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archivio > Archivio sulla sinistra>a.b., Sul cadavere della democrazia (Lo Stato Operaio, 16 agosto 1923)

aggiornato al: 26/11/2011

Lo Stato Operaio, 16 agosto 1923

L'articolo che oggi riproponiamo, piccolo gioiello di chiarezza, è un esempio di quanto faceva in un momento di vittoria fascista (siamo nel 1923) il Partito Comunista unito sotto la direzione della Sinistra.

A più di novanta anni dalla data in cui fu scritto non abbiamo nulla da aggiungere ma da rivendicare in toto quanto vi viene detto.

Solo una precisazione per facilitarne la lettura; la "nuova legge elettorale" di cui si parla nella prima riga è la "legge Acerbo", secondo la quale alla lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa sarebbero stati assegnati i due terzi dei seggi.

Buona lettura!

 

Sul cadavere della democrazia

 

Nel recente discorso, pronunziato alla Camera per strappare l'approvazione della nuova legge elettorale, Mussolini ha ancora una volta ostentato di ripetere la critica della democrazia parlamentaristica, battendosi contro le povere ombre, persino, di Cavallotti e di Brofferio. Ed ha fatto appello all'argomento, tutt'altro che nuovo, che anche gli avversari estremi del fascismo sono antidemocratici e antiparlamentari, e che in Russia si sono abolite le garanzie democratiche per tutti i partiti che avversano il regime bolscevico.

E' vero, vi è una specie di convergenza, su questa questione, dei punti di vista dei due estremi gruppi politici. Ma l'argomento non si volge che ad una ben piccola parte degli oppositori al fascismo: contro i comunisti, ché gli altri partiti socialisti sono nei vari mal connessi atteggiamenti teorici, imbevuti di parlamentarismo, come ne sono assetati: e quanto ai sovversivi sindacalisti ed anarchici, aparlamentari è vero, essi si pongono però contro tutte le dittature.

E' solo a noi dunque, e ce ne vantiamo, che il metodo "russo" può venire rinfacciato Ma noi possiamo svolgere la nostra tesi antidemocratica senza che essa dia nessun appiglio alle intraprese politiche del fascismo e senza che gli estremi del cerchio politico si vengano a saldare tra loro. La nostra attitudine nella lotta contro la democrazia è tanto chiara e coerente quanto dubbia e contraddittoria è quella dei fascisti.

Noi siamo per principio contro la democrazia, intendendo per questa «un sistema di rappresentanza politica e di governo in cui i membri di tutte le classi sociali abbiano uguali diritti». Essere contro a questo principio significa che:

a) nel regime proletario siamo per la dittatura rivoluzionaria e la esclusione dagli organi dello Stato delle classi non proletarie (in senso molto largo) e anche per la repressione dei partiti controrivoluzionari;

b) nel regime borghese denunciamo la democrazia parlamentare come un apparato che tende a dissimulare la effettiva dittatura dei capitalisti.

Né l'una né l'altra cosa ci impediscono affatto ove ci convenga di profittare del meccanismo parlamentare elettorale e di esortare le masse operaie a reclamare le garanzie democratiche, unico mezzo perché esse si foggino una esperienza politica che permetterà poi di superarle. 

Per principio noi non siamo per nessuno dei meccanismi democratici, maggioritario, proporzionale od altro: basti notare che in Russia il sistema elettivo, non solo non è a tipo proporzionale, non solo non realizza il preteso ideale della circoscrizione unica (nazionale) ma non è neppure a carattere «diretto»; di più vi è persino il voto «plurimo» cioè valgono dieci volte e anche più i voti dei proletari delle città, che quelli dei contadini. Altrettanti scandali per i teorici della «democrazia per la democrazia».

Certo che se alla parola «democrazia», invece del significato politico e storico che abbiamo più su indicato si dà un significato puramente giuridico di «meccanismo rappresentativo» noi possiamo dire che la dittatura del proletariato è una «democrazia proletaria». Ma più che la terminologia badiamo alla sostanza.

La nostra coerenza è stabilita: in regime proletario siamo per il minimo dei diritti alla borghesia; ma in regime borghese siamo, è chiaro, per il massimo dei diritti al proletariato, pur sapendo che questo massimo è affatto insufficiente fino a che il potere resta alla borghesia.

Non ripetiamo tante altre ragioni di tattica; ma è ben certo che non si può pretendere dal nostro antiparlamentarismo l'adesione ai progetti elettorali del governo fascista, che noi logicamente dovevamo ostacolare appunto per rendere più difficile il piano del governo, di seguitare a proteggere con la vernice costituzionale una dittatura borghese, non cominciata con la rivoluzione di ottobre, ma resa più solida nell'opera di prevenzione controrivoluzionaria.

Se la linea nostra è teoricamente e praticamente coerente, quella dei nostri pretesi colleghi in «antidemocraticismo», è invece enormemente contraddittoria. Lo mostra uno sguardo rapido ad un non lontano passato, e ad un avvenire che si va delineando nel presente.

Mussolini e i suoi parlano di democrazia col più superbo disprezzo e ripetono: il parlamentarismo fa schifo a noi quanto ai bolscevichi! Puah! Ma è questo qualcosa di più di una delle tante «pose» inflitte quotidianamente agli spettatori del fenomeno?

Agli attuali campioni del movimento fascista vogliamo ricordare che per essi quella democrazia (per cui noi non abbiamo mai avuto debolezze,  e per cui promettiamo di non averne) valeva altre volte qualche cosa!

Basta pensare al 1915...

E' naturale! I tempi sono cambiati, e le opinioni di Mussolini e C., con essi, ci sentiamo gridare, non appena noi proviamo a ricordare questo: il fascismo è l'interventismo di otto o nove anni fa, ed è l'interventismo di sinistra che bandiva la crociata per la democrazia. Conservatori, liberali e nazionalisti ebbero parte secondaria nella campagna per la guerra (che avrebbero fatto anche con la Triplice), come parte secondaria hanno avuto ed hanno tra le forze sorreggenti il fascismo. Questo rivendica la sua filiazione ideale e storica dalla grande guerra; e come può pretendere che non gli si rinfacci oggi di avere per la causa della democrazia, non già fatto di dimostrazioni platoniche, ma chiesto ed imposto il sacrificio di settecentomila vite, di uomini che «non sapevano» che i fautori della guerra si riservavano, dopo,  di capovolgere i loro obiettivi e di scoprire che la democrazia è una porcheria solenne?

E' inutile insistere a lungo su questo punto. Se indagassimo le responsabilità personali del Duce che oggi ostenta la sua tesi antidemocratica dovremmo ricordare una pagina dell' Avanti! dell'Ottobre 1914 in cui egli, passando il Rubicone,  sfoderava contro di noi i suoi argomenti il cui senso era: Ma dunque si può restare indifferenti fra il regime dei «Junker» prussiani, l'autocrazia kaiserista, la forca austriaca e le moderne democrazie della Francia, del Belgio e dell'Inghilterra?

Oggi egli ammicca e dice: non è vero signori bolscevichi che la democrazia è sinonimo di bassezza e di corruzione? Allora, per dir questo, noi eravamo detti cinici e venduti ai tedeschi... ma avevamo ragione nella nostra chiara tesi: la guerra non porta la democrazia che agli sconfitti: e se anche la recasse ai vincitori, noi saremmo parimenti contro questa posta illusoria con cui si vorrebbero trascinare la masse al massacro.

Vogliamo dire soltanto questo: per poter dire oggi corna della democrazia, bisognava allora non aver reclamato in suo nome, un così atroce sacrificio.

Ma il passato è passato, i morti sono morti, e vi è chi si arroga di parlare in loro nome. E il fascismo si arroga a nostro dispetto il diritto di calpestare il cadavere della menzogna democratica. Sia pure. Restano però, a testimoniare della incoerenza di cui abbiamo parlato, gli atteggiamenti attuali del fascismo di cui proprio il discorso Mussolini è un indizio caratteristico. Può il fascismo, che pretende di aver fatto una rivoluzione, un colpo di Stato e ha fatto solo un colpo di mano, costruire un regime che si differenzi dalla democrazia parlamentare? No, il suo capo lo ha confessato. Esso non ha un surrogato per il parlamento. Esso promette di rispettare i limiti delle norme costituzionali liberali più ortodosse. Non vuole leggi eccezionali. Vuole favorire le classi lavoratrici purché si accostino al regime dominante. E' saturo di idee larghe e moderne. Occorre continuare? In tutto questo non vi è che il deciso preludio della riforma democratica e persino riformista.

Naturalmente tutte le dichiarazioni e le promesse del governo fascista nascondono una ben diversa realtà. La dittatura della reazione borghese, pronta a ricorrere a mezzi più acuti ed estremi degli attuali se sarà necessario, sta al di sotto di queste ostentazioni di arrendevolezza e generosità. Ma non è questo il vero carattere della politica democratica? E' questo per noi altra cosa dell'abile impiego della demagogia per fare il gioco del dispotismo capitalistico?

Come da molto tempo la nostra stampa ha sostenuto, il fascismo, metodo sintetico di amministrazione degli interessi borghesi, realizza l'uso simultaneo della repressione e della demagogia. Tutto fa credere che, malgrado le riluttanze della sua ala destra, il fascismo su un tale terreno collaborerà con la democrazia e il riformismo socialistoide.

Assai prima della seduta in cui i popolari si sono squagliati dalla opposizione e i riformisti hanno raccolto le passerelle del Duce, noi sostenemmo questo.

L'ideologia antidemocratica del fascismo non contiene, dunque, nulla di rispettabile e di vitale.

Partito della menzogna democratica, il fascismo ritornerà in essa: e siccome si tratta in verità di un cadavere, ne dividerà le sorti, senza aprire al regime attuale gli orizzonti di una nuova storia.

 

a.b.

 

Lo Stato Operaio, Milano, 16 agosto 1923