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archivio > Articoli su Bordiga>Luigi Cortesi, Il "pacifismo" rivoluzionario di Amadeo Bordiga (recensione), (Giano, n. 26, 1977)

aggiornato al: 14/10/2008

Giano n. 26, maggio - agosto 1977

Presentiamo una recensione di Luigi Cortesi al I volume degli scritti di Bordiga apparso nel 1996. Ad esso seguì un secondo volume nel 1998 ma poi l'opera che avrebbe dovuto presentare nove volumi e giungere al 1926 si interruppe e non si sa nemmeno se, e quando, apparirà il terzo volume.

E' una grossa mancanza, non solo da un punto di vista militante ma anche soltanto storico, che quanto Bordiga scrisse nel periodo di preparazione e poi di fondazione del Partito comunista e nel periodo poi di lotta nell'Internazionale Comunista fino alla rottura e all'emarginazione, anche nel partito italiano, non sia alla portata di  coloro a cui questa storia interessa.

Speriamo che, in qualche modo, la pubblicazione di questa opera venga ripresa.

 

Il "pacifismo" rivoluzionario di Amadeo Bordiga

 

A. Bordiga, Scritti 1911-1926. I. Dalla guerra di Libia al Congresso socialista di Ancona, 1911-1914. A cura di Luigi Gerosa, Genova, Graphos, 1996, LXX - 494 pp.

 

Non è la prima volta che "Giano" si occupa del periodo giovanile di Bordiga. Sul n. 18, settembre - dicembre 1994, Michele Fatica pubblicò "Il soldo al soldato" di Amadeo Bordiga. Una campagna antimilitarista, un testo, un autore. Nel saggio che precedeva la ripubblicazione dello scritto del 1913, Fatica mise in chiaro che, contro lo schema invalso di fare della più ligia ortodossia marxista il perno della vita intellettuale e politica del dirigente comunista, il suo antimilitarismo pre-1914 si connotava come "totale avversione giovanile alla guerra, al massacro organizzato dai governi, ai conflitti sanguinosi per la creazione di mini stati fondati su improbabili e dubbie purezze etniche". La pubblicazione di questo I volume delle opere consente di verificare l'affermazione dello studioso, ed induce ad estenderla ad altri temi della formazione del fondatore del partito Comunista d'Italia e perfino ad assumerla a criterio metodico valido per giudicare della sua intera biografia.

E' ovviamente indiscutibile la sua appartenenza al marxismo; ma all'interno di essa l'incrociarsi degli eventi e dei processi d'un secolo tempestoso (Bordiga nato a Resina, Napoli, nel 1889, è morto nel 1970) ha sottoposto alle proprie determinazioni le modalità della coerenza politica e le forme stesse del marxismo. Oltre a ciò, per quanto attiene in particolare alla giovinezza del personaggio, non si può prescindere dal luogo e dal clima in cui egli si trovò ad operare.

Napoli era allora città emarginata dalle grandi decisioni, nella quale formalmente il conflitto principale era quello tra la pura reazione e un fronte progressista che attraeva in sé gli esponenti della democrazia sociale, e il conflitto secondario si svolgeva all'interno a ai margini del PSI tra questa tendenza "bloccarda" e la ricerca di una linea alternativa che rappresentasse politicamente le esigenze di un esordiente e battagliero proletariato di fabbrica. Il giovane militante e dirigente socialista Amadeo Bordiga fu dalla parte di questa ricerca, e tra la prima guerra mondiale e il dopoguerra seppe orientarla in modo tale da trasferirne i motivi sul piano nazionale e da tradurla in impulso alla formazione del Partito comunista.

Il riverbero della peculiarità napoletana è presente in tutto il periodo coperto da questo primo volume, e aumenta anzi gradualmente di intensità. E l'interesse che al problema va portato non è solo tattico e locale, ma strategico e generale. La proiezione che Bordiga ne trae sul piano teorico è bene espressa in uno scritto del luglio 1914, Democrazia e socialismo:

 

"[...] il socialismo, inteso come fatto sociale, e non come processo culturale nel pensiero di questo o quel sociologo, non derivò da uno sviluppo della democrazia, ma si affermò come una solenne denunzia del fallimento storico della formula democratica, e degli inganni che questa conteneva." (pag. 453)

 

Questa precoce conclusione rimase acquisita una volta per tutte; ed egli doveva in seguito portarla a conseguenze estreme, di scambio delle crisi di "formula" con il "fallimento storico", e delle antinomie della democrazia borghese con il concetto in sé di democrazia, dal cui punto di vista il socialismo non può essere pensato che come sua estensione al massimo grado, e quindi come 'sfondamento' e socializzazione della politica.

Ma qui subentra, nell'analisi di questi scritti giovanili, la necessità cui accennavamo di tener conto del clima storico. Nella loro Prefazione , l'editore Corrado Basile e il curatore Luigi Gerosa prendono una posizione precisa sia contro l'oscurantismo della cultura e della pubblicistica di Togliatti e degli epigoni, che vollero puramente e semplicemente calunniare in modo vile Bordiga o tacerne del tutto, sia contro l'anonimato sistematico dietro al quale ad un certo punto Bordiga stesso si trincerò, e che fu, ed è, ritualmente rispettato da coloro che, superstiti a beghe e scismi interni, continuano a considerarsi i suoi unici legittimi eredi:

 

"[...] l'opera di Bordiga - scrivono Basile e Gerosa - deve essere posta in rapporto con le situazioni in cui la sua azione politica si è di volta in volta inserita, secondo le caratteristiche delle alterne fasi della lotta di classe in Italia e sul piano mondiale. Ignorare le differenze del periodo anteriore agli anni Venti rispetto a quello successivo, per non dire nulla di quelle rispetto alla situazione successiva al 1945, collocandone l'opera in una dimensione sovratemporale, giocando con l'anonimato o comprimendola in antologie dai contorni precostituiti, ci sembrano operazioni di scarso significato" (p. VI).

 

Solo su questa base, tra l'altro, è possibile pervenire ad una attribuzione dei testi non firmati che fornisca garanzie sufficienti e che sia, eventualmente, sottoponibile a controlli ulteriori. Non esitiamo a dire che questa ricollocazione del politico e teorico comunista nel contesto storico della sua vita è l'elemento che dà alla raccolta il rilievo d'un grande avvenimento culturale (per esprimerci con un termine il cui uso generico giustamente Bordiga mostra di detestare fin dalle prime polemiche con i compagni della Federazione giovanile).

Democrazia e socialismo fu scritto alla vigilia della "grande guerra"; ma di quella guerra si sente la minaccia, non l'imminenza. Bordiga non fa eccezione alla regola, che ha voluto colti di sorpresa tutti i leaders del movimento socialista internazionale, compresi quelli che - come il giovane dirigente del Circolo "Karl Marx" di Napoli - avrebbero recepito l'esperienza della guerra imperialistica sotto il profilo del rilancio del comunismo rivoluzionario. Anche per Bordiga il rischio di guerra è venuto crescendo negli anni del nuovo secolo, alimentato da un nazionalismo e da un militarismo sfrenati, e ha toccato l'acme tra il 1911 e il 1913, nella nefasta serie di conflitti parziali cui proprio la democratica Italia giolittiana aveva dato un contributo decisivo, innescando le guerre balcaniche sulle ali della canzone "Tripoli, bel suol d'amore". Egli fu poi autore di articoli - che troveremo nel II volume degli Scritti - con i quali assumeva una posizione simile a quella della sinistra dell'Internazionale, e portata a conseguenza dai bolscevichi russi. Una posizione che tra il 1911 e il 1914 era stata condivisa, e poi fu clamorosamente tradita. da B. Mussolini, allora leader dell'ala più radicale del PSI e direttore dell' "Avanti!" ( e a questo proposito va notato che la raccolta curata da Gerosa induce ad un ridimensionamento di quello che talvolta s'è chiamato il "mussolinismo" di Bordiga).

In questi I volume noi possiamo comunque seguire il maturare di un'elaborazione che appare compresa tra il rifiuto totale della guerra di cui abbiamo detto e la preoccupazione di prendere le distanze dal pacifismo astratto, coniugando il rifiuto stesso con la forza storicamente trasformatrice della lotta di classe.

Se nella periodizzazione della storia del socialismo non ci affidiamo solo a scadenze interne, ma in primo luogo ai grandi eventi internazionali e al loro senso, allora la guerra libica si impone come svolta di grande portata, e insieme punto di partenza d'una fase nuova, e non ancora esaurita, della storia mondiale.

Rivelazione della forza sconvolgente del capitalismo-imperialismo; tendenza ormai molto avanzata alla globalizzazione del mercato, anticipazione della incompatibilità per via pacifica dei conflitti tra le grandi Potenze (ma è interessante rilevare che ancora ne Il soldo al soldato Bordiga mostrava una certa convinta adesione alla tesi contraria, espressa da Normann Angell nel suo "magnifico libro" La grande illusione; cfr. p. 304); dimostrazione ancora incompleta, dell'egemonia riformista sul movimento operaio organizzato, pur nella congiuntura favorevole ad una sinistra per diversi aspetti ambigua e impreparata (in Italia, il "massimalismo"); preannunci dell'integrazione di ampie fasce di proletariato e di plebe indifferenziata nel sistema, sotto gli stendardi dei rispettivi Stati-nazione: l'esordio di Bordiga avviene nel 1911-12 in questo quadro, insieme complesso e rivelatore, che segnerà poi profondamente tutta la sua vita. E sarà sempre caratteristica dell'elaborazione bordighiana l'unità stretta della componente italiana con il grande contesto internazionale, e quindi la considerazione del socialismo in primo luogo come internazionalismo proletario.

Non solo, dunque, la guerra di Libia è nazionalista e imperialistica (questo termine, che impronta di sé la grande ricerca politica del comunismo, ricorre negli scritti a partire dal febbraio 1912); ma lo sono anche le guerre balcaniche, delle quali pure Bordiga non disconosce gli aspetti nazionali, soggiungendo comunque che il socialismo non ammette neanche le guerre di nazionalità e rifiuta la distinzione tra "guerre di conquista" e "guerre di indipendenza" per condannare in blocco tutti i conflitti armati tra Stati. Dopo le manifestazioni internazionali per la pace e la conferenza di Basilea del novembre 1912 - con la quale i socialisti si illusero d'aver evitato una conflagrazione europea che invece ne risultò solo rimandata - la prospettiva era la rivoluzione contro la guerra:

 

"[...] L'Internazionale socialista ha gettato l'allarme. da tutte le parti d'Europa milioni di proletari organizzati nei sindacati, milioni di socialisti hanno risposto all'appello. Per forza dei loro rappresentanti, da Basilea, i lavoratori gridano ai governi un ammonimento che è una sfida: osate di proclamare la guerra e noi reagiremo con tutti i mezzi. [...] Al momento che si annunzierà l'ordine di mobilitazione, noi proclameremo lo sciopero generale senza limite, alla proclamazione di guerra noi risponderemo con l'insurrezione armata. Sarà la Rivoluzione sociale..." (p. 143)

 

Sappiamo che nell'estate 1914 le cose non andarono così, ma al contrario. E da qui siamo rimandati all'altro, grande tema che abbiamo di sfuggita indicato, quello della "coltura" e dell'antiintellettualismo di Bordiga, convinto che un programma ispirato all' "educazionismo" e non direttamente politico-rivoluzionario potesse finire con l'agevolare la metabolizzazione dell'alternativa socialista.

Evidentemente, quello di Bordiga non era un pacifismo semplice; ripudiava, anzi, il pacifismo in generale; ed è già una nostra forzatura definire la sua posizione, con un ossimoro apparente, come "pacifismo rivoluzionario".

In ogni caso, si potrà notare che il volume raccoglie scritti giovanili del "mondo di ieri", i quali tuttavia pongono ancora gravi problemi; problemi che diverranno più incalzanti nei volumi successivi.

Un'ultima doverosa nota positiva dedichiamo alla cura di Gerosa, attenta e appassionata, filologicamente scrupolosa; e alla sua Introduzione che segue il cammino di Bordiga nel triennio considerato dando conto dei principali studi esistenti, e chiarendo le scelte di metodo effettuate.

 

Luigi Cortesi

 

Giano, n. 26, maggio-agosto 1997