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archivio > Lettere di Bordiga>9. La parola alla minoranza I, (Prometeo n. 137, 11 ottobre 1936)

aggiornato al: 12/04/2009

Prometeo n. 137, 11 ottobre 1936

In questa e nella prossima puntata della ripresentazione degli articoli di Prometeo sulla guerra di Spagna viene data la parola alla minoranza della Frazione italiana.

Il  Tito di cui si pubblica l'articolo è Mario De Leone che a Barcellona morì il 5 novembre 1936.

 

9

 

 

LA PAROLA ALLA MINORANZA

 

 

Comunicato della Commissione Esecutiva

 

La crisi sorta nella frazione, in conseguenza degli avvenimenti di Spagna, ha segnato un primo punto della sua evoluzione. Le divergenze fondamentali che abbiamo enunciato nel nostro precedente comunicato, si sono nuovamente manifestate nel corso delle discussioni avvenute nel seno dell’organizzazione.

Queste discussioni non si sono ancora incamminate verso la chiarificazione dei problemi fondamentali controversi e ciò sovratutto perché la minoranza non si è trovata ancora nella possibilità di procedere ad una analisi degli ultimi avvenimenti di Spagna, che potesse servire di conferma alle posizioni centrali che essa difende.

La C.E., basandosi sulle posizioni programmatiche che essa difende nei riguardi della costituzione del partito, di fronte a divergenze d’ordine capitale che non solo rendono possibile una disciplina comune, ma fanno sì che questa disciplina divenga un ostacolo rendendo impossibile l’espressione e lo sviluppo delle due posizioni politiche, ha considerato fosse necessario di giungere, sul terreno dell’organizzazione, ad una separazione così netta come quella esistente nel dominio politico nel quale le due concezioni sono in realtà un’eco della opposizione che esiste fra il capitalismo ed il proletariato.

La C.E. ha preso atto che nella medesima direzione che si è orientata la minoranza che ha costituito il “Comitato di Coordinazione”. Questo Comitato ha preso una serie di decisioni che la C.E. si è limitata a registrarle senza opporle critica alcuna ed ha preso le misure necessarie per facilitare la più completa attività della minoranza. Tuttavia la C.E. ha creduto bene di rifiutare la domanda di riconoscimento della Federazione di Barcellona, perché questa è stata fondata sulla base dell’arruolamento di milizie che sono diventate progressivamente degli organismi alle dipendenze dello Stato capitalista. Le divergenze con certi membri della Frazione su questa questione delle milizie può essere ancora sottomessa all’apprezzamento del prossimo congresso della nostra Frazione, perché questo contrasto è sorto sul fondo di una solidarietà che si afferma sui documenti fondamentali dell’organizzazione. È ben diverso per quanto concerne quelli che vorrebbero aderire all’organizzazione sulla base politica dell’arruolamento nelle milizie, problema la cui compatibilità coi documenti programmatici della Frazione non potrà essere risolto che dal Congresso. Per queste ragioni la C.E. ha deciso di non riconoscere la Federazione di Barcellona e di far entrare in conto i voti dei compagni che vi appartengono nel seno dei gruppi cui facevano parte prima della loro partenza.

La C.E. riafferma che l’unità della Frazione, che è stata infranta dagli avvenimenti di Spagna, non potrà ristabilirsi che sulla base della esclusione delle idee politiche che lungi dal poter apportare un solidale aiuto al proletariato spagnolo, hanno accreditato fra le masse forze che le sono profondamente ostili e di cui il capitalismo si serve per lo sterminio della classe operaia in Ispagna ed in tutti i paesi.

La solidarietà commossa della Frazione verso le migliaia di operai che attirati nel tranello dei fronti militari e capitalisti, sono preda del sanguinoso attacco fascista, non può esprimersi che attraverso la lotta contro il capitalismo di ciascun paese in cui si trovano i militanti della nostra Frazione.

In Ispana il dovere essenziale consiste nell’opporsi al duplice attacco dei fascisti e del Fronte Popolare, l’unica base possibile proletaria: la lotta contro il capitalismo per degli obbiettivi e traverso l’istrumento di classe.

 

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Comunicato del comitato di coordinazione

 

La minoranza della Frazione italiana della sinistra comunista, esaminati gli avvenimenti spagnoli, preso atto delle informazioni ricevute a voce da un delegato recatosi sul posto,

NEGA ogni sua solidarietà e responsabilità sulle posizioni prese dalla maggioranza della frazione attraverso la stampa (“Prometeo”. “Bilan” e manifesti, ecc);

APPROVA l’atteggiamento preso dal gruppo di compagni che contro il veto opposto dalla C.E., si sono recati in Ispagna per difendere, con le armi alla mano, la rivoluzione spagnola anche sul fronte militare;

CONSIDERA che sono già poste le condizioni per la scissione, ma che l’assenza dei compagni combattenti toglierebbe oggi alla discussione un elemento indispensabile politico e morale di chiarificazione;

ACCETTANO il criterio di rinviare ad un prossimo congresso la soluzione definitiva da dare alle divergenze; RIMANE quindi organizzativamente – se non può ideologicamente – nelle fila della Frazione, a condizione che sia data libera espressione al pensiero della minoranza sia sulla stampa che nelle riunioni pubbliche.

 

DECIDE

 

DI INVIARE subito in Ispagna un suo delegato e successivamente, se sarà necessario, un gruppo di compagni per svolgere un lavoro politico conseguente in seno e d’accordo con lo spirito dell’avanguardia rivoluzionaria del proletariato spagnolo, ovunque esso si trovi, per accelerare il corso dell’evoluzione politica del proletariato in lotta fino alla completa emancipazione di ogni influenza capitalista e da ogni occasione di collaborazione di classe, associando, quando sarà possibile a questo lavoro politico anche i compagni che oggi si trovano al fronte;

DI NOMINARE un Comitato di Coordinazione che regolerà i rapporti fra i compagni della Federazione di Barcellona (di cui si chiede il riconoscimento immediato) ed i compagni degli altri paesi per definire nei confronti della C.E. i rapporti che la minoranza avrà con essa;

AUTORIZZA i compagni della minoranza a combattere le posizioni della maggioranza e a non diffondere la stampa ed ogni altro documento basato sulle posizioni ufficiali della Frazione;

ESIGE che il presente ordine del giorno sia pubblicato nel prossimo numero di “Prometeo” e “Bilan”;

CONCLUDE inviando un saluto fraterno e l’augurio solidale al proletariato spagnolo che, nelle milizie operaie, difende la rivoluzione mondiale.

 

28-9-36

 

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La rivoluzione spagnola

 

Questo articolo di un compagno della minoranza della Frazione è stato scritto l’8 agosto, in un momento dunque in cui l’estrema penuria di notizie non permetteva ancora una analisi degli avvenimenti in corso. Non è stato possibile all’autore di rivedere il suo testo per apportarvi le rettifiche necessarie a certi fatti ivi esposti. Il lettore lo vorrà tener presente.

 

La caduta della monarchia, sia pure avvenuta in modo pacifico e cavalleresco in un ambiente di tripudio anziché di lotta, apre la crisi rivoluzionaria in Ispagna. La dittatura di Primo de Rivera anzi ne è un sintomo. La struttura politica ed economica della Spagna è tutta costruita sulla impalcatura politica ed economica feudale di uno Stato che per quattro secoli ha gavazzato, in un parassitismo gaudente, sullo sfruttamento di uno sterminato impero coloniale, fonte di inesauribili ricchezze. Alla fine del 19° secolo, con la perdita degli ultimi possessi coloniali, il ruolo della Spagna è ridotto a quello di un paese di terz’ordine, vivacchiante con l’esportazione della sua produzione agricola. La crisi mondiale succeduta alla guerra, restringe considerevolmente i mercati di sbocco, assottiglia le riserve dell’accumulazione economica del paese. Lo stimolo delle forze produttive tendenti a creare un moderno apparato industriale ed a suscitare un mercato interno alla produzione industriale, attraverso la trasformazione dei sistemi produttivi nelle campagne, urta contro il conservatorismo delle vecchie caste feudali privilegiate.

Cinque anni di governo di sinistra e di destra non risolvono neppure il problema politico nella forma costituzionale: la stessa repubblica è minacciata da un deciso ed agguerrito partito monarchico.

Nessuna soluzione è invece apportata al problema economico che non può trovare una soluzione definitiva se non attraverso una rottura violenta dei rapporti nelle campagne. La questione agraria è di importanza primordiale, ma essa non può essere risolta nei quadri delle istituzioni borghesi, bensì per la via rivoluzionaria, con l’espropriazione senza indennizzo dei latifondi e delle tenute signorili. Su mezzo milione di chilometri quadrati che rappresenta la superficie della Spagna, due terzi delle terre appartengono a 20.000 proprietari. Le briciole sono lasciate a 20 milioni di esseri umani, che consumano la loro miseria nell’abbruttimento e nell’ignoranza secolare.

Il tentativo di riforma agraria di Azana non può dare che risultati negativi. La confisca con l’indennità ai proprietari opera un parcellamento oneroso per il contadino che deve iniziare i lavori di coltura di terre spesso aride e trascurate, con un debito iniziale e senza capitali di circolazione. Ove è avvenuta la ripartizione delle terre espropriate si è prodotta una irritazione dei contadini che non hanno potuto ritrarre alcun vantaggio dal possesso delle terre loro attribuite. Questa situazione di malcontento può spiegare come i ribelli abbiano trovato, in alcune province agrarie, un appoggio da parte della popolazione locale.

La minaccia di un attacco reazionario a fondo, dopo due anni di governo della destra, provocano la formazione di una coalizione dei partiti repubblicani ed operai e determina la vittoria elettorale del 16 febbraio. La pressione delle masse che aprono le carceri ai 30.000 imprigionati politici anche prima che sia promulgato il decreto di amnistia, sposta il rapporto di forze, ma l’aspettativa delle masse in gran parte è delusa. Nei cinque mesi di azione del governo di Fronte Popolare nessun cambiamento radicale della situazione si verifica. La situazione economica non perde il suo carattere di gravità. Nulla è fatto per tentare una soluzione definitiva, dato il carattere borghese del nuovo governo che si limita alla difensiva verso il partito monarchico, dislocando nel Marocco un gran numero di ufficiali infidi al regime repubblicano. Questo spiega perché il Marocco sia stato il covo della ribellione militare, ed in pochi giorni poté contare su un esercito di 40.000 uomini in pieno assetto, isolato da ogni minaccia repressiva. La Legione Straniera, la Bandiera, che ha formato la base di questo esercito, è solo in minima parte composta di elementi stranieri (10-15 p.c.), mentre nella sua maggioranza raccoglie spagnoli assoldati: disoccupati, declasses, criminali, cioè dei veri mercenari che è facile con il miraggio di un soldo più grasso.

L’uccisione del tenente Castello, socialista, seguita l’indomani, per rappresaglia, dall’uccisione di Carlo Stelo, capo monarchico (9 e 10 luglio), decide la destra ad agire. Il 17 luglio ha inizio l’insurrezione. Essa non ha il carattere di un pronunciamento militare tipico che conta sulla sorpresa, la rapidità, ed ha sempre scopi ed obbiettivi limitati: in genere il cambiamento del personale di governo.

La durata e l’intensità della lotta stanno a provare che siamo di fronte ad un vasto movimento sociale che squassa dalle radici la società spagnola. E la riprova si può avere considerando che il governo democratico, rinnovato in due volte in poche ore, invece di ripiegare ed affrettarsi a patteggiare un compromesso con i capi militari insorti, preferisce allearsi alle organizzazioni operaie e consegnare le armi al proletariato.

Questo avvenimento ha un’importanza enorme.

La lotta, pur restando formalmente inserita nel quadro di una competizione fra gruppi borghesi, pur traendo pretesto dalla difesa della repubblica democratica contro la minaccia della dittatura fascista, assurge ora ad un significato più ampio, ad un più profondo valore di classe; essa diventa il lievito, il fermento, il propulsore di una vera guerra sociale.

L’autorità del governo è in frantumi; in pochi giorni, il controllo delle operazioni militari passa nelle mani della milizia operaia; i servizi logistici, la direzione in genere degli affari inerenti alla condotta della guerra, la circolazione, la produzione, la distribuzione, tutto è demandato alle organizzazioni operaie.

Il governo di fatto è loro; l’altro, il governo legale, è un guscio vuoto, un simulacro, un prigioniero inetto della situazione.

Incendi di tutte le chiese, confische di beni, occupazioni di case e proprietà, requisizioni di giornali, condanne ed esecuzioni sommarie, anche di stranieri, sono le espressioni clamorose, ardenti, plebee di questo profondo rivolgimento dei rapporti di classe che il governo borghese non può più impedire. Intanto il governo interviene non tanto per annullare, ma per legalizzare l’“arbitrio”. Si allunga la mano sulle banche e sulla proprietà delle officine ed aziende abbandonate dai padroni; si nazionalizzano le fabbriche che producono per la guerra. Provvedimenti sociali sono attuati: settimana di 40 ore, 15 p.c. di aumento dei salari, riduzione del 50 per cento degli affitti.

Il 6 agosto, un rimaneggiamento ministeriale ha luogo in Catalonia, sotto la pressione della C.N.T.. Companys, presidente della Generalità, è obbligato, pare dalle organizzazioni operaie, a restare al suo posto per evitare complicazioni internazionali, che del resto non mancheranno di prodursi nel corso degli avvenimenti.

Il governo borghese è ancora in piedi. Senza dubbio, a pericolo sventato, tenderà di riprendere disperatamente l’autorità svanita. Una nuova fase della lotta comincerà per la classe operaia.

 

* * *

 

E' innegabile che la lotta è stata scatenata dalla competizione fra due frazioni borghesi. La classe operaia si è schierata a favore di una di esse dominata dalla ideologia del Fronte Popolare. Il governo democratico arma il proletariato, come estremo mezzo della sua difesa. Ma lo stato di dissoluzione della economia borghese esclude ogni possibilità di riassetto, sia con la vittoria del fascismo, sia con la vittoria della democrazia. Solo un successivo intervento autonomo del proletariato potrà risolvere la crisi di regime della società spagnola. Ma anche l’esito di questo intervento è condizionato alla situazione internazionale. La rivoluzione spagnola è collegata strettamente al problema della rivoluzione mondiale. La vittoria di un gruppo o dell’altro non può risolvere il problema generale che consiste nella modificazione dei rapporti fondamentali delle classi su scala internazionale e del disintossicamento delle masse ipnotizzate dal serpente del Fronte Popolare.

Tuttavia la vittoria di un gruppo piuttosto di un altro trae ripercussioni politiche e psicologiche di cui occorre tenere conto nel fare l’analisi della situazione.. La vittoria dei militari non avrebbe il solo significato di vittoria sul metodo democratico della borghesia, ma significherebbe altresì la vittoria clamorosa e senza mercé sulla classe operaia che si è impegnata a fondo e come tale nella mischia. La classe operaia sarebbe inchiodata alla croce della sua disfatta, in modo irremissibile e totale, come è avvenuto in Italia ed in Germania. Inoltre, tutta la situazione internazionale sarebbe plasmata e permeata dalla vittoria del fascismo spagnolo. Una più violenta raffica di repressione si abbatterebbe sulla classe lavoratrice in tutto il mondo.

Non discutiamo neppure la concezione che dopo la vittoria dei reazionari, il proletariato ritroverebbe con più speditezza la sua coscienza di classe.

La vittoria governativa creerebbe spostamenti di grande importanza nella situazione internazionale, ridando coscienza e baldanza al proletariato nei vari paesi. Senza dubbio questi vantaggi sarebbero in parte neutralizzati dalla influenza deleteria della propaganda a fondo nazionale, antifascista e preparatrice della guerra dei partiti del Fronte Popolare ed in prima linea del Partito Comunista.

È dubbio che il rovesciamento dei militari porti come conseguenza ineluttabile un rafforzamento del governo democratico. È sicuro invece che le masse ancora armate, nell’orgoglio della vittoria dolorosa e contestata, e forti di una esperienza acquisita durante l’ampiezza della battaglia, chiederanno di fare i conti con questo governo. Le cartucce ideologiche, date dal Fronte Popolare per confondere le masse,  potrebbero scoppiare nelle mani della borghesia stessa.

Solo un’estrema sfiducia nell’intelligenza di classe delle masse può portare ad ammettere che la smobilitazione di milioni di operai che hanno sostenuto un duro e lungo combattimento possa avvenire senza urti e senza procelle.

Ma anche nell’ipotesi che alla vittoria del governo succeda, senza frizioni, il disarmo materiale e spirituale del proletariato, non si può escludere che tutti i rapporti di classe sarebbero spostati. Energie nuove e possenti saranno emerse da questa vasta conflagrazione sociale e l’evoluzione verso la formazione del partito di classe sarebbe accelerata.

La lotta di classe non è una cera molle che si modella secondo i nostri schemi e le nostre preferenze: essa si determina in modo dialettico. In politica, la previsione rappresenta sempre un’approssimazione alla realtà. Chiudere gli occhi davanti alla realtà solo perché essa non corrisponde allo schema mentale che noi ci siamo formati, significa straniarsi dal movimento ed essere espulsi in modo definitivo dalla dinamica della lotta.

La corruzione ideologica del Fronte Popolare e la mancanza del partito di classe sono due elementi negativi e di schiacciante importanza. Ma è proprio per questo che oggi il nostro sforzo deve portarsi al fianco degli operai spagnoli.

Dire ad essi: questo pericolo vi minaccia e non intervenire noi stessi per combattere questo pericolo, è segno di insensibilità e di dilettantismo.

Il nostro astensionismo nella questione spagnola significa la liquidazione della nostra frazione, una specie di suicidio per indigestione di formula dottrinarie.

Invaghiti di noi stessi come Narciso anneghiamo nell’acqua delle astrazioni in cui ci specchiamo, mentre Eco muore di languore e d’amore per noi.

 

TITO

 

 

 

Prometeo, n. 137, 11 ottobre 1936