Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>Benvenuta la scomunica! (Battaglia comunista, n. 29, 20 - 27 luglio 1949)

aggiornato al: 30/06/2009

Battaglia comunista, n. 29, 20 - 27 luglio 1949

Sessanta anni fa, il primo luglio 1949, la Chiesa Cattolica, tramite il suo papa dell'epoca Pio XII, decretava la scomunica per chi aderiva al comunismo che veniva, nel clima della guerra fredda, confuso e omologato al  PCI. Qualche giorno fa (domenica 28 giugno) «La Repubblica» per la penna di Marco Politi ha rievocato l'avvenimento:

«Scomunicati, privati della comunione, del matrimonio religioso, del funerale religioso: questa la sorte decretata da Pio XII per chi aderiva al Partito Comunista o gli dava appoggio politico o soltanto leggeva "libri, riviste, giornali che difendono la dottrina e l'azione comunista"».

Da notare che la Chiesa non aveva scomunicato, anni prima, il nazismo. Con il passare degli anni questa scomunica (passato il periodo della guerra fredda e l'opposizione governativa del PCI) cadde nel dimenticatoio, anche se ci pare che non sia mai stata abrogata.

Il nostro giornale nel luglio del 1949 intervenne sul decreto del Sant'Uffizio:

«Noi comunisti internazionalisti non possiamo che salutare con soddisfazione questo provvedimento  della Chiesa » scrivevamo all'epoca ma  precisando anche che la scomunica era:  «un  atto della lotta tra i due imperialismi a fianco dei quali da una parte si è messa la chiesa e dall'altra i partiti comunisti.»,

Ci sembra utile riproporre nella sua interezza quel nostro articolo del 1949.

 

 

Benvenuta la scomunica!

 

La scomunica comminata dal Sant'Uffizio ai comunisti ha avuto una eco piuttosto debole su tutta la stampa.

I giornali filogovernativi la hanno presentata come una inevitabile conseguenza dell'atteggiamento dei comunisti nei confronti della chiesa cattolica, particolarmente nei paesi soggetti  alla sfera di influenza russa, e come una naturale reazione alla dottrina «materialistica e anticristiana» del comunismo. Non si sono però addentrati in vistose polemiche, preoccupati piuttosto di riportare le affermazioni dell'organo ufficiale del Vaticano al fine di chiarire esattamente la grave portata del provvedimento a chi intendesse trovare scappatoie nelle pieghe della propria coscienza e nello stesso tempo di poter rimanere in quell'aura di liberalismo che rappresenta la più antistorica delle moderne finzioni.

I giornali degli scomunicati hanno cercato di far passare la cosa il più possibile sotto silenzio, anche essi ostentando una certa disinvoltura, peraltro satura di preoccupazione e informando ogni commento ad una sorta di passionale rimostranza verso la malvagità degli organi vaticani che, presi nel gioco del capitalismo occidentale, non hanno esitato a scomunicare un comunismo che diverge dagli intendimenti della chiesa soltanto dal punto di vista economico-politico e nient'affatto da quello ideologico-religioso. Una proclamazione di fedeltà ai principi cristiani e cattolici, in sostanza, e un piatire su questo preteso tradimento ordito dalla Chiesa.

Naturalmente scomunicati e scomunicatori si guardano bene dal porre la cosa nei suoi termini reali: né del resto potrebbero farlo. Essi peraltro offrono uno spettacolo interessante: perché la Chiesa da un lato mostra di accorgersi solo ora che il comunismo è «ateo e materialistico» e pertanto passibile di scomunica, mentre i cosiddetti comunisti sbalorditi, e a giusta ragione, di fronte a questi immeritati epiteti, si rifiutano di considerarsi fuori dalla santa madre chiesa e vanno a caccia di tutti i cavilli formali e pseudo filosofici per dimostrare il loro buon diritto a sfuggire al decreto del Sant'Uffizio.

Ma in verità, questo santissimo uffizio, ci poteva pensare anche un po' prima di distribuire il suo anatema: perché, anche se non vogliamo risalire  al Manifesto del 1848, certamente la prima «applicazione pratica» del 1917 in Russia poteva suggerire un provvedimento come quello attuale e se allora e neppure negli agitati anni successivi la Chiesa ritenne opportuno rintracciare gli estremi per la scomunica, almeno nel 1945 e all'epoca del governo tripartito poteva ben farlo.

Ma la realtà è che la Chiesa ha atteso il momento adatto e storicamente giusto per piazzare il suo colpo di grazia nella lotta secolare condotta a fianco della conservazione; essa ha agito in costante connessione con lo sviluppo di questa lotta ed ha adoperato l'arma della scomunica oggi che la contrapposizione tra i due capitalismi è giunta alla sua espressione più netta e lo sfruttamento del proletariato deve essere condotto al massimo limite con l'impiego di ogni mezzo.

Agire prima sarebbe stato controproducente per la Chiesa la quale, se avesse anzitempo attaccato a fondo i partiti comunisti che, in ubbidienza al gioco delle forze internazionali interessate allora alla mutua collaborazione, avevano legato al carro della conservazione le masse proletarie, avrebbe operato contro gli interessi vitali della borghesia tesa alla fortificazione delle sue indebolite posizioni.

E questo rinsaldamento delle forze conservatrici non poteva essere operato che attraverso la collaborazione delle classi raggiunta attraverso la solidarietà governativa dei partiti sedicenti proletari e la solidarietà economica degli organismi sindacali: questo irretimento  (irretimento del resto pienamente accettato e secondato dai partiti ubbidienti agli interessi non del proletariato ma dell'imperialismo orientale) permise quella piena ripresa della borghesia per la quale ben valeva che si tollerassero e anzi si sollecitassero i comunisti a dividere le responsabilità di governo e aziendali.

Ben è evidente che se il Vaticano avesse pensato di scomunicare i comunisti quando questi, nell'immediata post-liberazione, seguivano le processioni e promettevano ai loro elettori la ricostruzione delle Chiese affermando nei fatti e in dottrina la pacifica convivenza del comunismo e del cattolicesimo, avrebbe giocato un ruolo particolarmente negativo per la ricostruzione della patria e dei valori borghesi.

E che i comunisti ieri abbiano assecondato queste manovre e oggi si dolgano delle legnate che prendono affermando scandalizzati che la Chiesa ha abbandonato il terreno religioso ideologico per passar su quello politico compiendo così un'illecita ingerenza, questo è semplicemente la conseguenza dell'aver abbandonato il terreno di classe e del muoversi su un piano ideologico e di azione che trae origine e giustificazione soltanto dalla trasformazione che i partiti «comunisti» hanno subito legandosi agli interessi dell'imperialismo.

Se questi partiti fossero rimasti comunisti, anziché essere divenuti organismi burocratico-diplomatici alle dipendenze di uno Stato borghese, avrebbero continuato ad additare nella Chiesa uno degli strumenti più perfezionati della conservazione borghese ed un mezzo potentissimo di soffocamento delle aspirazioni proletarie. Perché il comunismo non può essere che antireligioso e materialista, e vedere in tutte le manifestazioni ideologiche un riflesso dei sottostanti fattori economici e dei rapporti di forza tra le classi. E la Chiesa non può sfuggire ad una analisi siffatta, non può essere considerata come entità di puro valore ideologico, che, a patto di abbandonare l'essenza stessa della concezione materialistica della storia che sta alla base del comunismo. E se si ha  fiducia in una giustizia divina, se si crede la volontà dell'uomo libero di determinare gli eventi e di plasmarli secondo un'astratta considerazione del bene e del male, tutto questo è già sufficiente per distruggere quella esatta visione del determinismo storico che pone i comunisti nella possibilità di valutare nel giusto significato ogni atteggiamento ideologico, religioso e culturale e di interpretarne la funzione di classe che in esso si nasconde.

Noi comunisti internazionalisti non possiamo che salutare con soddisfazione questo provvedimento  della Chiesa che, in ogni caso, segna un passo in avanti nella lotta fra le classi e rappresenta un elemento di chiarificazione che è venuto a dispetto degli stessi nazionalcomunisti interessati ad allontanare le masse che essi controllano dal terreno della lotta frontale e ad invischiarle nell'equivoco del progressismo e del compromesso con la borghesia per poter disporre di loro come manovra ai fini del fiancheggiamento di uno dei due blocchi imperialistici.

Per i nazionalcomunisti la scomunica rappresenta un doppio pericolo: quello di perdere una quantità considerevole di iscritti , ciò che è assai grave per un partito che fonda la sua forza soltanto sul numero dei suoi elettori; e quello, ancor più grave,  che i  propri aderenti possano prendere più facilmente coscienza della invalicabile scissura di classe e della ricomprensione  di tutti i valori nell'orbita di essa, ciò che costituisce appunto l'essenza di ogni divenire storico. Questo secondo pericolo può essere fatale per i nazionalcomunisti i quali vedono approssimarsi il momento in cui, col ritorno del proletariato ad una concezione classista e intransigente, saranno travolti sul piano nazionale e su quello internazionale dalle forze rivoluzionarie che li accomuneranno nella loro sorte ai partiti apertamente conservatori.

E' quindi naturale l'interesse dei nazionalcomunisti a minimizzare la portata della scomunica e a non scorgervi un segno dell'inasprimento del conflitto nei rapporti sociali e del rinculo dei partiti sedicenti proletari. Essi temono la ripresa rivoluzionaria del proletariato che distolgono con ogni mezzo dal considerare la necessità della lotta frontale con l' avversario.

Naturale è l'interesse nostro a chiarire la vera portata della scomunica come un  atto della lotta tra i due imperialismi a fianco dei quali da una parte si è messa la chiesa e dall'altra i partiti comunisti.

Contro gli uni e gli altri noi chiamiamo i proletari a combattere: perché la ripresa rivoluzionaria dovrà coincidere con lo smascheramento del compromesso, col riconsiderare fatti e avvenimenti nel loro giusto valore di classe; perché noi non paventiamo ma vogliamo con tutte le nostre forze la rivoluzione del proletariato.

 

Battaglia comunista, n. 29, 20 - 27 luglio 1949