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archivio > Archivio sulla sinistra>C'è posto per tutti... (Il Programma comunista, n. 14, 22 luglio 1961)

aggiornato al: 22/12/2011

Il Programma comunista, n. 14, 22 luglio 1961
Un bell'articolo di una cinquantina di anni fa su chiesa e religione forze fondamentali di dominio in questa società di classe che relegano, pur mostrando ogni tanto qualche incrinatura e smagliatura, la soluzione dei vari problemi che attanagliano l'umanità al... paradiso.
 
 
C'è posto per tutti (noi felicemente esclusi) sotto l'ombrello di
Santa Madre Chiesa
 
 
Ancora una volta, facciamo tanto di cappello a Santa Madre Chiesa. E' un nemico giurato ma aperto, franco, incrollabile. Ha il suo  millenario sistema di principi, sempre quelli, sempre organicamente legati l'uno all'altro; e si batte, oggi come sempre, per difenderlo. Non è neppur vero che la sua forza risieda nell'adattarsi ai tempi: risiede, al contrario, nella capacità di adattare la «voce dei tempi» al suo sistema.
Dice oggi quello che ha sempre proclamato, i mali, le miserie, le infamie della società di oggi, come di quella di ieri, sono fatti di coscienza, sono peccati  dell'anima individuale e collettiva; la ricetta per curarli è morale e religiosa; la terapia proposta, un'applicazione intensiva di  giustizia e carità. La società umana è per essa, una famiglia il cui equilibrio interno si spezza non appena si allontana da Dio; si ristabilisce, con la buona volontà dei singoli e dei gruppi, tornando alla granitica roccia dei precetti evangelici. Il rapporto non è fra classe e classe, ma fra uomo e Dio; e chi lo media è lei, la Chiesa madre e sorella amorosa. Né vale obiettare che Roma predica bene e razzola male; la risposta è facile e pronta: istituzione divina nell'origine, umana nel fatto, essa può errare temporaneamente, ma non erra il corpo dei principi immutati e immutabili di cui, al di sopra di ogni vicendaterrena, essa è depositaria.
Un simile edificio di idee e di istituti può trovare il suo antagonista, come esso aperto e inconciliabile, soloin un edificio altrettanto compatto di ideologia e di organizzazione, che ne rovesci le fondamenta teoriche e contrapponga alla forza su cui esso si regge - una società divisa in classi - la potenza organizzativa della classe «in cui tutti i mali e le ingiustizie di questa società si compendiano». Fuori dal partito rivoluzionario marxista, e del proletariato del quale esso è la forma superiore di organizzazione, non v'è nulla che possa contrapporre alla voce delle encicliche papali (è ovvio che, se ci laviamo oggi il cappello, lo facciamo di fronte all'edizione 1961 della «Rerum Novarum», la recentissima «Mater et Magistra» di Giovanni XXIII) una voce almeno altrettanto omogenea, fedele a se stessa, aliena da infingimenti e mascherature: le altre sono poveri belati non di avversari, ma di emulatori impotenti. Noi soli non troviamo posto - noi soli possiamo essere fieri di non trovarlo - sotto l'ombrello sociale di Santa Madre Chiesa.
-E ha mille volte ragione quell'acuto giullare di tutte le cause che è Mario Missiroli di ricordarlo ad ognuna delle «grandi» correnti che giostrano tuttora sulla scena politica e sociale del pianeta: ai liberali, che da tempo hanno buttato a mare il principio del «laissez faire, laissez passer» in economia e del laicismo in teoria; ai radicali appellantisi alla voce interna di una fantomatica persona; ai cosiddetti marxisti che «hanno relegato in soffitta» il materialismo storico - se non con le labbra, certo coi fatti - per abbracciare un riformismo che si tinge in vario modo del paternalistico statalismo lassalliano (vedi «Corriere della Sera», 16, VII), la bestia nera dei «socialisti rivoluzionari». Ha ragione di concludere: «Si voglia o no, tutti i partiti [per Missiroli, la morte del «socialismo rivoluzionario» è, naturalmente scontata; i partiti, per lui, sono soltanto quelli "legittimi", cioè parlamentari, costituzionali, democratici], tutti i partiti, oggi, si muovono nella linea di un riformismo umanitario che tende a risparmiare all'individuo le dure esperienze dell'errore e del dolore [le esperienze di quell'errore e di quel dolore supremo, che è la rivoluzione] proprio nel nome della giustizia e della equità, della «responsabilità» e della «moderazione», e al canto di un nuovo inno il cui ritornello è: «Non più lavoratori di tutto il mondo unitevi, ma gentiluomini [gentiluomini tipo Missiroli, puah!] unitevi!».
Andate dunque tutti insieme, voi che avete tradito i principi relegando in molteplici soffitte la ragion d'essere della vostra battaglia - liberali, radicali, socialcomunisti da burletta - andate dunque tutti insieme sotto l'ombrelli pontificio, solido per tradizione e puntellato dall'ordine della proprietà e del capitale! Che cosa dice di diverso da voi - con la differenza che lo dice in modo non spregevole e non ipocrita, cioè barattando la propria fede per un'altra - la enciclica di Giovanni XXIII? Tutto v'è in essa, - ma riunito in una sintesi che non nasconde nulla delle sue origini ideologiche e delle sue finalità sociali -, di ciò che voi predicate: l'appello alla  convivenza pacifica; l'impegno alla riforma; la difesa della piccola e media proprietà contadina ed artigiana (che proprio in questi giorni riceve insieme le benedizioni papali e cremlinesche); l'invito al rispetto della «persona umana» - questo fiore di tutti i discorsi in Parlamento e nelle piazze -; la rivendicazione di un equilibrio fra i diversi settori della società e dell'economia (c'è perfino la rivendicazione avanzata proprio in questi giorni dagli stalinisti, di «terre e capitali» per le zone depresse all'interno sia delle singole comunità nazionali che della grande comunità internazionale dei popoli); il richiamo ad una collaborazione fra le classi e fra gli Stati che non leda la «personalità» dei suoi beneficiari e, quando si traduca in beneficienze ed aiuti, si ispiri «al più sincero disinteresse politico», perché in caso contrario, «si deve dichiarare esplicitamente che [nel caso degli aiuti ai Paesi sottosviluppato] si tratta di una nuova forma di colonialismo che, per quanto abilmente mascherata, non per questo sarebbe meno involutiva di quella dalla quale molti popoli sono di recente evasi, e che influirebbe negativamente sui rapporti internazionali, costituendo una minaccia ed un pericolo per la pace mondiale» (esattamente quello che dicono i riformisti kruscioviani, che invocano bensì aiuti ai nuovi Stati nazionali africani o asiatici e capitali per il Sud, ma senza «vincoli» di dipendenza, senza interessi usurari, senza umilianti clausole politiche!); l'invocazione alla pace come frutto di accordi basati su codici morali internazionali; c'è, tanto per finire, la mano tesa, oltre che «ai nostri fratelli e figli sparsi in tutto il mondo», «anche a tutti gli uomini di buona volontà».
E si potrebbe continuare all'infinito, se non mettesse conto di rilevare subito che il Forum della gioventù convocato a Mosca per il 25 luglio sembra nato fresco fresco per l'enciclica papale, e il «Popolo» e l' «Osservatore Romano» avrebbero ragione di congratularsi non meno dell' «Unità» del 17 c.m. della straordinaria varietà di «geografia politica e ideologica» di un simile consesso, in cui le confederazioni sindacali si affiancano a delegazioni di «gioventù democratico-cristiane» dell'America Latina, la «gioventù reale di Cambogia» (monarchia) ai «giovani del partito governativo di Cylon» (socialisti e filotrotzkisti); e tutto si concilia nel nome augusto del disarmo e della pace. Da Roma a Mosca, la parola d'ordine è all' abbraccio.
Intanto - ma che importa di fronte alla perennità di un Vangelo di giustizia, di fraternità e di eguaglianza? - Krusciov e Kennedy riarmano, il sangue continua a scorrere in Algeria e nel Laos, soldatesche e sbirraglie si guardano in cagnesco ai due lati della barriera divisoria fra Berlino-Est e Berlino-Ovest, il «piccolo vertice» del MEC invoca l'unità del continente antico per «fronteggiare i pericoli che minacciano la sua esistenza», gli irridentismi infuriano. Tunisi aspira a Biserta e - in concorrenza con l' FNL algerino - ad una fetta di Sahara, il Cancelliere dello Scacchiere si dispone a chiedere nuovi sacrifici e nuove austerità al felice popolo dell'Inghilterra ultrariformatrice per superare l'ennesima crisi che batte alle sue porte. Andate, con tutto ciò, a predicare l'evangelico: «tutti fratelli in Cristo»! Fra tanti ombrelli, quello della Chiesa offre almeno una soluzione in paradiso: voi, correnti e partiti dell'arcobaleno democratico, aggiornate il vostro o correte sotto quell'altro.
Per parte nostra, ne restiamo fuori: dalla parte non dell'ombrello protettore, ma della tempesta distruttrice e rigeneratrice, come quando dicemmo da quando il Manifesto proclamò: «I comunisti non hanno nulla da nascondere» perché come i proletari di cui sono i portavoce, «non hanno nulla da perdere se non le proprie catene, e hanno tutto un mondo da conquistare»; e come e sempre inflessibilmente diremo.
 
il programma comunista, n. 14, 22 luglio 1961