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archivio > Archivio sulla sinistra>Gli odiatissimi amici, (Battaglia comunista, n. 27, 6 - 13 luglio 1949)

aggiornato al: 20/12/2010

Battaglia comunista, n. 27, 6 - 13 luglio 1949

Questo vecchio articolo del 1949 fu scritto all'epoca del processo contro chi attentò alla vita  di Togliatti  nel luglio 1948 e mostra come in quell'episodio il ruolo del PCI fu quello di controllare l'ira e la rabbia proletaria nel rispetto della ... legalità borghese.

Oggi il PCI non esiste più, ma tutte le forze politiche sono ligie nell'obbedire ai supremi valori di questa società e di questo mondo nel caso, oggi ancora lontano, in cui il proletariato osi rialzare la testa.

Mentre un'ondata di rivolte studentesche (ma non solo) percorre le capitali di questo bel mondo, da Londra a Berlino, da Parigi ad Atene per finire a Roma, i nostri governanti, in balia dell'impotenza e di un delirio senile, non sanno far di meglio che proporre arresti preventivi o divieti di partecipazione alle manifestazioni (imitando i divieti di frequentare gli stadi fissati tempo fa  per gli "ultras più caldi").

Nessuno cerca di capire o comprendere il perché di movimenti di rivolta dettati da cause sociali ben precise e non da "teste calde"o dal "tifo" come fingono di credere.

Ci auguriamo che, mentre sono occupati nell'acquisto, al mercato delle vacche, di voti e di parlamentari, vengano presto travolti da un movimento classista, l'unico che guidato dal partito rivoluzionario possa  modificare lo stato di cose presenti.

 

 

Gli odiatissimi amici

 

A qualcuno, il processo e la recente condanna dell'attentatore di Togliatti avran fatto ricordare, a distanza di un anno, i giorni in cui l'incidente sollevò gran parte della classe operaia italiana in una minacciosa ventata di rivolta. Allora la borghesia, malgrado la saldezza delle sue posizioni, fu percorsa da un brivido di paura. Nei momenti storici, sia pure oscuramente, essa si rende conto della straordinaria potenza di cui il proletariato disporrebbe se sapesse indirizzarla verso l'obbiettivo giusto e travolgere in una sola ondata tutto. Scrive Gorresio nel suo ultimo libro «i carissimi nemici», scritto senza un briciolo di intelligenza, ma pieno di interessanti «documentari» sullo stato d'animo della classe dominante: «Dall'una fino alle tre del pomeriggio del 14 luglio dal Viminale telefonarono, telefonarono, telefonarono a tutti i funzionari e comandanti dipendenti d'Italia, Scelba si era raccomandato: Siate calmi e decisi anche nel tono della voce. Seminate fiducia. Il pericolo vero è nella paura». Chiamò poi il rappresentante sindacale dei commercianti romani per investirlo malamente: «Tutto questo apparato di forze che manteniamo a Roma lo manteniamo per voi, per difendere le vostre botteghe. Vi rendete conto di quanto costano allo Stato le vostre vetrine? E vi rendete conto dell'effetto che fa la vista dei negozi chiusi dalla vostra paura? La città morta eccita i saccheggiatori. Riaprite subito i negozi o vi faccio arrestare». Dal questore di Roma fece intanto arrestare i componenti della commissione interna dell'azienda elettrica: «Se ci avessero tolto la luce quella sera, chi li teneva più i romani dal morire dalla paura?».

Questa è la classe dominante, questa è la potenza dello «stato di polizia»: la morte di paura. Pur con le garanzie offerte dall'intero apparato statale di repressione, Scelba sapeva che queste garanzie non sarebbero valse a nulla se il proletariato si fosse mosso su un piano suscettibile di divenire di lotta aperta con la borghesia dominante. Ma Scelba sapeva anche di poter contare sul partito «comunista» pur nel caso per esso scottante, quello della caduta del suo capo sotto le pallottole di un seguace di partiti di destra. Il partito era colpito nella sua stessa esistenza fisica; nondimeno non vi fu un attimo di esitazione: il posto del partito fu a fianco di Scelba, a protezione della borghesia.

Continua Gorresio: «L'eccitazione rimaneva grandissima. Ai comunisti finalmente radunati in direzione non restò che cercare di mettersi alla testa del movimento: perdere il controllo delle masse è infatti sempre stato l'incubo più grave per il partito, e i maggiorenti quel giorno stesso si divisero il compito di riprendere il comando dei dimostranti e di ridurre all'obbedienza quei dirigenti locali che cedendo ad un impulso massimalista o trotschista avevan preso iniziative per lanciare le masse allo sbaraglio.» Qui il termine trotschista, come al solito, sta ad indicare qualunque atteggiamento che abbia una certa indipendenza dalla linea politica del partito ufficiale. In ogni modo, i dirigenti nazionalcomunisti si sparsero dovunque per ricondurre le masse alla ragione e vi riuscirono, com'è noto, perfettamente. Il proletariato, che aveva avuto l'ingenuità di ribellarsi per l'infortunio capitato a Togliatti, dimostrava anche l'incapacità di trarre una lezione  dall'avvenimento e ritornava una volta di più umiliato e scoraggiato, al lavoro, abbandonando tutti i punti occupati nei luoghi della guerriglia. E' noto che, a pericolo trascorso, la Legge infierì contro i proletari che si erano dimostrati più accesi, e che pagarono il fio degli avvenimenti in modo ben più grave dell'illustre ferito. Avevano sbagliato, e il partito li abbandonò alla loro sorte.   

I fatti di allora meritano una attenta riflessione da parte di tutti i proletari coscienti. Non vi è dubbio che la classe dominante si divide nel corso dello sviluppo storico ed è travagliata da un profondo antagonismo che consiste nella lotta per decidere chi debba esercitare il dominio politico diretto sul proletariato. Questi contrasti interni sono feroci, brutali e il più delle volte sanguinosi. Essi si manifestano talvolta come lotte svolgentesi tra frazioni borghesi nel seno di una stessa nazione, tal'altra come guerre internazionali. Churchill e Hitler sono figure perfettamente identiche dal punto di vista sociale; ciò non toglie che si siano combattuti aspramente fino alla completa rovina di uno dei due. Così, Stalin e Truman possono essere in lotta tra di loro, possono farsi la guerra; ma questo contrasto non ha nulla di sociale, è l'espressione delle esigenze invalicabili dell'imperialismo, una manifestazione dello stesso spirito di concorrenza che ha portato Rockfeller a divorare o a spingere al suicidio i confratelli concorrenti. Il fatto che le due forze si affrontino sul piano nazionale e internazionale non cambia i termini della questione: il tema della lotta è chi debba mangiare la torta (lo sfruttamento di classe) non chi debba abolirla. Non vale perciò appellarsi all'antagonismo Togliatti - De Gasperi a dimostrazione che il primo difende contro il secondo la causa del proletariato. I due sono «nemici» ma «carissimi». Può ben avvenire che l'uno patisca di persona le conseguenze dell'inimicizia dell'altro, ma, al di là di questo antagonismo, una superiore solidarietà di classe li unisce contro il proletariato e la divisione fra destri e sinistri si conclude o nell'accordo o nell'identità di azione ogni volta che si tratti di fronteggiare il pericolo rivoluzionario.

Lo dimostra nel modo più chiaro il 14 luglio dello scorso anno quando le masse erano disposte a raccogliere la sfida, e attesero invano una parola decisiva dei partiti che le guidavano; si è visto quale sgomento avesse pervaso la borghesia, ben consapevole di poter contare sulle forze di repressione quando si tratta di casi sporadici ma di non poter far nulla di fronte a un moto collettivo; si è visto come la situazione fosse salvata, salvata appunto dal partito che degli avvenimenti sembrava la vittima. La solidarietà di classe non solo non si tradisce in frangenti simili, ma i nazionalcomunisti corrono ad assumere la funzione che gli sgherri di Scelba sono impotenti a conservare.

Perché questo avvenga occorre che le masse continuino a credere che il partito a etichetta comunista difenda i loro interessi e si agiti per proteggerli dallo sfruttamento borghese. Ecco perché sono tutti concordi a gridare ai quattro venti che stalinismo e comunismo sono la stessa cosa; ecco perché è necessario che l'equivoco duri; ecco perché al mantenimento dell'equivoco contribuiscono nel modo più sottile le destre sviluppando una campagna antinazionalcomunista sui motivi dell'antimarxismo; ecco perché infine e nonostante le apparenze esteriori, i migliori alleati di Togliatti sono proprio i borghesi, quelli che si fanno in quattro a dimostrare che il partito sviluppa un doppio gioco, che dietro la facciata legalitaria, cova mire insurrezionali e rivoluzionarie.

Affermando che i nazionalcomunisti sono ancora comunisti, i borghesi sanno di incatenare i proletari ad uno dei pilastri della conservazione: al partito che li addormenta nella foresta incantata del parlamentarismo nei momenti di stasi e tarpa loro le ali nei momenti cruciali. é Togliatti stesso a dircelo:

«Noi avevamo progettato di costituire una speciale sezione per una propaganda segreta fra le masse, per dare a intendere che gli atteggiamenti ufficiali del partito erano una finzione, ma che la base non ci credesse, che in realtà preparavamo la rivoluzione, quella forma di rivoluzione che piace ai troschisti e agli anarchici, che consiste nello sgozzare i borghesi. La sezione della propaganda segreta si doveva chiamare della strizzatina, perché dopo un discorso legalitario fatto da me, i dirigenti della sezione dovevano strizzare appunto l'occhio ai proletari irrequieti come per dire: non ci credete. E invece questa raccomandazione è stata fatta clamorosamente dalla stampa borghese; così abbiamo risparmiato una sezione, molto lavoro e molti quadri».

Grazie, Togliatti, della rivelazione.

 

 

battaglia comunista, n. 27, 6 - 13 luglio 1949