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archivio > Archivio sulla sinistra>In crisi non i partiti ma la società borghese, (Battaglia comunista, n. 6, 14 - 28 marzo 1951)

aggiornato al: 10/04/2013

Battaglia comunista, n.6, 14 - 28 marzo 1951
Ancora un vecchio articolo dell'inizio degli anni cinquanta del secolo scorso. Buona lettura!
 
 
In crisi non i partiti ma la società borghese
 
La crisi dei partiti della democrazia è lo specchio fedele di una società le cui membra in avanzata putrefazione stanno insieme solo per virtù del colpo di frusta della guerra.
La barcaccia cui la resistenza diede una provvisoria compattezza, che la divisione in blocchi imperialistici divise ma cementò in due monolitici tronconi, si sfascia ora che si tratta non di fare immediatamente la guerra, ma di rabberciare alla meglio una situazione che mostra all'evidenza l'impossibilità di risolvere qualunque problema.
Dalle sue tavole marce, i topi che la diana di guerra del 18 aprile allineò come per un colpo di bacchetta su fronti unitari, escono a frotte, ogni frotta con un suo specifico centro contro la disoccupazione, la paralisi produttiva, l'incapacità ad amministrare, ognuna con un suo interesse di categoria da difendere e un «ideale» con cui camuffarlo, e prendono d'assalto la vecchia rozza [?] dello Stato italiano, rotta a tutti i compromessi, maestra nel corrompere tutto ciò che le si avvicina, superba nell'arte cavourriana di arruffianare gli uomini e le correnti politiche più disparate nella tradizionale sapienza del «tira a campà». Vedete allora dossettiani e fanfaniani praticare iniezioni di interventismo statale all'economia italiana, agrari democristiani farsi banditori dell'economia liberale e osteggiare la terribile riforma Segni, gronchiani lanciarsi all'assalto della dirigenza, saragatiani divenire oppositori di Sua Maestà Alcide, «deviazionisti» staliniani cadere in patetiche crisi di coscienza. E Alcide sorridere, forte della saggezza tradizionale della vecchia razza.
I topi escono dalle tavole marce della barcaccia che affonda; ma la bacchetta magica sa che basta poco per farli tornare disciplinati nella tana. Sa che destra e sinistra democristiana alleate possono votare, per ragioni magari opposte, contro la delega economica, ma voteranno compatte per il riarmo e la fedeltà al patto atlantico. Sa che saragattiani e romitiani possono lasciare il governo, ma con l'impegno a rispettare lealmente gli impegni internazionali, contratti dall'amata patria, per il suo bene e a ritornare in uno dei tanti ministeri quando - chiave buona per aprire tutte le porte - le «istituzioni democratiche fossero minacciate». E non si preoccupa del neutralismo e terzaforzismo dei deviazionisti del PCI: sa che, in caso di complicazioni internazionali, la loro scelta è fatta: per la patria, cioè per l'America, contro l'aggreditrice Russia.
Sì, la crisi dei partiti è lo specchio della putrefazione della società borghese. Lo è anche nella sua inarrivabile «serietà». Giacchè che senso volete dare alla crisi di uomini politici che votano no in segreto e sì pubblicamente, o, ancor meglio, di un parlamento che discute e vota una legge - quella sul censimento delle scorte - che è già in funzione e regolarmente figura, bell'e stampata, sulle sacre tavole della Gazzetta Ufficiale? Che senso volete dare a un esecutivo romitiano che nel giro di ventiquattro ore avanza, ritira, avanza ancora e definitivamente ritira i suoi storici testi? Solo la coprofagia staliniana può dilettarsi di pascolare in questo letamaio, esultare per la «rivolta della piccola e media industria contro i ceti monopolistici retrivi», forse dimenticando (?) che fra i rivoltosi ci sono tanto gli ultramonopolistici economici e politici, i teorici del monocolorismo democristiano, quanto i latifondisti, e che in ogni caso i ceti medi possono mugugnare, ma faranno sempre la politica del padrone, e chiedere che dalla putrefazione delle tavole della barcaccia politica nazionale esca «un governo di italiani per una politica italiana». Razzolino pure: vi troveranno il loro pane, un pane brulicante di vermi.
Se una salutare funzione può avere questa crisi di marcescenza è, per noi, quella di provocare finalmente nei proletari una ondata di vomito: non vomito morale, ma vomito politico, sociale, di classe, quello che dovrà liberare il ventre proletario dei cibi guasti che le centrali propagandistiche della democrazia e dell'imperialismo hanno loro infaticabilmente propinato, e permettere alla santa canaglia, col cervello limpido e con la volontà e i muscoli non più paralizzati dall'infezione legalitaria e parlamentare di distruggere a colpi di mazza l'edificio immondo della società borghese.
 
Battaglia comunista, n. 6, 14 - 28 marzo 1951