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archivio > Archivio sulla sinistra>E' di scena lo scandalo (battaglia comunista, n. 10, 9 -16 marzo 1949)

aggiornato al: 10/08/2010

battaglia comunista, n. 10, 9 - 16 marzo 1949

Questo articolo è del 1949 e potrebbe essere stato scritto ieri. Capacità e preveggenza dell'anonimo autore? No,  padronanza del marxismo e delle posizioni per cui si batte il proletariato rivoluzionario.

Nel 1949, come oggi, si viveva in putrido capitalismo e sotto il dominio di una borghesia decrepita; nel 1949, come oggi, questa  società è la società dello scandalo.

 

 

E' di scena lo scandalo

 

E' noto qual è nella società borghese, la tecnica dello scandalo. Essa consiste nel lanciare periodiche grida di raccapriccio e di sdegno su ciò che, fino a pochi momenti prima, aveva corso legale e validità indiscussa e che tornerà a riassumere non appena piacerà al direttore di scena di cambiar quadro all'unico e permanente scopo di disorientare il pubblico.

Stiamo appunto attraversando, in Italia e nel mondo, una di queste fasi di scandalo, con tecnica e finalità sempre le stesse. E, come la fase precedente in cui tutto era pacifico e naturale, la fase in cui tutto è illecito e scandaloso realizza l'effetto di mobilitare  la massa intorno a parole d'ordine e ad obiettivi non loro, ma della classe avversa.

Che per esempio i nazionalcomunisti di tutto il mondo fossero e si proclamassero gli alfieri della politica russa era riconosciuto nel 1945-47 non solo perfettamente legittimo, ma altamente lodevole. Si era ancora nella fase della santa alleanza dei due Grandi, la fase in cui gli eserciti alleati erano ancora liberatori e la vittoria delle Nazioni Unite passava per il battistrada del progresso. Essere gli schieramenti politici di uno dei tanti schieramenti militari di cui la santa alleanza si componeva era allora di rito, e la divisione dei compiti ammetteva che, nell'armonia universale della democrazia novella, americanisti e russofili compissero il loro dovere ch'era insieme il dovere di coscienza di ogni buon democratico. Oggi, per contro, ci si scandalizza delle dichiarazioni di Togliatti e di Thorez, si finge di cadere dalle nuvole, si urla al doppio gioco, come se le ingenue verginelle del Patto  Atlantico e del Piano Marshal, fossero state improvvisamente sorprese nella loro buona fede e ferite nel loro onore. Tre anni fa, si andava al governo con l'esplicito mandato di portarvi la rappresentanza legale della missione democratica della Russia o, viceversa, dell'America: oggi, per la stessa ragione, Thorez e Cachin rischiano di essere processati e Mindzenty e consoci sono finiti al fresco. Sempre in quella felice età, scambiarsi documenti «segreti» e dossiers, compiere opere di spionaggio a favore di una determinata potenza democratica,  fare i confidenti di terzi era contribuire all'edificazione della democrazia universale, non v'era ancora un articolo nel codice di questa democrazia, che contemplasse il delitto di lesa-patria, giacché la «patria» era l'alleanza delle nazioni unite. Oggi, l'articolo c'è, e se nel blocco orientale i processi per tradimento si snocciolano come coroncine di rosario, nel blocco occidentale la polizia francese o americana si dispone ad organizzare epurazioni, procedimenti sommari, corti di giustizia con tutto l'apparato scenico che si conviene a regimi che pretendono di incarnare la democrazia pura contro l'arbitrio dittatoriale. In nome degli stessi principi, ieri non ci si scandalizzava affatto che perfetti patrioti e democratici come i nazionalcomunisti avessero parteggiato per la Germania del patto ruso-tedesco nel 1939 e, dalla parte avversa, che patrioti come Ciang Kai Schek avessero massacrato i comunisti nel 1929 o come Churchill avessero organizzato truppe bianche contro la Russia Sovietica: oggi, ci si scandalizza di quello che era considerato ieri un contributo, sia pure indiretto, alla causa comune.

Non diversamente in Italia, in quella tale felice età dell'oro, era qui apertamente riconosciuto che la democrazia progressiva chiudeva il capitolo del fascismo nell'abbraccio della pacificazione nazionale e si sanciva il principio amnistiando i fascisti. Oggi si grida allo scandalo perché Borghese è stato assolto e Graziani è stato deferito a una corte marziale da giudici che hanno impiegato la bellezza di otto mesi ad accorgersi di essere... incompetenti a giudicarlo. Ieri, in nome della patria, si riconosceva il titolo di eroe a chi aveva servito «fedelmente» la patria sia pur combattendo per la Germania; oggi si urla di raccapriccio perché la qualità di «eroe» ha pesato nel processo a favore di Borghese. Ieri si chiedeva alla magistratura, a questa quintessenza della conservazione, la sanzione ufficiale degli atti di una democrazia «affossatrice del fascismo»; oggi si bolla questa stessa magistratura perché ha fatto quello che è nella sua tradizione di fare. Estendendo il discorso, la democrazia della ricostruzione nazionale riconosceva ufficialmente due anni addietro il potere della Chiesa, la legalità del suo intervento in determinati settori della vita pubblica,, la sua qualità di Stato nello Stato, e inseriva nella Costituzione un trattato internazionale del tipo del Patti lateranensi; oggi, v'è chi si scandalizza che il papa pontifichi anche in materia di politica interna. E, dall'altra parte della barricata si riesumano le azioni compiute dai partigiani oltre una certa data delle storia italiana e si considera delittuoso quello che ieri si salutava come meritorio.

In tutta questa cagnara inscenata sulle due ali della gigantesca orchestrazione borghese, il proletariato finisce per smarrirsi in cento vie traverse, invece di trovare la sua unica via diretta. E' chiaro che, quando grida agli scandali, la società capitalistica ottiene infallibilmente il risultato di porre la classe operaia, già smarrita e disorientata dalla politica opposta di fronte ad una serie non mai conclusa di false alternative e di illusori dilemmi, di spingerla ad individuare, nella situazione tragica in cui il capitalismo l'ha gettata, un peggio ed un meglio, un meno ed un più, un obiettivo limitato da conquistare, una riforma da compiere. Che l'orchestrazione sia, invece che unitaria, bipartita, non può far perdere di vista l'unitarietà del risultato. Se infatti la campagna di scandalismo e di terrore su scala internazionale serve ad orientare masse fluttuanti verso i due poli dello schieramento politico internazionale del capitalismo, a  consigliare ai pavidi rifugio in questa o quell'organizzazione ugualmente antiproletaria  e a rinsaldare negli altri la fede forse già un po' scossa negli obiettivi per i quali erano stati chiamati a combattere, gli strilli di sdegno sulla legalità in pericolo, sul fascismo risorgente, sulle volanti rosse servono, su scala nazionale, a riaccendere nei proletari la fiamma consunta di una «lotta per la libertà» che è la valvola di sicurezza contro la possibile lotta per la rivoluzione, e a presentare come paladini della resistenza all'oppressione quelli che ne sono in realtà gli strumenti.

La reazione di classe alla campagna degli scandali deve essere proprio l'opposta: deve cioè tradursi nella coscienza che nella società borghese il «tradimento» non si divide in parti perché è di tutti, che la democrazia è una truffa, che la giustizia è, sempre, un imbroglio, che la democrazia che assolve i fascisti, che liquida gli arretrati ai generali prosciolti, che condanna i proletari rei di aver fatto oltre il giorno x quello che ventiquattro ore prima era loro concesso dai supremi reggitori, che distribuisce patenti di furfanteria, di tradimento e di fascismo a quelli che passavano per liberatori e vindici, fa soltanto la sua missione storica, e che il fascismo non ha bisogno di risorgere perché nessuno, e meno che mai la democrazia, l'ha abbattuto. Invece di perdersi dietro gli alberi, i proletari guardino finalmente il bosco, e capiscano che se si è arrivati a tanto una sola conclusione va tirata: che non ci si libera, che non ci si redime, se non gettando nello stesso immondezzaio le sirene di destra e di sinistra che presentarono la lotta della classe operaia non nei termini di una lotta definitiva fra proletariato e borghesia, ma in quelli fittizi, di una lotta tra la democrazia, bene comune di proletari e borghesi, e un fascismo che proletari e borghesi avrebbe allo stesso grado oppresso, tra legalità e illegalismo, fra ingiustizia e giustizia. Che cioè democrazia e fascismo sono la stessa cosa, e questa cosa si chiama con un nome solo: capitalismo.   

 

battaglia comunista, n. 10, 9 - 16 marzo 1949