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archivio > Archivio sulla sinistra>Gatto Mammone, L'annata del boia nell'Urss (Prometeo n. 151, gennaio 1938)

aggiornato al: 15/12/2007

Prometeo n. 151, 15 gennaio 1938

Questo articolo apparso su Prometeo all'inizio del 1938 è una cronaca dal vivo della repressione staliniana vissuta dai profughi italiani (più spietata se oppositori di sinistra) alla fine degli anni trenta, in quella che era decantata come patria del socialismo e preda invece di una sinistra controrivoluzione.

Poche ed inascoltate furono allora le voci che si levarono per far conoscere la verità e si batterono per la liberazione degli imprigionati. Tra queste emergono quelle di Bilan e Prometeo pubblicazioni della Frazione Italiana della sinistra comunista.

Gatto Mammone che firma questo articolo è lo pseudonimo di Virgilio Verdaro (su cui torneremo prossimamente).

Virgilio Verdaro aveva vissuto di persona le vicende di cui parla. Rifugiato in Russia, dopo la vittoria del fascismo in Italia, riuscì avventurosamente ad abbandonare quel paese nel 1931 mentre a Mosca rimaneva sua moglie Emilia Mariottini che solo molto più tardi, alla vigilia della seconda guerra mondiale, riuscì ad abbandonare quel paese.

L'articolo firmato "Gatto Mammone" è seguito da un altro anonimo che, prendendo in considerazione la situazione russa, lo completa.  

 

 

L' «annata del boia» nell' U.R.S.S.

 

La tragedia dell'emigrazione politica italiana in Russia

 

Due terzi della emigrazione politica italiana in Russia si trova attualmente nella deportazione o in galera.

Questa informazione - che non teme smentita -  racchiude nella sua tragica laconicità un significato inequivocabile.

Certo sono duramente colpite dalla controrivoluzione staliniana anche le altre emigrazioni politiche: la tedesca, la ungherese, la bulgara, etc. Ma quella italiana ha avuto sempre la caratteristica di essere limitata nel numero, starei perciò per dire selezionata. Solo quelli tra i militanti che avevano gravi pene da scontare o che erano specialmente perseguitati sono stati inviati in Russia. Quasi tutti nell'epoca della lotta armata contro il fascismo squadrista, quel fascismo il più sanguinario del 1919-1920 cui gli epigoni nostrani sono propensi oggidì a stender la mano della riconciliazione sotto il segno del tricolore e nel nome della «patria italiana». E sono questi militanti comunisti che gemono oggi negli isolatori e nelle prigioni soviettiste quali «trozchisti» - nella traduzione italiana «bordighisti» - gabellati cioè di «agenti del fascismo».

Si sono salvati soltanto quei pochi compagni che non sono caduti nel tranello di una «cittadinanza russa» che ha consegnato tutti gli altri al beneplacito dell'arbitrio staliniano senza possibilità di eventuali interventi - sia pure interessati - del governo italiano.

Nel 1935, durante l'orgia di persecuzioni che seguirono l'attentato contro Kirof, si erano intensificati gli arresti fra gli emigrati italiani: Calligaris, l'anarchico Gaggi, Merini, Guarnaschelli, Martelli (di Firenze).

Ma toccava al 1937, l' «annata del boia» come lo ha giustamente chiamato Victor Serge, vedere la decimazione quasi totale della nostra emigrazione.

Si cominciò coll'arresto dell'anarchico Umberto Specchi (di Milano) di cui più nulla si è risaputo. Poi colle retate d'aprile - in preparazione della commemorazione del 1° Maggio, proprio come nei dannati paesi borghesi - vengono arrestati il Sensi e il Lazzaretti.

Giuseppe Sensi, muratore di quel d'Arezzo, condannato dal fascismo a più di  20 anni e Arduino Lazzaretti, macellaio fiorentino anch'esso condannato dal fascismo si sono buscati 5 anni di deportazione - ed in Russia simile pena si rinnova automaticamente togliendo ogni speranza al ritorno - sotto l'accusa di avere nel 1927 partecipato a riunioni illegali trozchiste. Ciò non deve stupirci ammaestrati dal caso della Mariottini che ebbe una «grave deplorazione» - e si era ancora nel 1930 - per non aver denunciato una presunta riunione tenuta - durante l'allargato del 1926 - nella stanza di chi scrive cui aveva partecipato Bordiga, ancor membro dell'Esecutivo dell'I.C.

Successivamente abbiamo l'arresto di Arnaldo Silva (di Roma). Silva, che era riuscito a scappare dalle carceri di Regina Coeli con una evasione che destò scalpore, era stato condannato a più di 20 anni dal fascismo.

Come antico ufficiale di artiglieria frequentò la scuola di guerra sovietica e compì delicati incarichi nei Balcani. Anche lui aveva capitolato senza che ciò lo abbia salvato dall'arresto e dalla deportazione in Siberia.

Sono stati pure arrestati Nino Manservigi, operaio aggiustatore - profugo dal 1921 - e sua sorella Elodia Valenti, vedova di un compagno deceduto a Mosca. Ambedue di Torino ma non del clan di Ercoli.

Le ultime vittime di cui abbiamo notizia sono Renato Cerquetti, geometra, anche lui profugo dal 1921, autore di una pubblicazione sulla fotografia aerea e Francesco Allegrezza (Visconti) ambedue arrestati alla vigilia delle elezioni contemplate dalla costituzione la «più democratica del mondo».

E non ci siamo occupati che di Mosca. Lo stesso se non peggio si verifica altrove. Ad Odessa tutta la emigrazione italiana è stata levata di circolazione.

Questa infame bisogna di sterminio della avanguardia classista italiana si comprende solo se la si contempla nel quadro più generale della odierna funzione controrivoluzionaria del centrismo. Ma ciò non attenua la responsabilità che incombe sui centristi nostrani. In prima linea sul famigerato Robotti, di nome presidente del gruppo emigrati italiani, di fatto il provocatore e il delatore di essi alla Ghepeu staliniana. Robotti è il cognato di Ercoli l'asserito «capo» (!?) del proletariato italiano.

Fa parte dunque del clan Togliatti (oramai i centristi stamburano apertamente sulla stampa i loro nomi dal giorno in cui hanno posto la loro candidatura a boia del proletariato italiano). Palmiro Togliatti, la sua moglie Montagnana, il marito della moglie, il fratello della moglie, l'amico della moglie... ecco la piovra immonda che si è aggrovigliata attorno a quello che fu il partito comunista d'Italia.

Togliatti di cui Tasca provò la completa adesione nella manovra di accaparramento del Comintern per la quale i cosiddetti «destri» stranieri furono espulsi dai rispettivi partiti e quelli russi stanno pagando con la vita. Ma Stalin ha pur bisogno di qualche filibustiere per compiere la sua «missione» nei differenti settori.

Ed i vari Togliatti, Grieco, Di Vittorio e simili Berti o Longo sono l'edizione italiana, forse più spregevole ancora, dei carnefici moscoviti.

 

GATTO MAMMONE

 

 

La repressione in Russia

 

L'anno 1937 è stato con ragione chiamato l' «annata del boia». Nel dicembre scorso abbiamo avuto il 20° anniversario della Veceka - Oghepeu N.K.V.O. - per usare la terminologia ufficiale russa. Di quell'organismo cioè che  sorto come il più valido strumento della difesa della dittatura del proletariato e della rivoluzione di Ottobre è degenerato in strumento di lotta contro «le bande dei nemici più accaniti del popolo russo».

Quelle dei regimi borghesi?  No, contro «i trozchisti-buchariniani e gli altri agenti del fascismo nippo-germanico». Terminologia che nella fase attuale del tradimento centrista significa i proletari rimasti fedeli alla lotta classista per un Ottobre mondiale.

Abbiamo avuto il processo dei 17 - corollario di quello dei 16 dell'agosto 1936 - col quale il 1° febbraio le condanne capitali hanno avuto la loro esecuzione.

Successivamente abbiamo assistito alla decapitazione dell'Esercito Rosso, il maresciallo Tukacevski in testa.

Ultimamente senza che nulla fosse trapelato in precedenza salvo che la voce del loro arresto un comunicato del Collegio Militare del Tribunale Supremo dell'U.R.S.S. del 16 dicembre annunciava la condanna alla pena capitale di 8 imputati di «tradimento alla patria, di attentati terroristici e di spionaggio sistematico (?)». Tutti gli imputati, naturalmente, si sono  «riconosciuti interamente colpevoli» e la sentenza aveva ricevuto la sua esecuzione. Notizia pubblicata come di secondaria importanza sulla stampa in fregola per la pochade elezionistica. Tra gli 8 giustiziati vi erano Enukidze, segretario dal 1918 al 1934 del Buro Esecutivo Centrale dei Soviet, Karakhan già ambasciatore a Pechino.

E accanto a questi processi più sensazionali si sono avute centinaia di esecuzioni di cui è stata data notizia; ancor più numerose le sparizioni, eufemismo che vela nella maggior parte dei casi l'uccisione. Hanno ormai sterminato tutti i vecchi bolscevichi, tutta la «generazione di Lenin», una buona parte dei combattenti di Ottobre.

E si continua ad apprestare la carretta per il 1938. Vi è il processo in corso, più volte annunciato e finora mai attuato, contro gli arrestati del gruppo di Rikof e di Bukharin che sembrerebbero poco disposti a farsi scannare recitando il «mea culpa» e osannando i carnefici. Forse si ricorrerà al mezzo più spiccio di sopprimerli alla chetichella come sembra sia già stato fatto con Bukharin.

Nessuno sembra poter sfuggire al destino implacabile: sono «scomparsi» infatti Antonof-Ovscienko, che pur aveva dato vita al centrismo a Barcellona dove per l'avanti era inesistente, Krestinski e tutta una serie di diplomatici, Meyerhoold e un gran numero di artisti e letterati, molti ufficiali superiori e della marina... Sovrattutto nelle varie repubbliche nazionali l' «epurazione» è stata radicale: tutti i fondatori del partito bolscevico in quelle regioni - in Georgia, per es.,  tutti i vecchi bolscevichi compagni della prima ora di Stalin, i Mdivani, Okudjava, Orekbelascevili, ecc. - tutti gli antichi presidenti ed i membri dei comitati esecutivi e dei commissariati del popolo sono stati eliminati dalle funzioni prima, messi a morte dopo.

E sembra che si stia iniziando l' «epurazione» anche tra i membri stranieri delle supreme istanze della I.C.: Bela Kun, Valetzki, Eberlein, Remmele, Felix Wolf, Magyar, etc. sono in attesa del processo, cioè candidati alla forca se non di già «spariti».

Tutti gli oratori e tutta la stampa durante la campagna elettorale hanno insistito sulla necessità di continuare la campagna contro gli «spioni» e contro i «nemici del popolo».

Ed è ora la volta degli stranieri.

 

Prometeo, n. 151, 15 gennaio 1938