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archivio > Archivio sulla sinistra>L'arcicommedia, (il Programma comunista, n. 9, 7 - 21 maggio 1955)

aggiornato al: 04/08/2012

Il Programma comunista, n. 9, 7 -21 maggio 1955
Un simpatico e spiritoso articolo del 1955 dedicato a un presidente della Repubblica appena eletto, insipido,  incolore e ormai abbondantemente dimenticato.  
 
L'arcicommedia
 
Dobbiamo proprio dirvelo, onorevoli rappresentanti del popolo: ci avete fatto passare una gran bella serata. Eravate in forma e, buttata via la maschera ― che vi sta così male ― di difensori di grandi e immacolati principii, vi siete mostrati al pubblico, senza veli, nell'esercizio della vostra missione di funamboli. Una dopo l'altro, sotto le palle infuocate delle vostre schede, i candidati «indipendenti» dei due blocchi cosiddetti ideologici in cui, quando portate la maschera che vi sta così male, vi fingete divisi, rotolavano a terra; le ali di destra del partito di governo concentravano i loro voti sul beniamino dell'ala sinistra; la direzione dello stesso partito (che forse, in fondo in fondo e malgrado le dichiarazioni contrarie della vigilia non attendeva di meglio) seguiva la corrente; gli astenuti ― oppositori del gigante clericale ― facevano blocco sul nome fornito dalla controparte e, infine, la concordia nazionale, l'edizione italiana della distensione mondiale, si ristabiliva, salvo per quegli eterni brontoloni dei partitucci-scheggia nel plebiscito a favore del neo presidente. E, sempre con quella trascurabile eccezione, eravate felici tutti: i democristiani di aver mandato uno dei loro al Quirinale e, in nome di questo successo, pronti a rifar pace in famiglia; Nenni di trovarsi a due passi dall'agognato colloquio con preti e sagrestani; Togliatti di aver salvato la Costituzione affidandone la tutele al «presidente della povera gente»; i nostalgici di rievocare i bei tempi del primo ministero Mussolini; gli antifascisti di ricordare le battaglie dell'Aventino; i vinti del congresso democristiano di Napoli di averla fatta ai vincitori, Fanfani di averla fatta a Scelba, Scelba di averla fatta a Saragat, Gronchi di aver messo nel sacco tutti, noi compresi. E felici eravamo anche noi, ripetiamo, di aver passato una gran bella serata. Non ci date molto: dateci almeno il buonumore!
Le vicende parlamentari interessano la classe operaia solo in quanto riflettono il pagliaccismo della classe dominante e dei suoi reggicoda ultra-opportunisti. Senza pagare il biglietto di cui avremmo fatto volentieri a meno, ci siamo goduti lo spettacolo. Ma l'arcicommedia non si esaurisce nella cronaca brillante dell'elezione presidenziale, né, tanto meno, di Montecitorio. E' evidente che, liquidando allegramente un quinquennio e più di pretese grandi battaglie ideologiche fatte non soltanto di duelli oratori ma di colpi di cannone, i grandi blocchi dell'imperialismo hanno una dannata voglia di stringersi la mano; può recitare una parte diversa la classe dominante italiana? I grandi centri di potere si attraggono e si respingono secondo la logica della conservazione capitalistica; i piccoli centri servono soltanto da pedine, tanto più ridicole quanto più pretendono d'incarnare i «valori supremi della personalità libera». America e Russia (l'ha ricordato Yalta) condussero il loro gioco a spese degli alleati minori; democrazia cristiana e «opposizione» sono sempre pronti a fare altrettanto. E' il momento dei colloqui, dei giri di valzer, delle corrispondenze «ad altissimo livello», della liquidazione dei botoli incomodi delle alleanze a quattro, della ricostituzione della Santa Alleanza a due. I grandi pilastri del regime borghese si sostengono a vicenda: che importa se rotolano i pilastrini ornamentali che servono soltanto a rallegrare la vista secondo la fuggevole moda del giorno?
Habemus pontificem anche al Quirinale: un pontefice nero con tintarella rosa. E' la grande ora della Repubblica.
 
Il Programma comunista, n. 9, 7 - 21 maggio 1955