Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>I fascisti di Salò non furono massacrati... (Battaglia comunista, n. 13, 2 giugno - 3 agosto 1952)

aggiornato al: 18/11/2012

Battaglia comunista, n. 13, 2 giugno - 3 agosto 1952
Un bel vecchio articolo sul mito delle stragi compiute dai partigiani contro i fascisti all'epoca della Liberazione alla fine della seconda guerra mondiale.
 
I fascisti di Salò non furono massacrati: se la svignarono
 
 
Per lunghi anni, dopo la insurrezione partigiana nell'Italia settentrionale dell'aprile 1945, i giornali governativi hanno speculato con proterva insistenza sulla pretesa strage in massa di fascisti della Repubblica di Salò, che sarebbe stata consumata dai proletari in divisa di partigiani. Ogni qualvolta le masse strette nella morsa della fame o esasperate dal rinnegamento delle promesse di progresso sociale loro fatte per attirarle nella guerra, si agitavano e non certo in maniera violenta intimando al governo di tenere fede agli impegni, tutta la stampa dei venduti e dei corrotti si scagliò contro gli operai accusandoli di premeditare la ripetizione degli "orrori del Nord".Trecentomila furono i morti, gli sgozzati, i massacrati durante la caccia ai poveri fascisti - si è detto e si continua a dire da parte dei vegetariani del M.S.I. - E si parlò di enormi fosse comuni, di camion carichi di cadaveri, di cento altre macabre invenzioni.
Fossero vere le cifre prodotte dai fascisti esse sarebbero certamente inferiori, non diciamo al numero dei morti della seconda guerra mondiale, voluta dalle borghesie nazifasciste di Germania, Italia, Giappone da una parte e dai demostaliniani di America, Russia, Inghilterra dall'altra parte. A milioni non a migliaia si contano le vittime della guerra borghese. Se veramente i morti fascisti fossero stati 300.000 essi equivarrebbero come numero alle perdite umane di una sola delle campagne della guerra mondiale. Facendo un semplice calcolo si conclude che le vittime della "ferocia" degli operai in divisa di partigiani sono ben piccola cosa di fronte alle montagne di cadaveri di uccisi sui campi di battaglia, sotto i bombardamenti aerei delle città, nelle camere a gas dei campi di sterminio nazisti. Purtroppo, i proletari in divisa di partigiani che sostennero la tremenda guerriglia contro i nazifascisti, fino all'armistizio sostenuti e finanziati dalla borghesia industriale italiana e quindi gettati a mare, obbedivano militarmente ai comandi anglo-americani e russi cioè allo schieramento più forte e potente della guerra imperialista. Non obbedivano certo alla Rivoluzione proletaria.
Recentemente il ministra dell'Interno Scelba, parlando alla Camera (12-6) faceva una smentita ufficiale appunto delle voci sulle stragi imputate ai partigiani, dichiarando in polemica col deputato missino Almirante «che da una inchiesta condotta dal Governo in epoca non sospetta e cioè quando il M.S.I. non era comparso sulle piazze, è risultato che gli scomparsi dopo la liberazione furono complessivamente 1732, ivi compresi i fuggiaschi nascostisi per paura di rappresaglie». Così, di un colpo, si è passati da trecentomila a millesettecentotrentadue non morti, ma scomparsi e fuggiaschi! Conoscendo il costume degli eroi fascisti , il cui coraggio e spirito aggressivo è sempre stato in proporzione inversa alla forza numerica degli avversari, come dimostrarono le imprese squadristiche del primo dopoguerra, propendiamo a credere che la percentuale di fuggiaschi debba essere molto più alta. Comunque, quello che non si può negare è che il governo ha tenuto nascosto finora i risultati dell'inchiesta ufficiale, di cui parlava Scelba, accreditando col suo silenzio le mostruose voci di un massacro gettate addosso al proletariato italiano.
Perché il governo democristiano non ha parlato prima? Evidentemente, faceva comodo alla borghesia aggiungere all'arsenale delle armi antiproletarie della democrazia parlamentare i lacci strangolatori dei boia fascisti. Durante la fase di incubazione e di allevamento del nuovo partito fascista, impersonato dal M.S.I., lo sbandieramento dei trecentomila morti serviva a puntino. Ora che lo spauracchio è in piena efficienza lo stesso governo democristiano sente il bisogno di impedire che almeno per il momento, esso oltrepassi i limiti dei compiti assegnatigli. Di qui la polemica antimissina. Ma noi abbiamo assistito a troppe polemiche fra democratici e totalitari per ignorare che esse perseguono il comune obiettivo di fuorviare e ingannare il proletariato.
Un'altra «rivelazione» faceva, nella stessa occasione il Ministro Scelba. Egli rendeva noto che da un documento ufficiale dello stesso regime fascista, rimasto presso il Ministero dell'Interno, risulta che le perdite di vite umane subite dal partito fascista dal 1918 all'ottobre del 1922, furono soltanto 122. Centoventidue, dei quali non tutti erano fascisti! La notizia, sebbene in ritardo di 30 anni, non ci sorprende affatto. I sicari fascisti non combatterono, dal 1919 al 1922, una battaglia in campo aperto, per così dire, con la classe operaia. Essi uscirono dalle tane solo allorché, dopo il sabotaggio confederale della occupazione delle fabbriche (settembre 1920), la classe operaia tradita e disarmata rinculava dalla lotta rivoluzionaria. Sicché al giovane Partito Comunista d'Italia, sorto appena nel gennaio del 1921, toccò addossarsi il duro compito di proteggere la ritirata, in attesa di un capovolgimento dei rapporti di forza che sventuratamente non venne. In tali condizioni, ben pochi erano i rischi cui andavano incontro le prezzolate camicie nere, sostenute e difese dal blocco unico della borghesia industriale bancaria, del governo democratico, della polizia, dell'esercito, della magistratura, della Chiesa, della stampa, ecc. Di che stupire? Era l'epoca in cui il ministro della guerra Ivanoe Bonomi, poi collega di gabinetto di Nenni e Togliatti durante l'epoca del C.L.N. ordinava agli ufficiali in congedo di dare man forte ai fascisti! Centoventidue caduti fascisti? Troppi, per un movimnto di filibustieri ingaggiati per ripetere sul corpo del proletariato il gesto di Maramaldo.
 
Battaglia comunista, n. 13, 2 giungo - 3 agosto 1952