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archivio > Archivio sulla sinistra>Il partito socialista italiano e la rivoluzione marxista (Il Proletario, 30 luglio 1944)

aggiornato al: 04/02/2008

Il Proletario, 30 luglio 1944

Abbiamo già ospitato in questa sezione un articolo di  Il Proletario dedicato al partito comunista italiano; riproduciamo ora un articolo, tratto dallo stesso giornale, foglio della «Frazione di Sinistra dei Comunisti e Socialisti italiani», dedicato al partito Socialista (allora PSIUP).

Se l'articolo dedicato al partito comunista era del settembre 1944 questo è ad esso precedente e cioè del luglio 1944.

In questa sezione sono presenti anche altri articoli della «Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti italiani» tratti da La sinistra proletaria organo del gruppo romano, da Frazione di sinistra salernitana del gruppo, come dice il nome, salernitano e da Il Proletario del gruppo napoletano; ci ripromettiamo di riprodurre anche materiale dei gruppi di Cosenza e di Reggio Calabria.

L'esperienza della «Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti italiani» presente nel centro-sud, è molto poco conosciuta e gli articoli che ripresentiamo insieme alle brevi introduzioni speriamo diradino un poco la nebbia che circonda questa pagina di storia e siano il momento iniziale per una riscrittura, come già abbiamo detto, della genesi e dei primi anni di attività del Partito Comunista Internazionalista.

 

Il partito socialista italiano e la rivoluzione marxista

 

Nel numero precedente abbiamo definito il nostro atteggiamento nei confronti della democrazia cristiana. Oggi vogliamo affrontare l'esame, molto più difficile e delicato, dell'essenza e dei caratteri fondamentali del partito socialista italiano cosiddetto di unità proletaria.

L'esame, abbiamo detto, è molto più difficile e delicato. La ragione è evidente: il partito democratico-cristiano  è un partito essenzialmente borghese e reazionario; è un partito chiaramente antiproletario, e non vi è proletario cosciente che non se ne accorga ad un primo sguardo (ci voleva la malafede di Togliatti per concepire la possibilità di un accordo permanente tra i partiti proletari - o sedicenti tali - e la democrazia cristiana); al contrario, il partito socialista è un partito proletario, ha indubbiamente un seguito operaio e contadino, si richiama a quei principi marxistici che sono anche i nostri. E' meno agevole quindi stabilire la linea di demarcazione ideologica, programmatica e tattica che da esso ci differenzia; ed è più delicato, perchè effettivamente in quel partito militano proletari in perfetta buona fede rivoluzionaria, che nel lontano e nel recente passato sono stati al nostro fianco nei momenti culminanti della lotta proletaria, che lo saranno - ne siamo certi - di nuovo quando la loro coscienza di classe li riporterà a riprendere le loro vecchie posizioni di battaglia.

In più, noi non possiamo contrapporci al partito socialista per la nostra esigenza di una reale democrazia interna, giacché questa esigenza, contrariamente a quel che accade nel partito comunista, è riconosciuta e rispettata all'interno del partito socialista.

La nostra riprovazione e la nostra diffidenza verso il P.S.I.U.P. vanno perciò motivate con altre e più sottili ragioni che scaturiscono da una meditata e minuta analisi della storia di questo partito, della sua attuale composizione, dei suoi atteggiamenti tattici nella situazione presente.

Com'è noto, nella crisi rivoluzionaria dell'altro dopoguerra nel partito socialista italiano si differenziarono nettamente quelle due correnti che si erano già palesate come contrastanti nella storia precedente di quel partito: la corrente riformista, rappresentata soprattutto da Turati, Treves, Modigliani, ecc., e la corrente rivoluzionaria rappresentata allora da Bordiga, Serrati, Lazzari, Maffi, ecc. Staccatisi nel 1921, gli elementi più coerentemente rivoluzionari per la scissione di Livorno con la formazione del Partito Comunista d'Italia, non cessò per questo all'interno del partito socialista, la dualità delle tendenze; anzi, di fronte all'incalzare della reazione capitalistica rappresentata dal fascismo, nel 1922, proprio alla vigilia del colpo di stato che dette il potere a Mussolini ed alla sua banda (complici la monarchia ed i partiti di destra, dai liberali ai popolari) nel partito socialista si verificò una seconda scissione che dava origine a due partiti socialisti, uno "Partito Socialista" puro e semplice (massimalista e centrista), l'altro "Partito Socialista Unitario" (riformista). Trionfata la reazione, molti dei massimalisti, compreso il Serrati, riscattarono, pur con tanto ritardo, e quando era già ormai irrimediabile, il loro errore, ed entrarono nel partito comunista.

Vennero poi le persecuzioni legalizzate, le leggi eccezionali, lo scioglimento dei partiti. Mentre il partito comunista, già da tempo spiritualmente pronto alla lotta clandestina, riusciva a sopravvivere, pur di vita estremamente grama, nell'organizzazione clandestina, del partito socialista non rimaneva altro che quel po' di rappresentanza che si era salvata nell'emigrazione. A Parigi, pur tra mille attriti di ambizioncelle, di rancori, di invidie personali, i due partiti socialisti riuscirono a trovare una via di intesa tra di loro rimanendo nettamente divisi dal Partito Comunista. Solo nell'epoca dei liquidazionistici "fronti popolari" (nel 1937, se ben ricordiamo) si giunse ad un "patto d'unione" tra i socialisti ed i comunisti, mentre questi ultimi avrebbero voluto, invece, una fusione organica.

In Italia il partito socialista era invece del tutto scomparso. Passati, già da tempo, gli elementi più combattivi nel partito comunista, dispersi molti socialisti nelle carceri e nei confini, ogni tentativo di organizzazione politica rimase sterile per quei pochi emissari socialisti che rientrarono clandestinamente in Italia per conto del loro partito.

Solo intorno al 1940 si verificò un certo risveglio di attività politica proletaria al di fuori delle maglie dell'organizzazione clandestina comunista. Ed è interessantissimo notare come si sia trattato di un risveglio del tutto spontaneo, che, lungi dall'essere una reazione di un centro, era essenzialmente un movimento di base; ché anzi il suo difetto più appariscente fu proprio quello di non avere, e di non sapersi creare  un saldo centro. Parliamo del M.U.P. (Movimento di Unità Proletaria). Era questo un movimento formato prevalentemente di giovani operai e studenti, radicalmente avversi al fascismo ed orientati verso la concezione marxistica. Le incertezze di orientamento dipendevano non tanto dalla inevitabile inesperienza politica o da una mancanza di preparazione, quanto invece da una situazione psicologica più complessa. Questi giovani, accettando senza riserva il marxismo, si trovavano però di fronte a due interpretazioni tradizionali del marxismo stesso: quella riformistica socialista e quella intransigente comunista. Dalla prima essi si sentivano lontanissimi, riconoscendo in essa la causa prima dell'indebolimento e della disfatta subiti dal proletariato nella crisi rivoluzionaria del '19-'20. Dalla seconda si sentivano divisi dalle forme spietatamente dittatoriali assunte dal comunismo ufficiale all'interno dei partiti dipendenti e sottomessi alla III Internazionale. Non sapendo assumere un atteggiamento originale, che superasse le insufficienze delle due interpretazioni  tradizionali, il Movimento di Unità Proletaria rimase incerto ed oscillante tra l'esigenza rivoluzionaria - che esso vedeva espressa dal comunismo - e l'esigenza di una democrazia proletaria - che esso vedeva invece espressa dal socialismo. Questa incertezza connaturata alle sue stesse origini lo rese incapace di esplicare una forte influenza sulla massa, quando dall'attività clandestina passò all'attività semilegale, dopo il 25 luglio 1943.

 Intanto i vecchi elementi del socialismo per lo più riformista, che in un primo momento avevano sporadicamente collaborato nel M.U.P., nella marea montante dell'antifascismo, originata dalla sempre più evidente crisi militare ed economica del regime, avevano dichiarato ricostituito il partito socialista. Alla fine di luglio e nell'agosto '43, estesa base senza forte centro ed il partito socialista, forte centro (ai vecchi elementi che erano già in Italia si erano uniti molti elementi dell'emigrazione di primo piano rientrati dopo il 25 luglio, con alla testa Nenni) senza estesa base, trovarono la reciproca convenienza di unirsi: e venne così fuori il Partito Socialista di Unità Proletaria.

Bisogna tener presente che nel P.S.I.U.P. si trovano oggi anche quegli elementi trotskisti che, dopo la disfatta spagnuola, obbedirono alla parola d'ordine del "vecchio" di entrare nei partiti socialisti, per riprendere contatto con le masse in un ambiente non vietato dal funzionarismo accentratore dominante nel partito comunista.

Questa è, per sommi capi, la storia recente del partito socialista. Quanto alla sua composizione, va notato come esso, dominato dalla preoccupazione di non essere lasciato troppo indietro dal partito comunista nella gara all'accaparramento delle masse, si è lasciato trascinare al gonfiamento indiscriminato dei suoi effettivi, seguendo il partito comunista in questa degenerazione quantitativa. In più, si è verificato questo fenomeno, particolarmente nell'Italia Meridionale (che cosa sia avvenuto e stia avvenendo nell'Italia Settentrionale, non siamo in grado di riferire): che, essendo le masse operaie quasi al completo attratte verso il partito comunista (un po' per quel tanto di vernice rivoluzionaria che in questo partito rimane, e molto per il fascino creatosi attorno al mito russo, in conseguenza delle smaglianti vittorie dei marescialli di Stalin), il partito socialista, pur di avere un numeroso seguito di aderenti, se li è dovuti andare a reclutare tra quei piccolo-borghesi che, convinti di un fatale orientamento della vita politica italiana verso una soluzione proletaria, paventano di rimanere schiacciati, e si affrettano a diventare alleati di quel nemico che sanno di non poter combattere senza diventare preda di un nemico anche peggiore: il grande capitale e, rifuggendo da quella impressione di estremismo intransigente, che il partito comunista, nonostante i volenterosi sforzi dei suoi dirigenti, non è ancora riuscito a dissipare, si avvicinano e aderiscono al partito socialista, che sembra loro più moderato, e quindi più confacente ai loro interessi conservatori.

Da ciò, uno stridente ibridismo nella composizione interna del partito Socialista: ad un estremo, i professionisti della rivoluzione permanente, i trotskisti, all'altro estremo, i piccolo-borghesi pavidi di una rivoluzione veramente proletaria; in mezzo la base del vecchio M.U.P. ed un certo numero di operai vecchi socialisti, sentimentalmente attaccati al vecchio e glorioso nome di quel partito che indubbiamente segnò, per le generazioni passate, il risveglio del mondo del lavoro alla coscienza della propria forza e dei propri diritti. Tra gli uni e gli altri ancora si agitano e gavazzano avvocati in cerca di clientela. arrivisti alla caccia di posti e di cariche, avventurieri della politica attratti dal miraggio di una medaglietta parlamentare o di una redazione di giornale.

E' questa storia e questa composizione interna di partito che spiega perfettamente tutte le oscillazioni tattiche dei socialisti nella presente situazione politica, che richiederebbe invece atteggiamenti e decisioni ferme. Così si spiega come il P.S.I.U.P. possa pronunziare condanne roventi della monarchia italiana e poi aderire alla partecipazione ad un governo alle dipendenze del luogotenente generale del regno, principe di Piemonte; così si spiega come Nenni possa pronunciare un giorno un accesissimo discorso classista ed inneggiare liricamente il giorno seguente all'unità di tutto il popolo italiano (borghesia compresa); come possa far professione di ardente fede internazionalistica e poi indulgere al nazionalismo patriottardo dei comunisti. Così si spiega come sull' «Avanti!» possa esser pubblicato, magari sullo stesso numero, un coraggioso e marxisticamente sano articolo di Matteo Matteotti, ed un lungo e moderatissimo articolo piccolo-borghese di Saragat. Così si spiega come il Partito Socialista dichiari pomposamente come non abbia  nessuna intenzione di fondersi con quello comunista, e poi si lasci rimorchiare da questo, in tutte le questioni particolari, sul terreno scivoloso della collaborazione e del compromesso.

E' il vecchio equivoco che è sempre stato alla base del socialismo italiano; il coesistere in esso di due tendenze assolutamente opposte ma incapaci di differenziarsi con coraggiosa nettezza.

E nelle continue oscillazioni tra una politica di riforme sociali ed una politica rivoluzionaria, il socialismo italiano, ieri come oggi,  è incapace di attuare seriamente e con efficacia l'una e l'altra.

Da quanto abbiamo detto, risulta ormai chiaro il nostro atteggiamento verso il P.S.I.U.P. Esso è un atteggiamento di diffidenza e di critica, non disgiunte da una certa simpatia verso gli elementi sani che all'interno di quel partito lavorano con impegno, nella illusione di poter raddrizzare ciò che per sua natura è curvo. Noi non crediamo che il P.S.I.U.P. possa mai diventare un partito rivoluzionario: perciò la simpatia che ci unisce ai suoi militanti sinceramente rivoluzionari non è una simpatia fiduciosa. E perciò ancora, i militanti della nostra frazione che lavorano all'interno del P.S.I.U.P. nel momento in cui le condizioni oggettive lo richiederanno, ne usciranno per entrare nel nuovo partito, che, libero da ogni forma di opportunismo, condurrà il proletariato italiano alla rivoluzione proletaria ed alla distruzione dell'ordinamento capitalistico. Se nel frattempo saranno riusciti a dare una coscienza rivoluzionaria ai loro attuali compagni di partito, che sono in buona fede e che quindi verranno con noi, avranno assolto il compito che la Frazione ha loro affidato.

 

IL PROLETARIO (foglio della Frazione di Sinistra dei Comunisti e Socialisti italiani) 30 luglio 1944