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archivio > Archivio sulla sinistra>21 gennaio 1921 (il programma comunista, n. 3, 5 - 19 febbraio 1953)

aggiornato al: 14/06/2011

il programma comunista, 5 -19 febbraio 1953

Questo articolo è del 1953, quasi  trenta anni lo separano dalla data che celebra nel titolo ed oggi quasi sessanta ci separano da quando fu scritto. Molto ci sarebbe da dire, sia riandando alla nascita del Partito Comunista d'Italia che alla data della sua redazione e poi agli anni trascorsi da allora,  ma preferiamo lasciare a chi ci legge le considerazioni da trarre.

L'articolo è molto bello e lo rivendichiamo in toto con quel sapore di "datato" che può avere, con la forza che esprime ed il richiamo ad un partito e ad una tradizione che sicuramente ritorneranno per guidare l'umanità offesa, umiliata e sfruttata alla vittoria.

 

 

21 gennaio 1921

 

L'anniversario del Congresso di Livorno viene celebrato dalla iconografia dei falsificatori in un clima di festosità, quasi che quel cruciale svolto nella storia della lotta di classe in Italia fosse stato un atto di concordia indulgente e di tollerante convivenza degli schieramenti politici e degli opposti campi dottrinari e programmatici i quali nel memorabile XVII Congresso del Partito Socialista Italiano così duramente si affrontarono e reciprocamente si respinsero. Se poi la contingenza politica impone di uscire dal pantano dell'ordinaria amministrazione del riformismo parlamentare, e di sostituire a questo la agitazione demagogica delle masse, accade di assistere ai più irritanti connubi come è avvenuto quest'anno, quando la commemorazione di tipo ecclesiastico della giornata del 21 gennaio 1921 è stata abbinata, per ordine della Direzione del P.C.I., alla protesta di piazza contro la riforma elettorale. Invece, il Congresso di Livorno - e un indice della situazione dei rapporti di forza tra le classi è dato appunto dal fatto che tale data nulla riesce a dire alla stragrande maggioranza del proletariato che non sia nauseabonda rimasticatura di reazionarie ideologie interclassiste - non fu un atto di concordia né nei rapporti tra le classi, né - fatto innegabile - all'interno della stessa classe operaia. Il congresso di Livorno palesò brutalmente, certo non creò dal nulla, la profonda divisione esistente nelle file del proletariato socialista. Questo il socialnazionalismo togliattiano non può dire non solo perché deve amicarsi coloro che ieri avversò, ma soprattutto perché non può avallare agli occhi delle masse la verità inconfutabile, provata da un secolo di lotta, che l'unità non statistica ma rivoluzionaria della classe operaia si realizza unicamente alla condizione di una spietata e radicale battaglia all'opportunismo collaborazionista, che miri ad estirparlo violentemente, in definitiva, dal corpo della classe.

Molto più facile falsificare una teoria manipolando ad arte i testi scritti, che cancellare i fatti storici. E' possibile pur tuttavia relegarli in quarantena, ignorarli su precisa consegna. Ma ciò che non possiamo ignorare noi, soprattutto allorché si discute di Livorno, è il fatto inoppugnabile che lo straripamento della Rivoluzione rossa oltre i confini della Russia leninista , restò affidato, negli anni dal 1919 al 1926, non già al superamento pacifico dei contrasti politici in seno al proletariato internazionale, ma al contrario, all'approfondimento di essi, come era avvenuto in Russia nella lotta tra menscevichi e bolscevichi. L'aver respinto le critiche della Sinistra Comunista Italiana alla politica del Comitato Esecutivo della Terza Internazionale, che nella fase di riflusso del movimento rivoluzionario in Europa si adagiò nella prassi rinnegata della manovra possibilista, spezzando l'impeto della lotta contro i partiti socialdemocratici, proletari di nome, traditori di fatto, e rivalutandone il prestigio agli occhi delle masse, doveva procurare agli attuali dirigenti traditori del P.C.I. le carte di identità necessarie ad ottenere dalla Internazionale stalinizzata, nel 1926, l'investitura dei posti di comando di cui oggi si avvalgono per diffamare ed infangare, ma non fino a cancellarne la memoria per loro sfortuna, il Congresso di Livorno.

Il Congresso di Livorno, checché ne dicano i predicatori della unità nazionale sotto le insegne usurpate del socialismo, non unì, ma divise profondamente la classe operaia, almeno la parte politicizzata di essa. Si osa dire che i comunisti lottarono a Livorno per la democrazia e il pacifico progresso sociale; si inscenano parate propagandistiche che mirano a tracciare un impossibile tratto di unione fra la scissione di Livorno e - si tratta di non schifarsi ma di capire - la protesta per un denunciato sopruso fatto subire alla minoranza social-comunista in Parlamento. Ma che di più antidemocratico, e più antiparlamentare, che di più rivoluzionario e sovversivo dell'azione scissionista della minoranza comunista al XVII Congresso del Partito Socialista a Livorno? I capi sbandati del P.C.I., benché si comprenda benissimo che la certezza matematica di dover mollare diecine e diecine di seggi parlamentari alle prossime elezioni faccia loro perdere la testa, avrebbero dovuto ravvisare l'incompatibilità dei termini di paragone, comprendere che non si può contemporaneamente denunciare reati di lesa democrazia e inneggiare al Congresso di Livorno, dato che fu proprio a Livorno, il 21 gennaio 1921, che il proletariato rivoluzionario italiano lanciò la più tremenda sfida alla democrazia borghese. Forse si uniformò agli schemi della democrazia parlamentare, la minoranza comunista che, vinta in sede di votazione congressuale, proclamò di ribellarsi alla maggioranza dei riformisti-massimalisti, e si staccò crudamente dal troncone del decrepito Partito Socialista, passando a costituire nel Teatro San Marco il Partito Comunista d'Italia? Naturalmente la rivolta non toccò solamente la forma della democrazia borghese, ma ne aggredì vigorosamente la sostanza. Scindersi dalla maggioranza del P.S. significò scindersi dalla democrazia borghese, rifiutare il gioco parlamentare, svalutare l'unità schedaiola delle masse, aderire alle 21 condizioni poste dall'Internazionale Comunista ai partiti che ne chiedessero di farne parte, in testa alle quali figurava - figura ancora per chi non ha rinnegati i testi internazionali del comunismo - l'obbligo di propagare fra le masse operaie e contadine la  rivendicazione programmatica della dittatura del proletariato. Seguiva immediatamente la richiesta perentoria di rompere con i rappresentanti riformisti e centristi, agenti della democrazia borghese in seno al proletariato. Oggi, coloro che trentadue anni fa accettarono di fare propri questi capisaldi fondamentali del programma comunista rivoluzionario, vomitano dagli altoparlanti su masse ignare inaudite sconcezze, pretendono che a Livorno si costituì il Partito comunista d'Italia sulla base dell'adesione ai principi della libertà, della democrazia parlamentare, della indipendenza nazionale. Allora si vede in quale campo  militano i rinnegati e i traditori di Livorno.

I continuatori in peggio della destra gramsciana in seno al Partito Comunista d'Italia nemmeno oggi - cioè, nel fitto della più tremenda confusione ideologica che la storia del movimento operaio registri - nemmeno davanti a masse disorientate e smarrite possono cancellare il vero carattere delle origini di Livorno, e sono costretti ad ammettere nella loro stampa gesuitica di essere pervenuti a impadronirsi della direzione del P.C.d'I. solo al principio del 1924 (in effetti, la stalinizzazione del P.C.d'I. è un fatto compiuto solo dopo il Congresso di Lione del 1926). Con ciò essi riconoscono che il partito sorto a Livorno, in opposizione agli opportunisti socialdemocratici, entrava nella storia del comunismo con programma, direttive e capi appartenenti alla Sinistra comunista, alla gloriosa Frazione Comunista Astensionista e al movimento del «Soviet» di Napoli in insanabile avversione al fermentante anche se poderosamente contenuto, revisionismo dei gramsciani-togliattiani. Scagliandosi come di prammatica contro gli «ideologi del settarismo», cui pure debbono dar atto di aver rappresentato il comunismo in Italia nella fase pre-Livorno, a Livorno, e fino al sopravvento della controrivoluzione staliniana, i chierici della stampa nenniano-stalinista non si avvedono di chiamare in causa e ripudiare le tesi costitutive e le tradizioni della Terza Internazionale del tempo di Lenin, da cui i fondatori del Partito Comunista, cioè gli esponenti della Sinistra, ricevettero pieno riconoscimento ed appoggio, e al cui lavoro rivoluzionario diedero il loro contributo incancellabile.

Rievocando Livorno 1921 non abbiamo da sfruttarne la memoria per fare uscire numeri giocati al lotto del politicantismo, né tantomeno per fare pubblicità a liste elettoralesche. Tuttavia, al «loro» bilancio possiamo opporre il nostro, perfettamente alieno da autoincensamenti inutili e dalle dannose esagerazioni della megalomania. Ogni giorno che passa, sempre meno resistente diviene la cortina di menzogna dello stalinismo alla critica obiettiva dei fatti che costringono i capi dello Stato russo a disvelare il carattere capitalista della  economia che rappresentano, e il movente imperialista della futura eventuale guerra mondiale. Non a noi, minuscola avanguardia di un esercito che ancora non è sorto, spetta il vanto del franare della mitologia staliniana, ma che spetterà a noi, in un'epoca più o meno lontana, di rappresentare le forze sovvertitrici in movimento, lo deduciamo con tranquilla modestia dalla constatazione quotidiana del nostro sviluppo. Mai come ora le migliori prospettive hanno arriso al movimento: abbiamo gettato fasci di luce sulla dottrina marxista, stiamo restaurando pezzo su pezzo la teoria della rivoluzione con lavoro collettivo assiduo e mettendo a punto il programma dello Stato operaio. L'organizzazione respira salutarmente in ambiente rinnovato. Siamo un organismo che cresce.

 

il programma comunista, n.3, 5 - 19 febbraio 1953