base socialdemocratica, n. 9, 10 settembre 1965

Questo articolo, praticamente sconosciuto, a firma di Nevol Querci apparve nel n. 9 del 10 settembre 1965 della rivista «La base socialdemocratica» sotto la rubrica «Rassegna dei movimenti della sinistra italiana».
Nevol Querci (1927-2000) fu attivo, nei primi anni del dopoguerra, nelle fila del partito comunista internazionalista e della sua attività (comizi ed interventi nella sua Pistoia) si trova traccia in «battaglia comunista». Si accostò poi al PSI nelle cui file venne eletto, nel 1968, deputato carica che mantenne per altre quattro legislature.
Pensiamo che Bordiga non avesse alcun ricordo della vecchia militanza di Querci quando gli concesse l'intervista che qui riproduciamo.

A Colloquio con Bordiga

Nell'androne di un vecchio stabile di Napoli, chiedo al portiere di parlare con l'ing. Bordiga. Mi viene passato il citofono: dico il mio nome. Dall'altro capo del filo Bordiga mi risponde freddamente. Ripeto ancora. Risponde: «Si, ho capito chi sei, ma non ho capito per quale motivo vieni a trovarmi».
Questo è Bordiga, l'uomo tabù per il P.C.I., l'uomo di cui i comunisti non parlano nei loro giornali. Eppure egli è stato il principale protagonista della formazione del partito comunista e della scissione di Livorno. Ma è stato anche l'uomo che ha detto di no a Stalin, come un giornale ebbe ad intitolare un articolo di terza pagina sul personaggio, e, in casa comunista, dire di no a Stalin è stato per un lungo periodo un errore imperdonabile. Di rigida formazione marxista, «sono un marxista integrale» mi dirà più tardi, Bordiga non ammette il culto dell'individuo. Benchè in Italia moltissimi siano ancora i suoi fedeli, egli continua a ripetere che non è l'uomo quello che conta ma le tesi sulle quali si allinea. Ricordo che nella prefazione di un libro che fa la storia della sinistra comunista egli ha definito la proprietà intellettuale come la più «borghese e mercantile rivendicazione della peggiore forma di proprietà privata».
Non lo vedevo da parecchi anni. Non è molto cambiato: ha 76 anni, ma non li dimostra. I suoi occhi, dietro le lenti, sono acutisimi, lo sguardo è aggressivo. Le prime battute confermano che il suo temperamento è ancora vivacissimo.
Gli spiego intanto le ragioni che mi hanno spinto a visitarlo: la Base sta facendo un'inchiesta sui movimenti che occupano lo spazio politico della sinistra italiana. Mi rivolgo a lui per conoscere la posizione dei comunisti internazionalisti. Risponde freddissimo: non è sua intenzione rilasciare interviste -del resto non ne ha mai rilasciate- né di dettare delle note: «La posizioni dei comunisti internazionalisti può essere ben conosciuta, per chi vuole veramente apprenderla; basta leggere quanto si va pubblicando sul nostro giornale. Io sono per il partito chiuso, aggiunge, quindi non scrivo che sulla stampa del mio partito. Non rilascio interviste né articoli perchè in fondo queste interviste e questi articoli sono richiesti solo a titolo di curiosità, per sollecitare il lettore o per fare un colpo giornalistico».
Il momento è critico e l'atmosfera fredda. Il suo sguardo, fisso su di me, penetra e mette a disagio. Si accorge del mio imbarazzo e non insiste. Ne approfitto per porgergli il foglio su cui sono dattiloscritte le domande preparate da La Base. Le scruta - «come sono lunghe», dice- e comincia a leggerle a mezza voce.
La prima domanda riguarda il ruolo che la programmazione economica può giocare nel sistema capitalistico per assorbire gli elementi di crisi presenti nel sistema stesso. Risponde: «La programmazione nazionale non potrà mai evitare la crisi del sistema capitalistico. Solo la programmazione mondiale promossa dalla dittatura di classe può chiamarsi programmazione...». Ora sembra rincorrere altre idee. Improvvisamente aggiunge: «A proposito della crisi, ritengo che dagli elementi di cui siamo in possesso, essa potrebbe anche essere ipotizzabile a breve scadenza, per esempio tra il '70 ed il '75».
La seconda domanda riguarda il conflitto Cina-URSS. Bordiga è stato il primo nel mondo a denunciare lo stato sovietico come uno stato capitalistico. Sentire da Bordiga un giudizio sulla natura dello Stato cinese riveste quindi un grande interesse. «La Russia, dice Bordiga, è ormai uno stato capitalista, mentre al contrario la Cina è ancora nella fase pre-capitalista, quasi feudale; quindi è senz'altro meno fetente della Russia».
Non aggiunge altro e passa a leggere la terza domanda. Essa riguarda l'unificazione socialista. Se ne dichiara entusiasta ma aggiunge subito dopo:  «Se essa si allargherà anche al pci, si avrà finalmente un solo raggruppamento socialdemocratico su cui il partito di classe potrà puntare i suoi strali. Ciò semplificherà molte cose».
Le risposte sono secche  e inesaurienti, ma preferisco non insistere. «La posizione dei comunisti internazionalisti può essere ben nota per chi vuole apprenderla, ci aveva detto. Basta leggere quanto si va pubblicando sul nostro giornale».
Cerco allora di deviare il discorso su altri argomenti: la funzione dell'individuo nel partito e nella società. Fiero anti-individualista, si riscalda subito. Racconta anzi un curioso episodio. Tempo fa una giornalista liberale inglese che sta facendo degli studi sulla formazione del partito comunista d'Italia -«d'Italia e non italiano» tiene a rimarcare Bordiga- gli fece pressappoco questo discorso: Gramsci è morto, ma attraverso quanto si è pubblicato in Italia, sono riuscita a farmi una idea assai precisa della sua personalità. Sono qui per vedere di farmene una dal vivo della sua. Al che Bordiga secco: «Bordiga non ha personalità. Scriva pure: Bordiga mi ha detto, non ho personalità». Ride contento, ripensando alla sguardo di costernazione che si dipinse in volto alla giornalista inglese.
Bordiga è così. Il suo anti-individualismo è talmente esasperato da non ammettere che si parli della sua persona. «Né bene né male: essa non conta». L'atmosfera è ora calda e cordiale. Provo a contraddirlo. Parlo dei capi carismatici. «Per i marxisti integrali non esistono capi carismatici. Esiste solo il partito carismatico». La sua visione del partito e della relativa organizzazione è assai rigida. Cito Lenin come esempio di un grande capo. «Lenin era grande, ed era giusto sfruttare il prestigio del suo nome nel periodo rivoluzionario. Ma Lenin stesso inorridirebbe nel vedere il suo corpo mummificato nel famoso mausoleo. Quando poi i capi non sono della sua statura, gli effetti sono ancora più deteriori. E' occorso aspettare la morte di Stalin per demolire Stalin, e quella di Togliatti per demolire Togliatti».
Il discorso si sposta ancora. Gli ricordo che anni fa un quotidiano pubblicò un articolo sulla sua persona dal suggestivo titolo l'uomo che disse di no a Stalin. Bordiga interrompe: «Quel titolo era sbagliato. In effetti fu Stalin che disse di no a Bordiga». E qui racconta la lotta  che il partito comunista d'Italia condusse in seno all'Internazionale per contrastarne la progressiva involuzione. Ma le tesi italiane non vennero accettate. Mi racconta un episodio che caratterizza assai bene la sua spregiudicata personalità. «In una riunione dell'Esecutivo allargato chiesi ad un certo momento a Stalin se fosse vero che Lenin al suo ritorno in Russia nel 1917, a proposito della conduzione della Pravda avesse espresso severi giudizi (La Pravda prima della rivoluzione era diretta da Stalin. N.d.R.). Il giornale, a detta di Lenin, sembrava che fosse diretto da uno sciovinista e non da un bolscevico. Feci la domanda in francese ma le interpreti, impressionatissime, non si decidevano a tradurla in russo. Non mi era possibile rivolgermi direttamente a Stalin perchè non conoscevo il russo e d'altronde Stalin stesso in quel periodo non parlava che quella lingua. Stalin seccatissimo ordinò alle interpreti di tradurre «quanto il compagno Bordiga domandava». Cominciò la traduzione e i lineamenti di Stalin si contrassero. Ci fu un attimo di silenzio, poi Stalin frettolosamente aggiunse: da, da».
Rimaniamo a parlare del gruppo dirigente bolscevico. Bordiga ci dice di avere esattamente previsto l'alleanza che si realizzò più tardi tra Zinoviev ed Kamenev da una parte e Stalin dall'altra per combattere Trotzky: «Contro l'opinione di tutti, perchè a Mosca si diceva allora che tra Zinoviev, Kamenev e Stalin esistesse una profonda avversione. Ma l'opportunismo, aggiunge, è un male che non perdona».
Approfitto della sua buona predisposizione per girare il discorso sul gruppo dirigente del pcd'i. Cito la titubanza esistente in Gramsci nell'assumere, secondo i voleri dell'Internazionale, la segreteria del partito e sostituire Bordiga. Gli dico di aver letto che nel gruppo ordinovista esistevano perplessità, quasi paura, ad affrontare il problema. Gramsci stesso aveva del resto dichiarato all'inviato dell'Internazionale che per sostituire Bordiga occorrevano due Gramsci. «Bordiga svolge una mole di lavoro immenso ed il suo dinamismo è eccezionale». Come è già accaduto altre volte nel corso del colloquio, Bordiga mi interrompe: «Quest'armeggiare dietro la mia persona è davvero ingiustificato. Togliatti ha scritto ad esempio che le perplessità per procedere alla mia sostituzione al vertice del pcd'i provenivano anche da un episodio che si sarebbe svolto a Mosca nel '22 quando avrei reagito con molta durezza ai semplici accenni di una proposta simile. Tutto questo è veramente ridicolo. Per la concezione che ho del partito, se mi avessero detto che me ne dovevo andare e cedere il posto ad un altro, non avrei opposto alcuna resistenza». Così dicendo si alza ed indicando la sua poltrona aggiunge: «Se non avessi voluto mollare il partito, avrei potuto benissimo farlo. Ma non potendomi opporre ad un corso involutivo inesorabile e ormai in atto, mi sarei dovuto trasformare in un opportunista, né più né meno come già si erano trasformati Togliatti e compagni».
Il Colloquio si appunta ora particolarmente su Gramsci. «Quando a Torino uscì l' Ordine Nuovo, non mancammo, nel saluto pubblicato sul Soviet, di mettere in guardia il gruppo torinese sui pericoli di una involuzione su di una sorta di neo-riformismo». Parlo subito del neo-idealismo gramsciano. Bordiga mi interrompe: «Però negli ultimi anni Gramsci stava approdando sulle sponde del marxismo».
Cito di Rinascita il numero speciale dedicato all'anniversario della morte di Togliatti. Bordiga sorride. I suoi occhi sembrano ora ancor più vivi. «Quello di Rinascita, dice, è il peggior servizio che quel giornale poteva fare a Togliatti. Tutto quel materiale pubblicato sulla sua vita... Quante contraddizioni... Come risulta evidente il continuo cambiamento d'indirizzi... Togliatti ha cambiato tante posizioni quante ne ha cambiate Mosca.». E' questa la rivincita del vecchio rivoluzionario sull'opportunista Togliatti. Anche se, naturalmente, questo tipo di rivincite non interessano affatto Bordiga.
Ora guarda l'orologio e si alza. Il colloquio è finito. «Credo che abbiamo parlato abbastanza». E' la massima concessione che un marxista integrale può fare  ad un interlocutore di parte socialdemocratica. Sulla porta gli chiedo se posso tornare a trovarlo. «Senz'altro, purché ciò non avvenga troppo spesso».

Nevol Querci