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archivio > Lettere di Bordiga>lettera di Bordiga del 13 giugno 1948

aggiornato al: 30/10/2007

Napoli 13 giugno 1948

18.09.2007

Pubblichiamo una lettera che Amadeo Bordiga scrisse nel 1948 ad alcuni compagni e collaboratori. Essa è successiva al Congresso di Firenze (6-9 maggio) del Partito Comunista Internazionalista; la posizione di Bordiga, che non era iscritto al partito, è chiara e non lascia adito a dubbi.
Abbiamo scelto di non commentare la missiva: quanto è scritto è chiaro; se qualcuno prenderà lucciole per lanterne nessun problema o meglio sarà un suo problema. Non vogliamo invece togliere, con interruzioni, il piacere della lettura: quel formicolio che si trasmetterà ai nostri neuroni (se ce ne rimangono ancora) man mano che si procede nella lettura...
Diciamo solo che le persone citate (Covone, Tarsia e Otto sono amici e compagni di militanza di Bordiga, Otto è naturalmente Ottorino Perrone che mantenne con Bordiga una intensa corrispondenza fino alla morte nel 1957).
A quanto ci risulta la lettera è inedita; la sua ripubblicazione ci pare giustifichi , da sola, l'esistenza del nostro sito. 

Napoli, domenica 13 giugno 1948

Carissimi,
mantengo l'impegno di scrivere la domenica sebbene non abbiate risposto alla mia di una settimana fa. È qui Covone con una vaga speranzella di de(non di)ttatura ma io sono in una situazione negativissima. Comunque manterrò per Prometeo se seguirete il collegamento come proposto.
Il n. 35 di Internationalisme contiene un dispettoso ed acido articolo sul vostro congresso e partito, che fa porre alcune domande: perchè avete invitato certi fessi dal fegato supercritico? Perchè non avete saputo evitare che nel congresso affiorasse un dissidio che non è nemmeno una contrapposizione di orientamenti? Perchè avete fatto il congresso, contro il parere di non farlo e perchè quanto meno non lo avete materiato della discussione sui due punti della fase del mondo capitalistico e della lezione della degenerazione rivoluzionaria che consentivano una tappa del lavoro preliminare di riordinamento teorico? Una delle due: o vi mettevate prima di accordo tra voi in modo che il centro proponesse ai delegati un chiaro insieme di direttive o almeno di valutazioni, o se davvero avevate tra voi dei dubbi amletici vi ponevate in grado di farveli risolvere dall'apporto della base, ma evidentemente sia l'una cosa che l'altra vi è mancata, e la giusta soluzione per l'attività del partito non è nemmeno in una di queste due strade, abusate e vecchie entrambe, da cui si ritorna ad un'altra domanda: perchè avete costituito anticipatamente il partito?
Comunque il partito c'è, il congresso vi è stato, e per arrivare alla chiarificazione bisogna che, sia pure in cerchio stretto, vi lavoriate sopra superando punto per punto i vecchi intoppi.
Pensando a ciò ho gradito pochissimo il testo del CE sulle Direttrici di marcia, in cui credo sia stato ben concentrato tutto ciò su cui sbaglia ciascuno dei gruppi o dei compagni che si contrappongono, mentre tantissime cose avremmo da dire e ridire e ribattere che sono di patrimonio comune.
Come si sia potuto passare da un ottimismo errato a un non meno esagerato pessimismo non lo posso capire. Più o meno consapevolmente la maggior parte di noi, se pensava che il metodo del fronte antifascista e del partigianismo era bestiale, a questa giusta posizione tattica associava però l'errore valutativo della situazione (e quindi errore di principio perchè la valutazione della situazione non è un amminicolo che può andare colla moda come le gonne corte o lunghe, ma è la sostanza stessa della dottrina), che con la sconfitta del fascismo e la vittoria dei suoi avversari militari si sarebbe creata una fase di buone possibilità e di ripresa rivoluzionaria, come lotta contro il capitalismo e come lotta contro l'opportunismo. Invece la vittoria militare di una delle parti era un conto, l'evoluzione del sistema borghese in senso totalitario era un altro, qualche migliore buona possibilità poteva venire caso mai -avendo noi le mani pulite da ambo i partigianismi, naturalmente- proprio dalla vittoria militare dei fascismi, meglio detto, dalla sconfitta dei paesi capitalistici democratici e della Russia.
Comunque non essendo stato questo chiaro vi è stata sorpresa che caduto il fascismo a guadagnarne sia stato proprio il falso comunismo da una parte e le influenze borghesi dall'altra, e non sia sorto per generazione spontanea il gran partitone classista magari con un tonante Bordiga sul palcoscenico. Altra più o meno confessata attesa era quella che dalla successiva rottura tra le due ali del blocco antifascista sarebbe uscita comunque una lotta civile e una ripresa di classe, ad elezioni vinte o perdute o che so io, mentre si tratta di processi e forze concomitanti e collaboranti etc.
Ma da questo a proclamare in una dichiarazione solenne che il proletariato non esiste più come classe, anzi che la classe operaia è l'elemento cardine della ricostruzione capitalistica etc., etc. ci corre, o meglio si resta alla stessa altezza quanto a scorrettezza di formulazione e fallacia di pensiero.
Tutte queste cose si dicono ben diversamente e le abbiamo sempre sapute impostare ed esporre. Un conto è il civettare letterariamente con espressioni audaci e brillanti, un conto è la estrema prudenza scientifica da porre nello aggiornare, aggiornare soprattutto alla variante situazione di chi ci ascolta, le nostre tesi e le nostre formule. Non sono un modello ad uso universale ma vi prego considerare quanto delicatamente in lunghi decenni io abbia cambiate pochissime parole nelle dimostrazione dei nostri punti essenziali, malgrado lo stridente carattere di controcorrente di quanto enuncio ed enunciamo insieme, e la distanza enorme dalle mode conformiste e dalla demagogia corteggiatrice anche delle masse.
Qui si tratta di rimettere a posto tutti i termini della dottrina della lotta di classe quanto a cause determinanti, a fattori agenti e a rapporti di forze, cosa che a fatica cerco di fare ogni volta che vi mando qualcosa, ma in cui poi certi scritti entrano come la classica vacca infuriata nel negozio di cristallerie.
Lascio questa parte politica generale e vengo alla quistione sindacale. È chiaro che turba i vostri sonni ma il meglio che potete fare è una iniezione serale di luminal. Anche qui avete patapunfato tre o quattro asserzioni una più sconvolgente dell'altra. Volete scendere in pieno problema della prassi, ma ciò si fa sempre male quando non si è ben esaurito il campo della interpretazione e valutazione. Comunque il quesito "che fare" non è del nostro tempo e della nostra organizzazione. La storia lo pone quando crede e il buon marxista si vede dal saper accorgersene, allora, in quei rari momenti, ha il diritto di farsi venire la tarantola, senza tuttavia perdere il senno.
A questo quesito date una serie di risposte negative: non lavorare nel sindacato attuale, organo ormai, e sta bene, della borghesia e dello stato -non fondare un altro sindacato scissionista colla parola dell'autonomia- non intraprendere la demolizione del sindacato. Tutto ciò formulato con poco ordine, e culminando nel proclamare la indifferenza. Ma la indifferenza non si proclama, chi è indifferente tace, ecco tutto, e allora il famoso argomento che se non si dice qualcosa alla base tutto si sfascia si dimostra una preoccupazione insussistente. Non proiettate nessuna luce facendo ombra da tutti i lati.
Perchè non dare invece una buona storia del movimento sindacale, un buon confronto del sindacato classico con quello attuale, spiegare il rapporto economico mutato e la nuova meccanica, non più fondi per la resistenza, non più quote che l'operaio paga sottraendole al salario, in quanto la quota è tolta sulla paga, sicchè non ha più senso stare o non stare nel sindacato e nei suoi ruoli, anzi il metodo fascista si sviluppa logicamente dai successori, il contributo sindacale lo paga oggi addirittura il datore di lavoro etc., etc. Così si mettono a fuoco le questioni prima di dividersi in gruppi per fare la contraddanza sulle diverse soluzioni della prassi uscire entrare demolire e simili soggettivismi, che peccano di volontarismo e finiscono nel peggiore abulismo impotente. Così hanno ragione di dirci astensionisti nel senso che ad ogni offerta rispondiamo grazie non bevo, come quell'ospite che finì col dire lo stesso alla offerta della padrona di casa, hanno ragione di ridurre l'argomento a quello dell'impotenza come da 40 anni fanno gli opportunisti. Il nostro astensionismo 1919 non si costruiva con: parlamento? no; elezioni? no; sabotaggio comizi? no, come storcimenti di naso alla lista di un pranzo, era un vero tentativo di spostare la rotta della battaglia proletaria di novanta gradi in una fase in cui vi era qualcosa da decidere.
Questa brontolata non vi porta nulla di costruttivo e del resto non ho io il carico di fare di tutti  pezzi le vostre messe a punto, ma arrivate almeno a questa conquista che si attua coll'evitare di darsi una importanza non esistente; una formula teoricamente ottima è quella di stare zitti sui punti scabrosi. Quando saremo stati zitti non succederà nulla, poichè non abbiamo alle labbra le trombe di Gerico o il corno di Roncisvalle. Ma non avremo tratto dagli immaginari strumenti il suono di Barbariccia...
Mando questa lettera a Otto e la faccio vedere a Tarsia e Covone.
Cari saluti e scrivete.
Amadeo