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archivio > Articoli su Bordiga>Il primo eretico del PCI

aggiornato al: 19/10/2007

Questo articolo di Panfilo Gentile, scritto in occasione della morte di Amadeo Bordiga su "Il Corriere della Sera del 28 luglio 1970 , merita qualche considerazione.

Questo articolo di Panfilo Gentile, scritto in occasione della morte di Amadeo Bordiga su "Il Corriere della Sera del 28 luglio 1970 , merita qualche considerazione.
Panfilo Gentile è conosciuto, dai pochi che ne serbano memoria, come pubblicista e giornalista che partecipò, nel secondo dopoguerra, alla vita del Partito Liberale Italiano su posizioni quindi di destra da liberale vecchio stampo quale era diventato.
Coetaneo di Bordiga, nacque nello stesso anno, nel 1889 (mentre morirà a Roma l'anno successivo a quello della stesura di questo articolo e cioè nel 1971), pochi sanno dei suoi esordi agli inizi del secolo scorso come socialista rivoluzionario. Neutralista intransigente di fronte alla prima guerra mondiale, socialista massimalista, conobbe, alla fine della guerra, Bordiga e scrisse all'inizio del 1920 su «Il Soviet» ( citiamo "Il tramonto dell'economia liberale" sul n.1 del 4 gennaio 1920 e "L'economia comunista" sul n. 3 del 18 gennaio 1920); scivolò poi, progressivamente verso posizioni conservatrici.
Non capiamo che tipo di complesso freudiano lo colpisca verso la fine dell'articolo quando scrive: "Non risulta che il Bordiga abbia continuato a coltivare a lungo gli interessi rivoluzionari che gli erano stati tanto cari": vede forse se stesso in Bordiga?
Quel che è certo è che Bordiga si ricordava di lui tanto da scrivere in un "filo del tempo" («L'imperatrice delle acque purgative» ,battaglia comunista, n. 7, 4-17 aprile 1952):
"...un già scrittore di riviste nostre di partito, dal dolce nome, che è vero peccato non sia nelle file staliniste: Panfilo Gentile.").   

Il primo eretico del PCI

Il vecchio uomo politico napoletano, con la sua relazione al congresso socialista di Livorno, gettò le basi del partito comunista italiano. Ma non si adattò alla concezione sovietica. Inviso a Lenin e a Stalin si ritirò dalla politica attiva dedicandosi alla sua professione.

Ho conosciuto Amadeo Bordiga a Napoli nello sgabuzzino del Rettifilo, dove aveva il suo ufficio di ingegnere. Confesso che al primo incontro non riportai un'impressione di simpatia né del suo fisico vagamente clericale, né del suo discorrere, che procedeva per via di affermazioni apocalittiche, sicure, mai rallegrate da una vena di dubbio e tanto meno di umorismo.
Non era però un rivoluzionario retore di tipo meridionale. Se fossimo vissuti nel 600 me lo sarei figurato volentieri nella veste di un domenicano cupo e fanatico. La ragione per la quale io lo avevo ricercato era il forte disorientamento che aveva colpito le mie convinzioni politiche nell'immediato dopoguerra. Bordiga, sebbene molto giovane,  si era conquistato una larga fama tra i nuovi arrivati nel campo socialista. Penso anche a Gramsci che a Torino aveva cercato di conciliare Benedetto Croce con la occupazione delle fabbriche. Ma Bordiga non aveva niente di Gramsci ed era essenzialmente uno spirito logico-matematico-astratto.
Ebbi curiosità di sapere da lui come la pensasse in rapporto alle possibilità di una rivoluzione europea, conseguenza della rivoluzione sovietica. Io consideravo oramai tali possibilità molto scarse. Esposi a Bordiga la mia opinione che la rivoluzione italiana con forze politiche italiane oramai non era più possibile. L'occasione buona era stata sciupata nel '19 nel primo tumultuoso reflusso dei soldati dalle trincee e nel completo disordine  negli organi statali. D'altra parte dopo che il generale Weygand aveva fermato l'esercito rosso in Polonia si era dileguato il sogno trotskista di una alluvione russa sull'Europa inerme e stanca. Né era più da sperare in una iniziativa rivoluzionaria delle nazioni vinte.
In Germania la rivolta spartachista era stata sanguinosamente domata da Noske. Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg erano stati gettati nella Sprea. In tali circostanze pensavo che i socialisti italiani avrebbero dovuto riesaminare la loro posizione nel senso di concepire un inserimento pacifico delle forze socialiste nella vita del paese sul presupposto di un rinvio a tempo indeterminato delle vedute massimaliste.
Ma a queste mie perplessità Bordiga non dette il minimo peso e si dimostrò perfettamente indifferente a calcoli che dovettero sembrargli estremamente meschini ed indegni di un vero rivoluzionario. Mi sembra di avere dato a Bordiga qualche articolo per la sua rivista, ma tanto io quanto lui comprendemmo che parlavamo linguaggi diversi e perciò dopo due o tre conversazioni interrompemmo i contatti politici pur continuando nelle buone relazioni a titolo personale. Perchè Amadeo Bordiga era un uomo dotato di delicate qualità morali ed era possibile restare suoi amici pur nel dissenso politico.
La grande giornata di Bordiga venne poco dopo i nostri incontri al congresso socialista di Livorno del 1921. Qua Bordiga fu personaggio di primo piano. Egli fu il relatore ufficiale della mozione preparata dalla frazione comunista. In questa chilometrica relazione Bordiga espose il pensiero suo e dei suoi compagni, pensiero dominato da una concezione escatologica della storia secondo gli schemi marxistici allora di moda. Ma l'importante di quella relazione fu rappresentato dalle richieste pratiche conclusive: 1) ingresso alla terza Internazionale e sconfessione della seconda Internazionale; 2) accettazione dei 21 punti concordati a Mosca; 3) espulsione della frazione social-democratica e cioè degli uomini più illustri del socialismo italiano come Turati, Treves, Modigliani, Baratono, eccetera. E fu proprio questo ultimo punto che non venne accettato in quel momento nemmeno dai massimalisti di Serrati.
Tutti ebbero l'impressione che i comunisti fossero andati a Livorno proprio per uscire dal partito e non per discutere. Ciò apparve soprattutto nel discorso dell'on. Graziadei, in quel tempo uomo di fiducia dell'Unione Sovietica. Ed infatti i comunisti non persero tempo e il 21 gennaio si ritrovarono già riuniti per fondare il nuovo partito comunista sotto la presidenza del compagno Kobakciev. Può riuscire interessante ricordare che il primo comitato centrale risultò composto dei seguenti compagni: Repossi, Belloni, Terracini, Fortichiari, Bordiga, Tarsia, Gramsci, Polano, Parodi, Gennari, Bombacci, Sessa, Grieco, Misiano e Marabini.
L'acclimatamento dei comunisti italiani entro la concezione sovietica, come è noto da quanto hanno scritto in proposito Tasca e Silone, non fu molto facile. Fra coloro che non si adattarono ci fu anche Bordiga. Ignoro con precisione i motivi per i quali Bordiga venne in dissenso con i suoi compagni. Per un pezzo il suo nome fu fatto come quello di un rappresentante del pensiero trotskista, giudicato eretico da Lenin e più ancora da Stalin. Ma non risulta che il Bordiga abbia continuato a coltivare a lungo gli interessi rivoluzionari che gli erano stati tanto cari. Lo troviamo presto come un retraité, professore alla scuola superiore  di Portici e pacifico borghese. Nel cielo della politica italiana e della storia del socialismo fu solo una meteora. Il suo nome era stato dimenticato e quando l'altro giorno si lesse della sua morte avvenuta a Formia, la notizia dispiacque solo a qualche vecchio suo amico come il sottoscritto.

Panfilo Gentile


Il Corriere della Sera, 28 luglio 1970