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archivio > Archivio sulla sinistra>Due volantini sullo sciopero del 12 dicembre

aggiornato al: 14/12/2008

12 dicembre 2008

Proponiamo, senza commenti, due volantini apparsi in occasione dello sciopero generale del 12 dicembre indetto dalla CGIL. Sono due espressioni, certo diverse, dell'intervento di compagni legati all'area internazionalista che annovera anche altre forze (ad esempio: Il Partito Comunista Internazionale - il programma comunista, Il Partito Comunista Internazionale - il partito comunista, Il Partito Comunista Internazionale - il comunista) di cui non conosciamo la presa di posizione in questa occasione, che comunque, sicuramente, ci sarà stata.

 

 

Non è una crisi congiunturale

È difficile non vedere in questo sciopero generale la solita matrice politicantesca dovuta alle diatribe fra partiti, contro alcuni dei quali la CGIL si schiera. Sembra di rivivere le giornate del marzo del 2002 con lo sciopero e la manifestazione oceanica a difesa dell’articolo 18. Come fanno ormai dal 1945 i sindacati offrono i loro servigi per salvare "il sistema paese", assecondando in tutti i modi le leggi del mercato, l'aumento della produttività, la diminuzione della forza-lavoro occupata, e adesso manifestano per chiedere al governo di porre al centro della manovra finanziaria i temi dell’occupazione e degli investimenti per uscire dalla crisi. Ma il sistema economico è entrato in crisi proprio perché ha investito troppo, perché ha prodotto troppo e non trova più acquirenti per le sue merci. Le fabbriche automobilistiche stanno chiudendo perché producono troppe automobili, non perché ne producano poche. E la stessa cosa succede in tutti gli altri settori.

  L’assurdo è proprio questo: più si produce ricchezza più aumenta la miseria. Oggi, sette milioni di italiani hanno un reddito che permette di arrivare alla quarta settimana del mese solo sacrificando consumi normalmente essenziali; 37 milioni di americani sono al di sotto della soglia di povertà calcolata dal governo, cioè 10.700 dollari pro capite. Nel 1929, alla vigilia della Grande Depressione, la soglia di povertà corrispondeva a 9.100 dollari di oggi. Nel 2008 il governo americano considera "livello di povertà" quasi lo stesso reddito di un americano povero del 1920! E negli altri paesi occidentali "ricchi" non va meglio. Ed il peggio deve ancora venire.

Questa crisi somiglia molto alla crisi del 1929: il sistema in forte crescita aveva prodotto troppe merci e quindi troppo capitale da reinvestire. Troppa appropriazione privata di fronte all'esplodere della produzione sociale. E soprattutto salari troppo bassi. All'epoca il sistema capitalistico dovette darsi un assetto statale che permettesse un controllo centralizzato dell'economia. In America si chiamò New Deal, in Europa fascismo e stalinismo. Gli espedienti americani per superare la crisi furono di tre tipi: gli investimenti statali coperti dal debito pubblico; i crediti immobiliari, cioè i mutui ai privati; le carte di credito personali. Non bastò e ci volle la Seconda Guerra Mondiale per avviare un ciclo di distruzione e ricostruzione.

L'espediente americano di ieri è diventato sistema per tutti ovunque, dal livello dello Stato a quello del proletario semioccupato, dalla banca allo speculatore individuale. Per rivitalizzare un sistema che è esploso sull'esasperazione del meccanismo creditizio, non s'è trovato di meglio che iniettare una immensa quantità di denaro gratuito nel sistema finanziario stesso. E siccome la crisi è già dovuta al collasso del sistema produttivo dal quale proviene il valore reale, tutti i governi del mondo non stanno facendo altro che amplificare il potenziale di crisi provocato dall'eccesso di capitali, che rimarrà nella sfera finanziaria speculativa. Un'economia che conta quasi esclusivamente sul credito per mantenersi in vita è già praticamente morta. L'accesso al credito dovrebbe essere un'esigenza straordinaria in vista di un risultato (maggior produzione di valore o superamento di una difficoltà contingente), non la prassi normale. Quando lo diventa, vuol dire che il sistema sopravvive drogato e rischia perennemente un collasso mortale dovuto a overdose.

La direzione della CGIL è talmente succube del sistema concertativo, ha talmente paura di contrapporsi ai padroni, è talmente sulla difensiva, da non essere neppure più in grado di proporre le misure “anticrisi” classiche della sinistra borghese basate sull’incremento dei consumi proletari attraverso aumenti di salario generalizzato per tutta la classe. Così oggi i proletari sfilano nelle piazze per interessi altrui, come fiancheggiatori di un'ala specifica della borghesia contro l'altra.

Tuttavia, proprio perché il nostro avversario ci ha tolto la nostra organizzazione di lotta immediata, si fa più acuta e impellente l'esigenza di lavorare per riaverla. Ma rifiutiamo di farlo istituendo finte alternative con insulsi sindacatini fotocopia: nella tradizione comunista si è sempre agito secondo il principio di un fronte sindacale di classe, mai per la suddivisione delle forze in mille rivoli ideologici o feudal-corporativi.

n+1 Rivista sul "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente".

Riprodotto in proprio 11 dic. 2008. Suppl. al n. 24, reg. trib. Torino n. 5401/2000. Indirizzo internet: http://www.quinterna.org, e-mail: n+1@quinterna.org

Torino, via Massena 50/a, sede aperta ogni venerdì dalle 21.

Roma, via degli Olivi 57, sede aperta ogni martedì dalle 21.

 

 

 

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 CO N T R O    I L    N E M I C O    I N T E R N O

 

Di fronte a questa formidabile crisi e alla tragedia del capitalismo mondiale sull’orlo di un baratro senza fondo, l’Italietta si conferma come patria della commedia politica anche in tempi di “profondo allarme ed emergenza” come questi. Sulla sua consumata scena recitano sempre i soliti “onorevoli” personaggi da avanspettacolo, solo che il problema stavolta è capitale, e non ci sono iniezioni di ottimismo e fiducia o salvifiche ricette alla Obama che tengano: come affrontare allora la crisi e, soprattutto, come tener buona ancora una volta la classe operaia, già bastonata a dovere da decenni e ora destinata alla disoccupazione e alla miseria crescenti?

Il maggiore sindacato italiano ci prova alla sua maniera con l’ennesima farsa di uno sciopero generale indetto con le consuete modalità disfattiste non di certo per far danno al padronato o per dimostrare di difendere gli interessi esclusivi dei lavoratori, ma per segnalarsi nuovamente a Confindustria e Governo sia come valido interlocutore per il tentato tamponamento delle gravi ricadute economiche e sociali causate dalla crisi, sia come pompiere-capo pronto a gettare ondate d’acqua sul futuro fuoco montante del malumore e della protesta sociale. Ecco che allora lo sciopero in mano alla CGIL, come d’altronde a tutti i sindacati a sua immagine e somiglianza, si trasforma da arma di lotta di classe per ottenere un risultato favorevole ai proletari, a strumento di pressione per promuovere una politica economica nazionale contro un’altra. In quest’ottica, l’opposizione sindacale della “combattiva” confederazione capeggiata da Epifani, rimasta orfana delle sorelle minori CISL e UIL nuovamente svendutesi al Cavaliere, e politicamente ispirata dal PD del dialogante e destro Veltroni, rientra nell’abituale gioco delle parti politiche e sindacali funzionali alla difesa del capitalismo italiano sempre più vulnerabile ai colpi della recessione.

Il “Piano anticrisi” presentato dalla CGIL ad inizio novembre e che questo sciopero generale si propone di sponsorizzare, vuole infatti essere alternativo all’“insufficiente Pacchetto anticrisi” messo in atto dal governo Berlusconi, ma non esclude l’eventualità sempre più concreta che proprio per il peggiorare continuo della situazione “serva un accordo di tutti per uscire dalla crisi”. In parole povere, un accordo complessivo sulla pelle dei proletari e per il Bene del Paese di tutte le forze politiche e sindacali che difendono gli interessi e i profitti della borghesia italiana e che, a fronte di una crisi mai vista, consenta di spremere proprio fino all’osso tutti i salariati, facendone così peggiorare ancora di più le già precarie ed incerte condizioni di vita e di lavoro.

Proletari!

Chi adesso vi chiede di correre ancora in soccorso di questo capitalismo senza fiato, illudendovi che possiate trarre beneficio materiale da “piani anticrisi” predisposti esclusivamente per cercare di salvare i profitti delle aziende e delle banche e la malconcia competitività internazionale dell’economia italiana, vuole farvi pagare ancora e fino in fondo l’ennesima gigantesca crisi attuale.

Solo negli ultimi vent’anni, questi opportunisti mascherati da paladini dei deboli, con in testa una CGIL che ha spesso mostrato i denti del sindacato “duro e puro” unicamente per ingannare e fiaccare meglio gli operai più combattivi, alla fine hanno sempre sottoscritto con padroni e governi, destri o sinistri in carica, ogni sorta di peggioramento salariale, lavorativo e dello stato sociale. Il valido contributo al sistema del profitto dei bonzi di questi sindacati di regime, vere e proprie appendici del Ministero del Lavoro, non a caso con il proprio fedele personale infiltrato o eletto in tutte le istituzioni democratiche, non ha pesato di certo poco nella guerra che il capitale sta vincendo pesantemente contro il lavoro salariato. Una lotta che è di classe, che in questa società del mercato è inestinguibile, e che conta per ora solamente vittime a senso unico, facenti parte di una classe operaia sempre più sottopagata, precarizzata e massacrata. Non sorprendono così i seguenti dati di fatto: che dagli anni novanta ad oggi l’8% del PIL italiano sia passato dai salari ai profitti, che la “scarsa” produttività (sfruttamento!) dei lavoratori italiani sia maggiore del 12% rispetto a quella degli “efficienti” operai tedeschi, che in Italia i precari (interinali, apprendisti, stagionali e in nero) siano ben 5,8 milioni e che siano ancora 1300 i proletari assassinati ogni anno.

Proletari!

Dietro la cortina fumogena attraverso cui l’ideologia dominante borghese dispensa vanamente ottimismo, fiducia e rassicurazioni, si fa strada l’ammissione degli stessi esperti economici al servizio del capitale che “la crisi sarà più pesante del previsto”, ed intanto gli effetti reali della recessione conclamata si evidenziano nel dilagare della cassa integrazione, nelle diffuse chiusure di medie e piccole imprese, nella caduta vertiginosa della produzione industriale e dei consumi di aziende e famiglie.

Di fronte a questa situazione noi lavoratori abbiamo due alternative: o accettare ancora di subire sulla nostra pelle gli effetti della crisi e della conseguente ristrutturazione, che sarà durissima e profonda e ci costringerà comunque ad abbassare sempre più la testa, consentendo per l’ennesima volta al capitale, ai padroni e a tutti i suoi alleati politici e sindacali di uscire da questa situazione ancora più rafforzati e sicuri del loro dominio economico a cui hanno fatto sempre subordinare gli interessi operai. Oppure possiamo cominciare a rialzare la testa, a partire dai problemi reali che la crisi ci metterà sotto gli occhi, mettendo al centro delle nostre azioni e rivendicazioni i nostri esclusivi interessi di classe.

I banchieri e i padroni, e tutte quelle mezze classi che in questi lunghi anni si sono arricchite sulle spalle di noi salariati, non patiranno certamente la crisi come chi perderà il posto di lavoro e quindi il salario, o come chi deve sopravvivere con l’elemosina della cassa integrazione. Non è assolutamente vero che abbiamo interessi comuni: i loro interessi sono quelli di superare le attuali difficoltà per ritornare a sfruttarci e a rapinarci come prima. Noi proletari abbiamo tutto l’interesse a cambiare radicalmente lo stato di cose presente, partendo innanzitutto dalla possibilità di vivere in modo meno precario ed incerto la nostra vita e il nostro lavoro. Questo significa, non solo rivendicare con forza obbiettivi economici e salariali che vadano molto al di là di quello che governo e padroni ci impongono col benestare di questi sindacati, ma anche porsi nella prospettiva che, se li si lascia fare, tutto rimarrà come prima ed il nostro sacrificio e le nostre sofferenze non serviranno che a perpetuare un sistema che periodicamente ci affama e ci condanna all’insicurezza. 

L’unico mezzo per trasformarsi da alleato sfruttato della propria borghesia a nemico interno dello Stato democratico che salvaguarda gli interessi del capitalismo nazionale, è organizzarsi per una lotta veramente di classe, che rimetta al centro delle nostre rivendicazioni la lotta per il salario, per forti aumenti salariali, e che incominci a porsi il problema politico del potere e del superamento di questa società mercantile, che dietro la maschera dell’universalità interclassista e dell’”uguaglianza di tutti i cittadini”, nasconde il più mostruoso apparato di sfruttamento sociale, umano ed ambientale.

 

Partito Comunista Internazionale sede: via Porta di Sotto n. 43, Schio (Vi)

aperta il sabato dalle ore 16 alle 19

E-mail: sinistracomunistaint@libero.it - Sito internet: www.sinistracomunistainternazionale.it 

Fotocopiato in proprio 12/12/2008