Cerca nel sito



 


archivio > Articoli su Bordiga>Bruno Bongiovanni su alcuni libri di Amadeo Bordiga (Rivista di storia contemporanea 1975-76)

aggiornato al: 08/07/2008

Rivista di storia contemporanea 1975-1976

Riproponiamo queste schede di Bruno Bongiovanni, apparse su  «Rivista di storia contemporanea» nel  1975 e 1976, che si riferiscono ad alcuni libri di Amadeo Bordiga apparsi in quegli anni.

Oggi sembra quasi impossibile, riferendoci ad esempio alla recensione del Dialogato con Stalin che solo Bordiga (con pochissimi altri) sostenesse, nei primi anni cinquanta del secolo scorso, la natura mercantile e capitalista di quel paese che veniva fatto passare per "la patria del socialismo".

Speriamo che la lettura di queste recensioni invogli alla lettura di quei testi sempre avvincenti, validi ed importanti.

 

 

Recensioni di Bruno Bongiovanni ad alcuni libri di

Amadeo Bordiga

 

 

Amadeo Bordiga, Scritti scelti, a cura di Franco Livorsi, Feltrinelli, Milano 1975, pp. 266.

 

Amadeo Bordiga, Russia e rivoluzione nella teoria marxista, pref. di Giorgio Galli, Il Formichiere, Milano 1975, pp.270.

 

In uno scritto del 1968 sugli orientamenti della storiografia in merito alla storia del  P.C.d'I. dal 1921 al 1926, Massimo Salvadori scriveva che «Bordiga non era neppure in campo teorico quel rozzone che si vuol far credere» e che era ormai maturo uno studio sul personaggio in questione «senza preconcetti mentali e senza residui di natura personale». Giorgio Galli, nella Prefazione al testo de Il Formichiere, ricorda che Palmiro Togliatti aveva definito il recupero della vigorosa personalità di Bordiga operato da Galli nella sua Storia del P.C.I. come il ritrovamento di un animale estinto, l'iguanodonte. Successivamente, e già prima dell'invito di Salvadori, la discussione storiografica si era spostata sull'operato politico di Bordiga, grazie anche al lavoro della «Rivista storica del socialismo», accusata in un dibattito rimasto famoso, di «neobordighismo». Era quindi largamente sfatata la leggenda del P.C.I. fondato solo da Gramsci e Togliatti ed il lettore di cose storiche sapeva quanto meno che il P.C.d'I. era stato costituito grazie al lavoro fondamentale di Amadeo Bordiga. Non solo Luigi Cortesi o Andreina De Clementi, ma lo stesso Paolo Spriano avevano contribuito, sia pure da angolature assai divergenti, a ricostruire gli avvenimenti storici in modo non deformato. Ora Franco Livorsi, che pure si muove secondo un'angolatura assai simile a quella dello Spriano, denuncia alcune evidenti goffaggini di quel dibattito, come l'insistita collocazione del «settarismo» bordighiano all'interno dell'ambiente primitivo e arretrato di Napoli, o come l'avversione di Bordiga per la democrazia borghese addebitata alle origini aristocratiche della madre. Il lavoro antologico di Livorsi ed anche il testo del '54 sulla Russia contribuiscono a mostrare la vigorosa e potente tempra di teorico di Bordiga; dopo la conoscenza del ruolo storico esercitato da Bordiga, era molto importante che si conoscesse anche l'opera teorica di Bordiga, e non solo quella, più facilmente reperibile, e, tutto sommato meno originale, del periodo che si conclude con il 1926, ma anche quella del periodo che va dal 1945 alla morte, sopravvenuta nel 1970. I testi erano sinora disponibili su fogli usciti a tiratura limitata ed erano perlopiù anonimi (è stato fatto un imponente lavoro di traduzione su riviste francesi, ma anche in queste sedi l'anonimo è stato spesso rispettato); ora cominciano ad essere rintracciabili attraverso i tradizionali canali, certo mercantili, il che Bordiga non avrebbe apprezzato, ma indubbiamente agili per una più vasta diffusione. Il lavoro di Livorsi, dati molti precedenti (forse più vistosi nei gruppi che si muovono «alla sinistra» del P.C.I. e di questo  spesso più pronti a ripresentare forme di stalinismo storiografico mascherato), stupisce per l'equilibrio, per la serenità ed anche per talune acute e brillanti osservazioni (si veda la citazione di Proust con cui si conclude l'Introduzione). Il vecchio reprobo Bordiga viene riconosciuto come il creatore di un tipo umano nuovo in Italia, il comunista (che, con un pizzico di retorica, Livorsi scrive a lettere maiuscole); il vigore teorico, pur nel dissenso, viene riconosciuto, come pure viene messa in luce la straordinaria capacità di previsione storica di Bordiga. Vi sono due inediti: un'importante lettera di Bordiga a Gramsci del '27, ed un'ammirevole, commovente lettera a Terracini del '69, a proposito della quale va rilevato che, a differenza di quanto sembra credere il Livorsi, sicuramente nel '69 Bordiga  non aveva simpatia per le posizioni politiche contingenti del senatore comunista, ma conservava una grande, e pienamente comprensibile simpatia per il tipo d'uomo rappresentato da Terracini, che avvertiva essere più vicino al comunismo di molti altri.. Alcune altre sviste: il Partito comunista internazionalista del troncone di cui faceva parte Bordiga, non si chiamò «internazionale» nel '52, ma molti anni dopo, soprattutto dopo lo sviluppo dei gruppi internazionalisti francesi, che mal tolleravano un'omonimia con il Parti communiste internationaliste trockista, sciolto d'autorità da De Gaulle dopo il maggio '68; inoltre Arrigo Cervetto non viene dal bordighismo, ma dai G.A.A.P. (Gruppi anarchici d'Azione proletaria). Era poi preferibile evitare l'uso prolungato in chiave esorcistica della parola «addirittura», usata per scandalizzare il lettore ingenuo. Due esempi: «Bordiga converge con Trockij addirittura da sinistra» (p. 33) e «aveva combattuto con furore antiriformista addirittura la politica del PCI degli anni Cinquanta» (p.262). Alcune riserve andrebbero anche fatte sulla presentazione della concezione bordighiana del partito: è vero che per Bordiga vi è identità tra il partito e la classe, ma non è il partito che genera la classe, bensì la classe che genera il partito. Sensibile è dunque la differenza con Lenin (Livorsi vede nella concezione di Bordiga un'esasperazione logico-astratta del Che Fare?) e lo si vede in merito al problema degli intellettuali, che per Bordiga non hanno alcun ruolo privilegiato, mentre per Lenin, che a questo proposito si rifà esplicitamente a Kautsky, gli intellettuali sono i portatori «dall'esterno» della coscienza.

 

b.b.

 

Rivista di storia contemporanea, n. 3, giugno 1975

 

 

Amadeo Bordiga, Dialogato con Stalin, Edizioni Sociali, Borbiago-Venezia, 1975, pp. 190

 

A Roma nell'ottobre del 1952 usciva un supplemento della rivista «Rinascita»: era la traduzione del testo di Giuseppe Stalin Problemi economici del socialismo nell'URSS. Tale testo, rapidamente dimenticato dopo il XX Congresso, nonostante la sua notevole importanza, sta ora indirettamente tornando d'attualità grazie alla circolazione di alcuni commenti fatti al testo da Mao Tse-Tung nel novembre del 1958 (cfr. Su Stalin e sull'URSS , Einaudi, Torino 1975, pp. 150, L. 1.600) e solo ora pubblicati in Occidente. Esiste, tuttavia, un altro commento al testo di Stalin, quello fatto da Bordiga subito dopo la pubblicazione del documento di Stalin e diffuso, anonimo, nel 1953: ne esce ora un'utile ristampa. E' quasi incredibile che nessuno, se si esclude un paio di gruppetti maoisti, in Italia ed in Francia, abbia avuto il coraggio di ripresentare il testo di Stalin, che pure affronta  temi decisivi per la comprensione della natura sociale dell'URSS e del contenuto stesso del socialismo: tali temi sono il carattere delle leggi economiche nel socialismo, della produzione mercantile nel socialismo,  della legge del valore, della eliminazione del contrasto fra città e campagna, fra lavoro fisico e intellettuale, del mercato unico mondiale e della crisi del capitalismo, dell'inevitabilità della guerra fra i paesi capitalistici come conseguenza delle leggi economiche fondamentali del capitalismo moderno.

Non è semplicemente un frutto della guerra fredda, questo testo, ma una summa, di parte staliniana, dei capisaldi teorici abili a definire il capitalismo ed il socialismo. Bordiga accoglie il testo di Stalin come la tanto attesa confessione della Russia: con questo scritto il capo di Stato sovietico, pur continuando a definire socialisti i rapporti di produzione in Russia, ammette la persistenza all'interno del socialismo della legge del valore e con questo, indirettamente, secondo Bordiga, rivela la natura capitalistica della Russia. Stalin, ovviamente, generalizza e sostiene  che vi sono forme mercantili nel socialismo in generale (e non solo in quello sovietico) e Bordiga ribatte che se vi sono forme mercantili, allora vi è capitalismo, riprendendo la vecchia battaglia di Marx contro Proudhon, Lassalle e Rodbertus.

Secondo Bordiga  la confessione della persistenza della legge del valore è in realtà il contenuto della politica economica russa e quando «vi è ancora una politica economica... lì sono presenti classi rivali, lì non si è al socialismo ancora arrivati» (p. 65).

L'economia russa, secondo Bordiga, applica tutte le leggi del capitalismo: aumenta la produzione dei beni non da consumo proletarizzando contemporaneamente quote crescenti della popolazione e seguendo lo stesso percorso dell'accumulazione primitiva: «più beni strumentali, più operai, più tempo di lavoro, più intensità di lavoro» (p. 70).

L'aspetto più interessante del testo di Stalin dal punto di vista storico è poi senz'altro la riproclamata inevitabilità della guerra tra gli imperialismi rivali, tesi leninista riproposta mentre contemporaneamente si assisteva all'offensiva di pace dei «partigiani della pace», all'offensiva di Guerra della Corea e agli episodi noti della guerra fredda. Ma la cosa più interessante è che, nonostante il confronto in Corea tra Est ed Ovest, Stalin ritiene inevitabile una guerra tra i soli paesi capitalistici, ad esclusione dell'URSS, che è un paese socialista e quindi non coinvolgibile nella lotta spietata per la spartizione dei mercati: Stalin ipotizza addirittura una guerra tra Stati Uniti da una parte e Francia ed Inghilterra dall'altra.

Bordiga è d'accordo con Stalin nel ritenere che il ciclo accumulazione - sovrapproduzione - crisi - guerra - ricostruzione sia l'infernale ciclo della produzione capitalistica, ma non ritiene che la Russia sia estranea a tale ciclo, come ha dimostrato nel corso della seconda guerra mondiale, quando si è alleata prima con l'imperialismo tedesco e poi con quello anglo-americano, trascurando la tesi di Lenin parallela a quella dell'inevitabilità della guerra e cioè quella che postula la trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile.

E' la legge del valore esistente in Russia e confessata anche da Stalin ciò che impone all'URSS di inserirsi, da protagonista, nel conflitto intercapitalistico.

 

b.b.

 

Rivista di storia contemporanea, n. 4, ottobre 1976