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archivio > Archivio sulla sinistra>La linea della tradizione rivoluzionaria... (Battaglia comunista, n. 15, 16, 17, ott.- nov. 1945)

aggiornato al: 18/02/2010

Battaglia comunista, n. 15, 16, 17, ottobre - novembre 1945

La serie di tre articoli che qui riproponiamo apparve su Battaglia comunista  nell'ottobre - novembre 1945.  E' una carrellata di storia, frutto del lavoro di un anonimo compagno che volentieri riproponiamo, togliendola da un immeritato oblio.

 

 

La linea della tradizione rivoluzionaria nel movimento operaio italiano

 

I

 

Il movimento sociale italiano, tardò a differenziarsi in un senso classista moderno, anche tardivamente si orientò secondo le direttive del comunismo marxista. Le prime organizzazioni operaie si svilupparono nel periodo del Risorgimento sotto la direzione di elementi  democratici, e più tardi presero indirizzo mazziniano e libertario. Intorno al 1870 fiorirono in Italia,  specie in Romagna, in Toscana, a Napoli, le sezioni della I Internazionale, ma quasi esclusivamente con indirizzo bakuniniano; e tutte, o quasi, conservarono le direttive anarchiche dopo il dissenso tra marxisti e libertari.

Tuttavia, gli stessi anarchici diffusero i testi della dottrina dei marxisti, e l'indirizzo socialista nel senso moderno non mancò di rappresentanti anche in epoche anteriori, potendosene considerare in un certo senso un rappresentante anche il Pisacane. A parte gli indirizzi teorici, le lotte di classe si sviluppavano vigorosamente con manifestazioni legali ed anche con moti violenti nelle varie parti d'Italia, e la dominazione borghese democratica ripetute volte reprimeva con la forza il sorgere delle organizzazioni e scioglieva i partiti operai.

I primi partiti socialisti furono infatti dispersi nel 1886, nel 1893, nel 1898. Ma si consolidarono, con precisa separazione dagli anarchici ed adozione della teoria marxista, nella costituzione  del Partito Socialista Italiano al Congresso di Genova nel 1892.

Il Partito Socialista Italiano fu unitario, a differenza dei partiti di altre nazioni, fin quasi alla guerra mondiale, e tenne a suo modello teorico e politico la grande socialdemocrazia tedesca, che passava, ma in parte a torto, per depositaria della tradizione rivoluzionaria marxista, mentre la politica di essa, influenzata sempre dall'eredità della fusione coi Lassalliani, dopo il cedere delle leggi anti-socialiste di Bismark  si era prevalentemente orientata verso metodi legalitari, e non aveva tenuto di mira il problema dell'azione rivoluzionaria, agitato dai socialisti russi per la particolare loro situazione che li faceva vivere in un paese avviato ad una violenta crisi politica e non attraversante un periodo di apparente equilibrio e di pacifismo sociale.

Come gli altri partiti, quello italiano doveva superare le crisi dei due revisionismi, quello riformista e quello sindacalista, che sembrano dividersi esclusivamente il campo proletario tra il 1905 e il 1910 all'incirca. I riformisti facevano leva sul diffondersi dell'organizzazione sindacale e della forza elettorale e parlamentare del partito, nonché sulla situazione di florido sviluppo capitalistico che consentiva di ottenere vantaggi alle classi operaie in sede sindacale e in sede di legislazione, innestando a tale prassi una teoria di graduale e legalistica azione proletaria e una politica di collaborazione con gli elementi politici avanzati borghesi.

I sindacalisti, polarizzando attorno a sé i gruppi più risoluti della classe operaia, parlavano di azione diretta escludente gli intermediari parlamentari, e di sciopero generale che un giorno sarebbe culminato nella lotta armata, ma egualmente svisando i concetti fondamentali del partito politico rivoluzionario e della conquista extra-legalitaria del potere.

Usciti i sindacalisti dal partito per il loro antielezionismo, parve questa una vittoria della destra riformista, ma dal 1908 in poi si rafforzò nel partito la corrente di sinistra marxista , che si denominò Frazione Intransigente rivoluzionaria,  e pervenne nel 1910 ad assumere la dirigenza del partito. Tale corrente si richiamava all'ortodossia marxista (che d'altronde i riformisti, col classico gruppo della «Critica Sociale», a loro volta rivendicavano) e nella politica pratica, non ponendosi a quell'epoca problemi di lotta insurrezionale, si differenziò anche per la reazione alle degenerazioni possibiliste del movimento in Francia ed in altri paesi, sulle parole della condanna non solo della partecipazione dei socialisti a governi borghesi, ma anche dell'appoggio parlamentare ad essi; della intransigenza nelle elezioni politiche, respingendo quindi il metodo dei blocchi popolari o di estrema sinistra (socialisti - repubblicani - radicali) a sfondo anticlericale, che era prevalso dopo la reazione di destra del 1898.

Nel 1911, alla commemorazione del cinquantenario dell'unità italiana, finalmente il movimento delle grandi masse operaie dimostrò di aver trovato la sua impostazione di classe, e le sue bandiere rosse si rifiutarono di seguire i cortei ufficiali e tricolori. Nel 1912, al Congresso di Reggio Emilia, trovando il suo esponente in Mussolini, la corrente di sinistra impose la condanna e l'esclusione dal partito dei fautori della guerra imperialistica libica e degli elementi della destra che avevano trattato la partecipazione a ministeri monarchici. Pochi mesi prima della guerra, al Congresso di Ancona dell'aprile 1914,  il partito, che frattanto aveva sperimentato fasi di aperta lotta antiborghese e di sciopero generale nazionale, seguito ad eccidi proletari (la Villa Rossa di Ancona, l'articolo di Mussolini «Tregua d'armi», che chiedeva lo sciopero proclamando la ripresa di movimenti insurrezionali nell'avvenire) sottolineava la sua direttiva classista con le decisioni di intransigenza elettorale nei ballottaggi politici e nelle elezioni amministrative, e con la dichiarazione di incompatibilità tra l'appartenenza alla Massoneria e quella al partito socialista.

Benché si fosse sulle soglie della guerra imperialistica mondiale, il partito non affrontò in pieno il problema della politica socialista in caso di guerra. Fino allora la propaganda anti-militarista, svolta attivamente specie dalla Federazione Giovanile, non si era molto differenziata, almeno in pratica, dalla falsariga anarchica e sindacalista, che ne faceva un sabotaggio ed un rifiuto individuale della coscrizione militare.

Lo scoppio della guerra trovò il partito forse meglio preparato di altri partiti socialisti europei, ma anche avvantaggiato dalla ritardata partecipazione italiana. Mentre palesi correnti  per l'intervento antitedesco sorgevano tra anarchici, sindacalisti, socialisti, riformisti bissolatiani, il partito fu compatto nell'avversare sia l'intervento con la Triplice che l'intervento contro di essa. Ma, verso la fine del 1914, scoppiò la crisi Mussolini, che, se fu grave perché riguardava il capo politico della corrente estrema, fu assai istruttiva per il fatto che questo capo dové praticamente lasciare il partito solo per volgersi alla politica social-nazionale interventista, e tutto il partito fu solidale contro di lui.

 

(continua)

 

Battaglia comunista, n. 15, 27 ottobre 1945

 

  

 

II

 

La grande importanza di questa prova per lo sviluppo del movimento classista in Italia non  può tuttavia far trascurare il fatto che sul problema della guerra i socialisti del partito non sostenevano affatto soluzioni uniformi. Tre principali indirizzi si manifestarono sia nella campagna del 1914-15 contro la guerra, che nel convegno alla vigilia della guerra (Bologna, maggio 1915), che nelle riunioni legali ed illegali tenute durante la guerra (Roma 1916, Firenze 1917, Roma 1918). La destra, rappresentata dalla maggioranza del gruppo parlamentare e dai dirigenti della C.G.L. si pronunziava contro l'intervento per ragioni di interesse nazionale e di interesse classista inteso in senso limitato e contingente, aderì ai voti in Parlamento contro la guerra, i ministeri e i crediti di guerra, ma dopo l'invasione nemica  nel 1917, di tutto fece per ottenere dal partito di poter mutare questa politica in adesione alla difesa nazionale; il centro , rappresentato dalla direzione del partito e dal grosso degli intransigenti, tenne a freno i confederati e i parlamentari, rifiutò in ogni momento ed anche dopo l'invasione l'adesione alla guerra, ma respinse pure in pratica ed in principio ogni azione classista di aperta lotta contro la borghesia e lo Stato impegnato nella guerra, chiudendosi nella formula di Lazzari «né aderire né sabotare»; infine la sinistra, con una minoranza della direzione, ma con molto seguito nel partito, tanto da pareggiare il centro in alcune consultazioni, oltre a premere perché venisse repressa la tendenza opportunistica dei deputati  e dei capi sindacali, richiese al partito una politica rivoluzionaria aperta, sostenne la parola dello sciopero generale al momento della mobilitazione, ed arginò il pericolo di un cedimento del partito sotto la suggestione di Caporetto, senza tuttavia poter mai prevalere nella politica di insieme del partito.

Dopo la rivoluzione di Russia, la fine della guerra, la costituzione della nuova Internazionale, il processo di orientamento del partito divenne più deciso.

Posta finalmente la questione non solo del sabotaggio rivoluzionario della guerra, ma quella centrale della lotta per la conquista del potere da parte della classe operaia e della dittatura proletaria, mentre i riformisti turatiani passavano nel campo di coloro che avversavano come antimarxisti i criteri e i caratteri del Leninismo e della rivoluzione d'Ottobre, e mentre gli elementi di sinistra all'opposto incondizionatamente facevano propria la dottrina politica dei bolscevichi russi e della III Internazionale, e ponevano ogni loro forza nel senso di inquadrare la lotta per il potere da parte  della classe operaia d'Italia, il centro del partito, capeggiato da Serrati, direttore dell' «Avanti!», dimostrando che la pur utile tradizione politica del movimento non aveva condotto a sufficiente maturazione rivoluzionaria, ondeggiò gravemente, sostenendo a parole le direttive rivoluzionarie russe, parlando anche troppo ed inadeguatamente di rivoluzione in Italia, ma nello stesso tempo mostrandosi ligio a tutte le posizioni legalitarie conseguite in Italia dal partito, desideroso di trarre il compenso della popolarità guadagnatasi nella campagna antibellica in clamorosi successi elettorali, e soprattutto restio a romperla con l'ala destra riformista, sotto pretesto che questa se era, all'unisono dei socialdemocratici, intesa nella diffamazione della Rivoluzione bolscevica, tuttavia non poteva per il suo passato essere abbassata al rango dei social-traditori di guerra.

Nel congresso di Bologna (1919) la grande massa del partito non seppe liberarsi di questa contraddittoria posizione politica, mentre frattanto le lotte sociali divampavano ed avrebbero richiesto un rapido e risoluto orientamento. La minoranza di destra più che mai socialdemocratica ed antirivoluzionaria, e la minoranza di sinistra apertamente comunista, e differenziatasi  sulla proposta dell'astensione dalle elezioni, con cui soprattutto manifestava la sua sensibilità al grave pericolo  dell'inganno collaborazionistico e parlamentare di Nitti, rimasero entrambe nel partito.

La scissione fu provocata dalle decisioni dell' Internazionale di Mosca al II Congresso, del giugno 1920, che richiese a tutti i partiti l'adozione, in teoria ed in pratica, di un preciso programma comunista e rivoluzionario, e l'esclusione di tutti coloro che si schieravano contro una tale dottrina e una tale politica. Al Congresso di Livorno del gennaio '21, mentre nel quadro delle lotte sociali non solo si erano moltiplicati gli scontri di classe, ma già si era delineata la controffensiva borghese, sebbene i riformisti turatiani non dissimulassero la loro persistenza nelle posizioni anticomuniste e sebbene d'altro lato la minoranza comunista si fosse grandemente consolidata ed ingrandita, facendo capo principalmente ai gruppi del «Soviet» di Napoli e dell' «Ordine Nuovo» di Torino, la maggioranza rimase ancora sul terreno della incerta politica massimalista serratiana, ben definita come quella di «un passo avanti due indietro». Stavolta si compì la indispensabile scissione, e la minoranza costituì il Partito Comunista d'Italia, sezione della III Internazionale. Era già tardi per chiudere il processo di formazione teorica ed organizzativa del partito di classe, e passare con tutte le forze alla direzione della battaglia politica proletaria; ma mentre di tale avviso furono assolutamente tutti i fondatori del Partito Comunista che, fin dalla campagna per la sua costituzione (frazione di Imola) avevano compreso che non era desiderabile ripescare nel troncone del vecchio partito altre tradizioni ed altri gruppi, la questione fu vista diversamente dai dirigenti dell'Internazionale di Mosca. Questi, in coerenza con la visione che  per le imminenti lotte rivoluzionarie europee convenisse avere collegamento anche non perfetto con più larghi strati proletari, richiesero che si costituisse una nuova frazione comunista nel vecchio partito socialista, che se ne richiedesse una ulteriore scissione, che si restasse pronti a fondere l'organizzazione del partito con un nuovo gruppo di socialisti aderenti alla III Internazionale e pronti a preferire questa all'unione con Turati.

 

(continua)

 

Battaglia comunista , n. 16, 7 novembre 1945

 

 

 

III

 

 

La diversa visione politica provocò una crisi. Nel mentre la situazione italiana si svolgeva verso la sconfitta del proletariato dinanzi alla offensiva fascista, il nuovo partito fu costretto ad occuparsi sempre di crisi interne, e a polemizzare tutto solidale contro l'indirizzo del Comintern, nel congresso di Mosca del 1921, nell'Esecutivo Allargato del giugno 1922, nel IV Congresso del novembre 1922. Solo risultato della politica dell'Internazionale, malgrado la resipiscenza dello stesso Serrati e malgrado il distacco dal partito socialista della destra turatiana che formò il Partito Socialista Unitario (ottobre 1922), fu il recupero di poche migliaia di iscritti della frazione terzinternazionalista (terzini), che vennero a fondersi colo P.C.I. dopo l'avvento dei fascisti al potere.

Frattanto, la politica del partito, unanimemente o quasi accettata al II Congresso nazionale (Roma, febbraio 1922) divergendo alquanto nella tattica da quella sostenuta dal Comintern, consistette nel respingere l'idea del fronte unico antifascista con gli altri gruppi politici proletari di cui troppo gravi e dannose erano le responsabilità nella crisi del movimento operaio italiano, troppo palesi e continui gli aperti tradimenti, e tentò di realizzare la mobilitazione rivoluzionaria delle energie classiste,  oltre che con maggiori sforzi nel campo della propaganda e della organizzazione, con la parola della Alleanza del Lavoro, unione di tutte le organizzazioni sindacali classiste (Confederazione Generale del Lavoro, Unione Sindacale Italiana, Sindacato Ferrovieri) al fine di attuare un movimento di sciopero nazionale che potesse infrangere la tattica fascista di attaccare e abbattere successivamente ed isolatamente le forze proletarie.

E' noto come tale campagna fu sfortunata; essa condusse solo nell'agosto del 1922 alla lotta generale, ma in questa non solo i fascisti avevano già guadagnato troppe posizioni, non solo il potere borghese gettò tutte le forze nella bilancia a loro favore, ma i social-democratici, troppo lungamente tollerati e incoraggiati dalle incertezze del vecchio centro socialista, e la tradizionale viltà di questo stesso centro determinarono ancora una volta il sabotaggio del movimento con un ordine di cessazione quando tutte le forze si erano impegnate, cosicché l'offensiva padronale ebbe la vittoria, che lo stesso Mussolini datò poi dall'agosto e non dall'ottobre 1922.

Influì sull'esito sfavorevole anche il coefficiente della diversa visione tattica tra il partito e l'Internazionale. Il gruppo dirigente del partito, solidale fino a dopo l'ottobre 1922, si divise posteriormente sulla valutazione di questa influenza. La sinistra - maggioranza del partito fino a una consultazione del 1924 - ritenne e ritiene che l'azione del partito fu paralizzata dal doversi occupare di questioni organizzative che andavano considerate chiuse a Livorno e che la causa fondamentale degli insuccessi proletari fu l'unitarismo superficiale che non persegue l'omogeneità classista nella teoria, nell'azione e nell'inquadramento, ma gli affasciamenti contingenti di forze che appaiono concomitanti per spezzarsi nell'azione, nove volte su dieci con danno della corrente radicale. La destra, che amò chiamarsi centro,  e che successivamente pretese di monopolizzare l'ortodossia comunista, bolscevica, leninista, affermò invece che la resistenza del partito ad ingoiare le file massimaliste e serratiane ritardò la costituzione nella lotta la totalità proletaria. Tuttavia, questa corrente, che dal 1923 ha assunto la direzione del partito, in materia non poteva accampare altro titolo che un pentimento tardivo, non avendo affatto sostenuto queste direttive del partito di massa al momento della lotta.

Nel periodo successivo, seguendo il chiaro decorso della situazione italiana, per cui le direttive classiste andarono sommergendosi nel postulato infelice di rivendicare la riconquista  della libertà parlamentare; della situazione mondiale per cui, tramontata la prospettiva di liquidare la crisi del dopoguerra per le vie rivoluzionarie, il movimento internazionale comunista subì una involuzione prima soltanto tattica, e poi fondamentalmente teorica e politica; delle vicende della Russia sovietica, per cui la centrale dirigente del comunismo internazionale seguì le sorti della dirigenza dello Stato in progressiva involuzione verso forme non più proletarie, il cosiddetto partito comunista italiano, di cui si ignora quando abbia mutato il nome, e se si ritenga ancora legato al programma di Livorno, si è portato verso tali enunciazioni, attitudini ed azioni politiche, da essere uscito totalmente dal campo rivoluzionario e classista.

Superstite della lunga crisi nel periodo fascista, un solo partito socialista riunisce massimalisti e riformisti  di un tempo. I due partiti, il socialista ed il comunista, si dicono marxisti in teoria, non si dicono nemmeno social-democratici; nella prassi politica, parlano di unità di azione e di fusione organizzativa e, nella collaborazione con la borghesia, alternano le loro posizioni stando ora fuori ora dentro, probabilmente in seguito ad un'intesa, ma certamente stando fuori e contro il campo della lotta di classe proletaria.

Il partito politico rivoluzionario operaio può risorgere in Italia ricollegando le sue tradizioni al cammino che condusse il movimento socialista alle posizioni di indipendenza teorica e politica conquistate sui vari problemi del tempo dal 1908 al 1914, all'opposizione alla guerra imperialista ed alla sua impostazione radicale e rivoluzionaria sostenuta dalla forte ala sinistra del partito, alla restaurazione completa della posizione rivoluzionaria marxista raggiunta sulla linea della battaglia di Lenin e del suo partito da Zimmerwald a Pietrogrado, e sulla piattaforma costitutiva della III Internazionale dalla fine della guerra alla formazione del partito Comunista a Livorno; dei contributi critici alla grave questione della tattica rivoluzionaria del partito arrecati dalla Sinistra Italiana nei Congressi nazionali ed internazionali, la cui importanza e validità, da integrare con gli apporti di tutte le successive esperienze storiche, è grandemente aumentata per la tempestiva previsione dei pericoli degenerativi ed opportunistici  che hanno condotto inesorabilmente l'Internazionale di Mosca ad una crisi altrettanto grave e più nefasta di quella della II Internazionale.

 

Battaglia comunista, n. 17, 19 novembre 1945