Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>La svolta della paura (Battaglia comunista, n. 22, 22 - 29 giugno 1948)

aggiornato al: 12/11/2012

Battaglia comunista, n. 22, 22 - 29 giugno 1948
Un bell'articolo di tempi passati quando lo scontro di opposti imperialismi, anche per il controllo del proletariato, era all'ordine del giorno. Buona lettura!
 
La svolta della paura
 
La situazione internazionale indica con abbastanza chiarezza la volontà dei due blocchi del conflitto imperialista di procedere al consolidamento delle rispettive posizioni raggiunto mascherando, dietro una prudente schermaglia diplomatica ad ampio respiro, il tentativo di indebolimento del fronte avversario con una metodica e continua azione di erosione interna sia dell'apparato economico che dello schieramento politico.
Sappiamo bene dove alla lunga condurrà questo non dilettoso, ma certamente delittuoso gioco della guerra fredda tra americani e russi.
Intanto è in pieno sviluppo nei settori nazionali dei rispettivi blocchi la politica di accaparramento delle grandi masse, che è l'obiettivo strategico d'importanza fondamentale assegnato alla condotta della guerra fredda, e al cui esito favorevole è affidata in buona parte la pratica possibilità per il passaggio alla guerra che chiameremo bruciante.
Nel settore italiano, per gli americani che economicamente e politicamente vi predominano, l'esigenza di avere le masse operaie collaboranti e non ostili, non si poneva nel senso di strapparle dal terreno di classe, dalle loro organizzazioni di resistenza e di combattimento e da uno schieramento di lotta rivoluzionaria, ma piuttosto di sottrarle alla suggestione ideologica e all'influenza politica dell'avversario imperialista, della Russia di Stalin, che operava e opera tuttora sulla loro coscienza col mito della patria del socialismo, mentre ne è soltanto la tomba.
In questo sordo e serrato gioco di predominio, nel quale ognuno ha saputo occultare le proprie mosse e i propri obiettivi sotto il manto delle più allettanti e false ideologie di libertà e democrazia, molti punti sono andati, come del resto si prevedeva, a vantaggio degli americani. La campagna propagandistica da questi impostata sull'anticomunismo, se da un lato è riuscita a rianimare e a rendere più unitaria ed efficiente la ripresa del capitalismo come si è potuto osservare nella battaglia elettorale del 18 aprile, dall'altra ha spinto una parte delle masse operaie a vedere nel nazionalcomunismo togliattiano e nel suo fronte democratico la trincea avanzata della sua battaglia anticapitalista.
Su questo equivoco umoristico e tragico insieme si è imperniata la più massiccia e spettacolare battaglia cartacea che la storia del parlamentarismo ricordi, e che doveva decidere dell'immediato destino politico dell'Italia.
Chi oggi entra da osservatore in una grande fabbrica di qualunque complesso industriale si meraviglia di trovarsi davanti ad un proletariato chiuso, accigliato, scontento di tutto e di tutti, soprattutto dei partiti e delle loro organizzazioni, preoccupato, individualmente preoccupato, di mantenere il posto di lavoro anche se ciò comporta un allentamento del tradizionale spirito di solidarietà tra gli operai, una tendenza al conformismo e al compromesso. E' un po' lo stato d'animo del «si salvi chi può» conseguente ad una battaglia perduta.
Ma quale è questa battaglia perduta?
Quella forse ingaggiata dal fronte democratico? Ma quella era una battaglia dei partiti di Togliatti e di Nenni e non del proletariato.
Il proletariato può perdere solo se battuto sul piano di classe in una battaglia in cui ha impegnato i suoi interessi unitari, la conquista delle sue finalità rivoluzionare, la sua dottrina e le sue armi sotto la guida del suo partito di classe. In questo senso il proletariato italiano non ha perduto alcuna battaglia, anche perché non era politicamente in grado di ingaggiarla. 
E allora che cosa è accaduto perché gli operai siano stati spinti a considerare come propria la sconfitta riportata attraverso quel banale e ridevole gioco di bussolotti delle urne dal fronte democratico e particolarmente dal PCI?
E' accaduto oggi agli operai quel che sempre è accaduto nella storia del proletariato e particolarmente dalla guerra di liberazione al 18 aprile, quando cioè il capitalismo vittorioso è in grado di spingerli nei partiti del compromesso e della collaborazione, di appestarli con le ideologie democratiche e parlamentari, di disarmarli sotto ogni riguardo come forza di classe, per poi tirare contro di essi il colpo di grazia che li riporta docili, disposti a tutto, massa informe e incosciente pronta a lasciarsi sfruttare, disposta anche a battersi e a morire per una nuova civiltà capitalista.
I partiti di Nenni e di Togliatti, i fronti democratici e simili, non sono che i veicoli di questo processo di conservazione del privilegio capitalista; hanno il loro quarto d'ora di successi e compiuta la loro opera di tradimento condotta in nome del socialismo fanno la fine spregevole dei limoni spremuti.
Ma la nostra epoca è così strana e contraddittoria, che anche i limoni spremuti possono ambire ad essere ancora portatori di storia; ciò che in parole povere vuol dire che non si è mai spremuti abbastanza nella capacità di tradire il proletariato.
Mentre i nostri operai cominciano a sentire le conseguenze d'una risorta e rinsaldata autorità padronale che vuole ad ogni costo imporre al proletariato le spese d'una riorganizzazione dell'apparato industriale perché sia tecnicamente aggiornato ed atto a battersi in concorrenza tanto nei mercati interni che esteri; mentre lo sblocco dei licenziamenti sfugge di fatto alle ipocrite intese politiche sorte all'epoca dei pateracchi parlamentari e gli industriali si sentono in diritto di licenziare quando e come vogliono in base al calcolo matematico delle necessità ed esigenze effettive della propria industria, Togliatti e Secchia, i limoni spremuti dell'imperialismo americano nella ricostruzione della fracassata economia nazionale, gli sconfitti del fronte democratico nel loro tentativo di conservare una parte del potere e della ... loro repubblica in funzione dell'imperialismo staliniano, Togliatti e Secchia sono chiamati al Cominform con la messa in moto d'una pubblicità addirittura americana, da cui torneranno col mandato preciso di infinocchiare ancora una volta gli operai italiani chiamandoli a sacrificare sull'altare della patria del socialismo, ma in verità sull'altare del più mostruoso imperialismo la lotta a cui saranno inevitabilmente spinti dal terrore della disoccupazione incombente e dalla fame.
Oltre due milioni di disoccupati sono una massa di manovra che fa gola agli uomini del Cominform, e questi ne approfitteranno, come è loro abitudine, con decisione e cinismo; la strategia dell'imperialismo si varrà più che mai dei Togliatti e dei Secchia e dei loro partiti per imprigionare le masse operaie alternando la scheda all'agitazione, l'agitazione alla scheda e così via fino alla sconfitta definitiva del proletariato e alla guerra.
E' la svolta della paura che continua, se il proletariato non ritroverà in sé la forza per spezzare le reni ai partiti operai passati al servizio della politica dei padroni
 
Battaglia comunista, n. 22, 22 - 29 giugno 1948