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archivio > Archivio sulla sinistra>La dissoluzione della morale familiare borghese... (il programma comunista, n.9, 26 maggio 1960)

aggiornato al: 06/04/2011

il programma comunista, n. 9, 26 maggio 1960

Dopo  la dissoluzione della morale sessuale borghese , presentato nello scorso inserimento, eccoci ora a presentare la seconda parte dello scritto che è  altrettanto valida e bella.

 

 

La dissoluzione della morale familiare borghese è opera dello stesso capitalismo

 

 

II

 

L'abolizione del lavoro domestico

Quale l'atteggiamento dei partiti operai di fronte a tali questioni? Chi segue la stampa dei partiti socialista e comunista, e in particolar modo la stampa dedicata  alle donne, non può non derivarne una impressione penosa. Con tipico atteggiamento piccolo-borghese, coloro che promettono alla classe operaia italiana di lavorare per la soppressione del capitalismo si danno da fare invece per risanare le piaghe che la società borghese infligge a se stessa. Per restare alla questione dei rapporti tra i sessi, essi si guardano bene dal proclamare ciò che è gridato dai fatti, e cioè il declino del matrimonio. Parlano di «crisi del matrimonio» e danno ad intendere alle masse che la teoria marxista tiene compatibile il matrimonio monogamico con la organizzazione sociale comunista. Ritoccato questo o quell'articolo del Codice civile, generalizzata la prassi del lavoro femminile extra-domestico, proclamata la parità giuridica dei coniugi, non resterebbe che trapiantare pari pari l'istituto  matrimoniale nella organizzazione sociale comunista. Forse che in Russia, paese del trionfante socialismo, gli uomini non continuano a riprodursi entro la forma matrimoniale?

Ecco il modo di intendere il comunismo da parte dei feroci anticapitalistici che «combattono» nel Parlamento borghese: la conciliazione della economia domestica con l'economia sociale, del lavoro domestico col lavoro sociale. Perché mai, allora, il capitalismo, ad onta della disgregazione della famiglia difende aspramente il principio della molecolarizzazione della società entro l'angusto quadro familiare? Perché gli ideologi borghesi considerano «immorale» ogni riforma dell'istituto familiare? Il perché si sa. E' nella famiglia, nell'augusta ed egoistica economia domestica, che l'istinto sociale degli uomini subisce la maggiore mortificazione. La morale della classe borghese, come di ogni classe dominante, è profondamente immorale, per il materialista marxista, proprio perché tende a spegnere nell'uomo l'istinto sociale che lo lega al proprio simile e a trasformarlo in «persona», cioè in una somma di bisogni e interessi egoistici che necessariamente si oppongono a quelli della società.

Il comunismo rivoluzionario è apportatore di un ideale morale nuovo, che non trae certo dal pozzo senza fondo dello spirito, dove gli ideologi idealisti riescono a trovare tutto. Le teorie morali delle classi dominanti traggono la loro origine vera da un meccanismo sociale che violenta la natura umana dell'uomo. Perciò esse sono rappresentate come emananti da enti che stanno al di fuori e al di sopra della società: forti della legge diventano Dio o lo Spirito o la Coscienza. ma, per il comunismo rivoluzionario, la fonte delle regole morali che disciplinano l'attività pratica degli uomini è l' ISTINTO SOCIALE, il profondo indistruttibile istinto che lega la specie umana, indivisibilmente, alla natura fisica. Tutto ciò che offusca gli istinti sociali degli uomini è immorale, è antinaturale.

Il filisteo borghese, dovendo giustificare la feroce lotta che l'uomo combatte contro l'uomo per il possesso dei beni economici e per la conquista dei privilegi sociali, pone come postulato il «naturale egoismo» dell'uomo. L'egoismo, la tendenza a danneggiare il proprio simile, sarebbe connaturato all'uomo, deriverebbe dalle sue origini animali. Da ciò l'esigenza di un Ente separato dal mondo naturale, di un Dio che intervenga a mitigare le tendenze cannibalesche dell'uomo.

La verità è ben diversa.  Legge fondamentale  degli esseri viventi è la subordinazione dell'individuo e dei suoi bisogni ai bisogni generali e impersonali della specie. La forza che regola l'evoluzione della specie è l'istinto sociale. L'egoismo è un prodotto intossicato della sociologia, non della zoologia certamente. E' vero che le specie animali e vegetali lottano incessantemente per difendere il loro posto nella natura e perpetuarsi. Ma solo nella specie umana accade che il peggior nemico sia il proprio simile. E ciò accade perché la divisione in classi economiche costringe l'uomo a dedicare alla lotta contro il proprio simile una quantità di energie vitali maggiore che non quella che spende nella lotta contro le avversità naturali.

Il proletariato rivoluzionario non inventa nuovi miti morali come fecero in passato le classi dominanti perché non ha nulla da contrapporre alla natura umana. L'ideale morale del comunismo rivoluzionario è la liberazione dell'istinto sociale, del profondo sano e vitale istinto animale che è all'origine del prodigioso fenomeno della materia vivente. Per lunghi e sanguinosi millenni, pur sempre pochi e trascurabili se confrontati all'evoluzione della specie, l'istinto sociale che induce gli uomini a unirsi, a lottare, a produrre in comune, ad assicurare col minimo di pena la perpetuazione e il miglioramento della specie, è stato offuscato e mortificato dall'egoismo delle classi dominanti. La rivoluzione morale del comunismo consiste nel distruggere il potere che avvelena l'esistenza degli uomini: la classe sociale. Il proletariato non tende solo alla distruzione della classe borghese ma anche - e ciò non sembri un paradosso -  alla propria soppressione in quanto classe distinta. Solo la distruzione delle classi può porre l'uomo sotto l'imperio dell'istinto sociale. E in ciò consiste la vera libertà umana: nel prendere coscienza di ciò che è la sua vera natura.

Per chi abbia meditato su tali problemi è facile accorgersi delle mistificazioni perpetrate dai falsi comunisti di Mosca. Per restare al nostro argomento specifico, si vede subito come il trapianto della famiglia, ripulita delle sue piaghe e rimessa bellamente a nuovo entro l'organizzazione sociale comunista, è un puro assurdo. Nella famiglia, anzi proprio nella famiglia «moderna» nella quale la moglie porta a casa un salario o uno stipendio, si perpetuano tutte le degenerazioni egoistiche della natura umana. La famiglia è il fortilizio entro il quale l'uomo si trincera contro il proprio simile, la giustificazione di tutte le superchierie, le bassezze, le viltà che l'uomo commette contro il proprio simile. Per la famiglia, l'uomo si trasforma in una belva rapace ma la preda che porta a casa trionfante è stata strappata dalla bocca del proprio simile. E in ciò l'uomo scende al di sotto del livello delle bestie. L'aquila che esce a caccia non porta al nido il cadavere di un aquilotto. Né i cuccioli del lupo mangiano carne di lupo. Ma la legge morale borghese giustifica e premia chi arricchisce la sua famiglia affamando i bambini altrui. La legge morale borghese mi esonera dall'obbligo di contribuire alla nutrizione e all'allevamento dei bambini tuoi: anzi, poiché questi non «mi appartengono», cioè non fanno parte della «mia» famiglia, io posso senza rimorsi affamare i «tuoi» bambini, se ciò mi permette, non dico di sfamare, ma di procurare il superfluo ai «miei». Tale è la legge morale che regola la famiglia borghese.

Il comunismo rivoluzionario respinge simili infamie. La rivoluzione proletaria pone fine al contrasto tra lavoro domestico e lavoro extradomestico, tra economia domestica e economia sociale. Lo fa sopprimendo il lavoro domestico, trasformando il LAVORO DOMESTICO IN SERVIZIO PUBBLICO. E con ciò liquida per sempre la famiglia.

 

Lenin e il "lavoro domestico"

I dirigenti del PCI pretendono che in Russia si è raggiunta la piena parità dei sessi, la liberazione della donna. Vediamo che cosa pensava Lenin in merito a tale questione. Nel discorso pronunciato alla IV Conferenza delle operaie senza partito della città di Mosca, nel settembre 1919, Lenin affronta la questione della liberazione della donna. Conviene rileggerlo. Intanto gioverà riportare qualche passaggio saliente.

«Perché la donna sia completamente liberata e realmente pari all'uomo, bisogna CHE I LAVORI DOMESTICI SIANO UN SERVIZIO PUBBLICO E CHE LA DONNA PARTECIPI AL LAVORO PRODUTTIVO GENERALE. Allora la donna avrà una posizione eguale a quella dell'uomo». Chiaro, no? Non basta che le Carlotte e le Sonie partecipino al lavoro produttivo generale perché possano considerarsi liberate. Occorre che si abolisca il lavoro domestico. E perché mai, si domanda il finto tonto radicale o socialisteggiante? Preferibile rispondere con le parole di Lenin:

«Non si tratta certamente di abolire per le donne tutte le differenze concernenti il rendimento del lavoro, la sua quantità, la sua durata, le condizioni di lavoro, ma piuttosto di porre fine a quell'oppressione della donna che deriva dalla differente situazione economica dei sessi. Voi sapete tutte che, anche quando esiste una piena eguaglianza di diritti, quest'oppressione della donna continua in effetti, perché sulla donna CADE TUTTO IL PESO DEL LAVORO DOMESTICO CHE NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI E' IL LAVORO MENO PRODUTTIVO, PIU' PESANTE, PIU' BARBARO. E' un lavoro estremamente meschino che non può, neppure in minima parte, contribuire allo sviluppo della donna».

I nostri ridicoli riformisti se ne infischiano delle posizioni rivoluzionarie. Loro hanno una ricetta bell'e pronta che ci viene dai paesi nordici. Se lavare i piatti e lucidare i pavimenti è un lavoro che avvilisce la donna, ebbene, il lavoro domestico sarà svolto in buona armonia dalla moglie e dal marito. Ed ecco la stampa a rotocalco presentare come modelli i mariti scandinavi e anglosassoni. Quanto tempo la moglie riesce a sottrarre al lavoro domestico, tanto sarà speso dal mansueto consorte. Grazie tante! Le domestiche liti avranno trovato lenimento, ma SOCIALMENTE il lavoro sperperato nell'inconcludente lavoro domestico resta quantitativamente lo stesso. Pur di salvare il feticcio della famiglia, il riformismo al di qua e al di là della «cortina di ferro», mette il grembiule al marito...

Per sapere come Lenin e quindi il comunismo rivoluzionario, concepiva la trasformazione del lavoro domestico in  servizio pubblico, dobbiamo rileggere il testo di un suo articolo sul «Contributo della donna all'edificazione del socialismo» scritto il 28 giugno 1919. Lenin rimprovera il partito bolscevico di non occuparsi abbastanza della questione della emancipazione della donna (rimprovero che potremmo rivolgere a noi stessi). E si preoccupa innanzitutto di chiarire i termini della questione:

«La donna, nonostante tutte le leggi liberatrici, è rimasta una SCHIAVA DELLA CASA, perché è oppressa, soffocata, inebetita, umiliata dalla MESCHINA ECONOMIA DOMESTICA, che la incatena alla cucina e ai bambini e ne logora le forze in un lavoro bestialmente improduttivo, meschino, snervante, che inebetisce ed opprime.  La vera EMANCIPAZIONE  DELLA DONNA, IL VERO COMUNISMO incomincerà soltanto là dove e quando incomincerà la lotta delle masse (diretta dal proletariato che detiene il potere dello stato) CONTRO LA PICCOLA ECONOMIA DOMESTICA O, MEGLIO, DOVE INCOMINCERA' LA TRASFORMAZIONE IN MASSA DI QUESTA ECONOMIA NELLA GRANDE ECONOMIA SOCIALISTA».

IL brano che segue è di una potenza eccezionale perché riassume in poche parole la sostanza della questione:

«Ci occupiamo noi abbastanza nella pratica di questa questione, che teoricamente è evidente per ogni comunista? Naturalmente no. Abbiamo sufficiente cura dei GERMI DI COMUNISMO che già si hanno in questo campo? Ancora una volta no, no e poi no! IRISTORANTI POPOLARI, I NIDI E I GIARDINI DI INFANZIA: ECCO GLI ESEMPI DI QUESTI GERMI, I MEZZI SEMPLICI, COMUNI, CHE NON HANNO NULLA DI POMPOSO, DI MAGNILOQUENTE, DI SOLENNE,MA CHE SONO REALMENTE IN GRADO DI EMANCIPARE LA DONNA, sono realmente in grado di diminuire ed eliminare - data la funzione che la donna ha nella produzione e nella vita sociale - la sua disuguaglianza con l'uomo. Questi mezzi non sono nuovi: sono stati creati (come in generale tutte le premesse materiali del socialismo) dal grande capitalismo: nel capitalismo, però, in primo luogo essi rimanevano una rarità, in secondo luogo - e ciò è particolarmente importante - restavano o IMPRESE COMMERCIALI con tutti i loro lati peggiori: speculazione, ricerca di guadagno, frode, falsificazione, o «ACROBAZIA DELLA FILANTROPIA BORGHESE», che a giusta ragione era odiata e disprezzata dai migliori operai».

Quest'ultimo caposaldo è veramente illuminante. La crisi che matura nel seno del capitalismo suggerisce essa stessa (non quindi la solitaria elucubrazione dell'utopista) i mezzi da usare per uscirne, e questi mezzi sono già virtualmente presenti nel capitalismo. Sono i GERMI DEL COMUNISMO che lo stesso capitalismo obbiettivamente crea. Compito del potere rivoluzionario è la rimozione di tutti gli ostacoli che impediscono loro di espandersi. Ma il lavoro domestico (la cucina, la lavatura degli abiti, l'allevamento dei bambini) può trasformarsi in servizio pubblico gestito dagli stessi che se ne giovano, alla sola condizione che sia svincolato dal circolo mercantile e monetario. Altrimenti, il ristorante popolare che abolisce una parte importante del lavoro domestico, cade nella stessa condizione del ristorante borghese, dove è servito bene chi paga di più, mentre l'intruglio è riservato al cliente squattrinato. E ciò è possibile alla sola condizione che tutta la produzione sociale sia strappata alle leggi dello scambio mercantile.

Ma la soppressione del lavoro domestico, liberando completamente la donna, porta di conseguenza a nuove forme matrimoniali, seppellisce per sempre la famiglia. Chi riduce il comunismo a mera espropriazione dei capitalisti e a sostituzione della proprietà privata con la proprietà statale, mostra di non aver capito nulla del marxismo. Il comunismo cambia l'intera esistenza sociale degli uomini, quale l'hanno foggiata i lunghi secoli della storia di classe. Cambia non solo le forme entro cui gli uomini producono i beni economici, ma anche le forme matrimoniali entro cui gli uomini si riproducono. Non riconduce certo - come pretendono il prete e il piccolo-borghese - la specie umana alle sue origini zoologiche. Da quando l'ominide si è trasformato in homo sapiens, cioè  nell'unica specie vivente capace di fabbricarsi gli strumenti di produzione, principalissimo tra i quali il linguaggio, l'uomo non appartiene più alla zoologia. Né può ritornarvi. Al contrario, è la dominazione di classe che riduce l'uomo al livello di bestia da soma alla quale tutto è lecito strappare: il sudore, il sangue, la vita stessa. Nulla di strano, allora, che nei periodi di transizione storica quale quello che viviamo, in cui la vecchia società è putrefatta e nel sottosuolo sociale si agitano le forze che la seppelliranno, nulla di strano che in una società in preda alla crisi e alla dissoluzione gli uomini siano costretti a produrre e a riprodursi in condizioni sub-animali.

Il comunismo intende risvegliare gli istinti sociali che affondano le loro radici, questo sì, nella natura animale dell'uomo. Ciò inorridisce il bigotto e l'ipocrita, incollerisce il crapulone organizzatore di orge e i raffinati intellettuali specializzati nella descrizione di simile materiale. Ma un fatto è certo: l'incontinenza, il cinismo, le perversioni, la frode, la ipocrisia che rendono repugnante la vita sessuale dell'uomo «civile», cioè abituato a vivere nella giungla della società di classe, sono deformazioni psicologiche del tutto sconosciute fra le popolazioni primitive. Intendiamo riportare gli uomini al livello di queste? No. Ma se ci domandate se intendiamo innestare rivoluzionariamente nell'uomo della decantata «era atomica» le regole morali che sono proprie dei popoli primitivi, non abbiamo esitazioni, rispondiamo: sì.

Lunghi secoli di dominazione di classe non hanno spento negli uomini la voce insopprimibile dell'istinto sociale, lo spirito gregario che permise all'uomo-scimmia di diventare homo sapiens. Alla rivoluzione proletaria spetta il compito storico di liberare completamente gli uomini dalla infezione egoistica. Gli uomini del comunismo moderno intendono produrre i mezzi della loro sussistenza utilizzando quei «germi di comunismo» rappresentati dalla grande industria capitalistica,  e vivere secondo la legge morale del comunismo primitivo, che rappresenta l'alba della umanità. Non altrimenti potrà sanarsi la mostruosa contraddizione che oppone la società alla natura dell'uomo.

 

il programma comunista, n. 9, 26 maggio 1960