Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>Questioni storiche dell'Internazionale Comunista, III, (il programma comunista, n. 5, marzo 1954)

aggiornato al: 24/11/2008

il programma comunista, n. 5, 5 - 19 marzo 1954

Presentiamo oggi la terza parte della serie  Questioni storiche dell'Internazionale Comunista che apparve nel 1954 e di cui abbiamo già riproposto i primi due articoli.

 

Questioni storiche dell'Internazionale Comunista

 

III

 

Le massime esplosioni sociali del primo dopoguerra in Europa si verificarono – a parte naturalmente in Russia sovietica – in Italia e in Germania, Stati che rappresentavano gli anelli più deboli dello schieramento borghese. Qui, il movimento comunista registrò al suo attivo il raggiungimento di tappe di grande importanza segnatamente per l'opera della Sinistra Comunista Italiana che andò immune dalle evidenti tare teoriche che inficiarono il lavoro dottrinario e l'azione politica del comunismo in Germania.

Partiti comunisti aderenti alla Terza Internazionale sorsero nel 1920, sulla base delle 21 condizioni di ammissione votate al Secondo Congresso dell'I.C., in Francia ed in Inghilterra, per rimanere nel campo delle  grandi Potenze capitalistiche. Ma la loro azione politica si esaurì col tempo in una consuetudinaria prassi di agitazione e di propaganda che doveva afflosciarsi addirittura, a processo involutivo compiuto, nel politicantismo parlamentare del Fronte Popolare. Solo a distanza di due decenni, il conformismo politico doveva cedere il posto - in Francia - all'esperimento di azioni di guerra civile, non però volte verso obiettivi rivoluzionari, ma sibbene rispondenti alle ferree esigenze della guerra imperialista e della scoperta involuzione borghese dello Stato di Mosca. Nelle isole britanniche, il partito comunista che pure era affondato in pieno nel bellicismo, non doveva fare, per ovvie ragioni, l'esperienza della guerriglia partigiana imperialistica. Così, al momento dello scioglimento di ufficio della Terza Internazionale (15 maggio 1943) la storia della rivoluzione proletaria era ferma in Francia al periodo marzo-maggio 1871, epoca della Comune di Parigi; e in Inghilterra addirittura al biennio 1838-40, in cui si situò il movimento dei cartisti. Ma nella storia della guerra imperialista avvenivano radicali mutamenti dei rapporti di forza: i massimi puntelli dell'imperialismo che erano usciti indenni dall'incendio rivoluzionario che aveva lambito l'Europa, non sfuggivano alle leggi della accumulazione e concentrazione del capitale che dovevano causare lo spostamento del centro mondiale imperialistico a Washington.

In Germania, la rivoluzione proletaria scaturì direttamente dalla guerra o meglio dal disfacimento statale e sociale provocato dalla sconfitta militare e dalla caduta della monarchia degli Hohenzollern. Sfruttamento delle condizioni di caos tramandate dalla guerra e lotta a morte contro il governo socialdemocratico Ebert-Scheidemann, rimasto a tentare l'estrema difesa del capitalismo tedesco, furono i due tratti fondamentali che la rivoluzione della Lega di Spartaco ebbe in comune con la battaglia vittoriosa del bolscevismo. Ma il parallellismo non andò oltre questo ristretto campo, e ciò non solo in riguardo al diverso corso storico che in Germania aveva oltrepassato di molto l'avvento del capitalismo e la formazione di forti tradizioni opportunistiche, ma soprattutto in riguardo al deficiente sviluppo teorico del comunismo tedesco. Il proletariato rivoluzionario, cadendo gloriosamente sulle barricate di Berlino, nelle sanguinose giornate del gennaio 1919, perdeva la battaglia non solo per la preponderanza degli sgherri del socialdemocratico Noske, ministro degli interni della repubblica borghese, ma per l'intima debolezza del movimento rivoluzionario, che, nonostante la guida di capi di primo ordine quali furono Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, non aveva saputo elaborare una esatta piattaforma teorica e programmatica. Nel movimento rivoluzionario, tale è l'unità tra teoria e pratica che gli errori nel campo dottrinario si pagano col sangue e la sconfitta sul terreno della dichiarata guerra di classe. Dove il filisteo o il fanatico dell'attivismo crede di vedere vane accademie o bizantinismi di sette marxistiche, lì si difende invece la carne e il sangue delle future formazioni di combattenti rivoluzionari.

Gli errori dottrinali di Rosa Luxemburg non erano di quelli marginali che non intaccano la sostanza vitale del marxismo. Negli anni precedenti e durante la guerra mondiale, le sue posizioni incerte sui fondamentali problemi della interpretazione del corso storico dell'imperialismo e sulla teoria della questione nazionale avevano costretto Lenin ad ingaggiare una polemica serrata e non sempre castigata, che non si arrestò neanche davanti al formidabile argomento della Rivoluzione d'Ottobre. L'instaurazione della dittatura sovietica in Russia non ebbe effetto sui gravi smarrimenti della Luxemburg nel campo del programma e della tattica rivoluzionaria. E' nota la sua opposizione al principio della dittatura del proletariato, nella accezione bolscevica e marxista. La assunzione e l'esercizio totalitario del potere politico da parte del partito bolscevico la trovò dissenziente, così come lo era stata negli anni della guerra e ancora prima nelle discussioni di corrente con Lenin. Sarebbe interessante mostrare come le posizioni programmatiche della Luxemburg collimassero con la sua concezione del corso storico capitalistico, ma al nostro compito non compete.

Le conseguenze che derivavano potrebbero essere espresse meglio dalle teorie della Luxemburg non che dal programma da lei formulato che fu accettato dal Congresso della Lega di Spartaco, riunito a Berlino il 30 dicembre 1918. Ragioni di spazio vietano di citarne larghi estratti ma sarà sufficiente trascriverne i passi seguenti:

«La Lega di Spartaco non assumerà le redini del governo se non per la chiara, indubbia volontà della grande maggioranza delle masse proletarie tedesche e con il cosciente consenso di esse alle opinioni, ai fini e ai metodi di lotta della Lega di Spartaco.

La rivoluzione proletaria può solo gradualmente, passo per passo, attraverso il golgota delle proprie amare esperienze, attraverso sconfitte e vittorie, giungere alla piena chiarezza e maturità. La vittoria della Lega di Spartaco non sta al principio ma alla fine della rivoluzione. Essa si identifica con la vittoria delle grandi masse dei milioni di proletari socialisti».

Come si vede il programma della Luxemburg e degli altri capi del partito Comunista di Germania era chiaramente diretto a fronteggiare l'ondata prorompente dell'estremismo istintivo regnante negli iscritti ma oltrepassava lo scopo, trascurando, anzi rifiutando, di riconoscere al partito di classe le funzioni di organo indispensabile della guerra di classe e della dittatura  rivoluzionaria. La conquista del potere politico non può essere, senza dubbio, opera del solo partito, ma presuppone il distacco di larghe masse dai partiti opportunisti in periodo di grave decadimento dell'impalcatura statale borghese. Ma è proprio la conquista del potere che determina il definitivo spostamento della grande maggioranza delle masse verso il partito rivoluzionario. Ad esempio, all'epoca del Secondo Congresso dei Soviet, tenuto il 28 ottobre 1917, i bolscevichi detenevano la stentata maggioranza del 51 per cento dei mandati; bisogna arrivare al quinto Congresso, tenuto il 4 luglio 1918, cioè sette mesi dopo la conquista del potere perché la maggioranza salisse al 66 per cento. E' chiaro dunque che contrariamente a quanto sosteneva la Luxemburg, per la Lega di Spartaco, la vittoria del bolscevismo in Russia segna l'inizio non la fine della Rivoluzione.

L'errore capitale dello Spartachismo che doveva condurlo alla catastrofe consistette nella falsa concezione dei rapporti tra partito e classe, nella incapacità di comprendere che la «coscienza» della classe è condizionata dall'azione del partito rivoluzionario. Il partito rivoluzionario trova la sua guida solo nella teoria, che non è scienza infusa ma «bilancio della esperienza»  delle lotte secolari della classe: agendo trascina seco le masse, e le rende consapevoli dei loro interessi fondamentali di classe. Chi ha compreso ciò, chi intende in tale senso l'interpretazione marxista del capovolgimento della praxis, coerentemente accetta il principio dell'indispensabilità del partito di classe centralizzato e la posizione programmatica della dittatura rivoluzionaria. Ogni altra diversa concezione dei rapporti tra classe e partito non può condurre che alle deviazioni democraticoidi dell'operaismo per cui la elaborazione della teoria rivoluzionaria e le decisioni di azione diventa, grazie ad ipotesi intellettualistiche che non trovano conferma nella realtà, capacità di ogni individuo che socialmente fa parte della classe dei lavoratori.. Al contrario le orge elettorali stanno lì a provare che se consultata democraticamente la massa propende sempre per soluzioni contrarie ai propri interessi di classe. Una «democrazia operaia», cioè una forma di governo democratica senza la borghesia, cha dai rivoluzionari anti-dittatoriali viene non da oggi invocata, non cambierebbe i risultati.

Da ciò non si deve dedurre che pensiamo che un diverso orientamento teorico dei capi dello spartachismo, i quali furono specialmente nella persona di  Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht teorici geniali e combattenti eroici del comunismo degni dell'imperitura memoria del proletariato, avrebbe avuto l'effetto nelle cupe giornate del gennaio 1919 di permettere la conquista del potere al proletariato. Ma certamente una concezione meno operaistica della dirigenza del partito e dei rapporti tra il partito rivoluzionario e gli schieramenti politici equivoci che parvero volere attaccare risolutamente il governo Ebert-Scheidemann ma poi lasciarono praticamente soli gli spartachisti a fronteggiare la scatenata feroce controrivoluzione militare, avrebbe attenuato le proporzioni del disastro e impedito il brutale assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht.

 

Il comunismo in Italia nacque adulto

Il breve, troppo conciso, richiamo alle vicende dello spartachismo di Germania non lo si deve considerare una inutile digressione, come non lo è stata, nella prima puntata,  la individuazione dell'inconciliabile contrasto tra marxismo e sindacalismo rivoluzionario di tinta soreliana.  Troppi cretinoidi o avventurieri della politica sono interessati a spacciare la moneta falsa dell' «infantilismo»  della Sinistra Comunista Italiana, del conflitto insanabile tra questa e il bolscevismo, tra Bordiga e Lenin. Ora è vero proprio il contrario. E' vero, fra tante balle e diffamazioni, un solo dato di fatto, e cioè che di tutti i partiti e correnti comunisti aderenti alla Terza Internazionale, quelli che contarono minori contrasti furono proprio il partito comunista di Russia  e il partito comunista d'Italia. Non basta. Almeno fino alla morte di Lenin, le divergenze di vedute registrate nei rapporti tra il «leninismo» e il «bordighismo» puntarono esclusivamente su questioni tattiche.

Sul terreno teorico e programmatico la fusione dei comunisti di Russia e d'Italia, che veramente ne faceva sezioni indissolubili del partito internazionale della rivoluzione, è fatto storico inoppugnabile che risulta dal processo di formazione del partito comunista in Italia. Dal congresso di Bologna del P.S.I. (ottobre 1919) e ancora prima, dalla pubblicazione sull' «Avanti» nell'inverno 1914-15 degli articoli di Amadeo Bordiga sulle fondamentali questioni sollevate dalla guerra imperialista e dal disfacimento della Seconda Internazionale, per quanto sforzi possano fare i falsificatori di professione, in nulla l'elaborazione teorica e la lotta politica della Frazione Comunista Astensionista, si diversificò – fatte le dovute distinzioni delle differenti fasi storiche locali – dall'evoluzione del partito comunista bolscevico.. Ma non deve ritenersi che il comunismo in Italia abbia seguito pedissequamente lo sviluppo del bolscevismo russo. I due movimenti ebbero un corso parallelo ed il loro incontro nelle file della Terza Internazionale ne sanzionò la perfetta sostanziale unità teorica e «programmatica». La Sinistra italiana contribuì decisivamente, l'abbiamo visto, alla stesura delle 21 condizioni di ammissione, che non fu atto di ordine organizzativo, ma una svolta politica nel cammino della Rivoluzione, operata senza lotte. Il principio stesso della fondazione della Terza Internazionale aveva suscitato profondi contrasti nel campo rivoluzionario. E' noto che Rosa Luxemburg era contraria alla costituzione della nuova associazione internazionale. Ma gli avvenimenti dovevano confutare i suoi argomenti. Fondata nel marzo 1919, la Terza Internazionale riunì al suo congresso di costituzione piccoli gruppi rivoluzionari: un anno dopo, al secondo congresso, la maggioranza del proletariato socialista europeo ne era l'entusiasta sostenitore.

La Frazione Comunista Astensionista fu immune fin dal suo sorgere nel seno del vecchio P.S.I. dalle «malattie infantili» che colpirono le principali correnti di pensiero politico che diedero vita ai partiti comunisti aderenti alla Terza Internazionale. Fin dalle origini il comunismo marxista italiano, se non ebbe alcuna esitazione teorica, ma sostenne intransigentemente, di fronte all'opportunismo, il principio del partito di classe e la sua organizzazione centralizzata in quanto strumento della conquista del potere e dello esercizio della dittatura rivoluzionaria. La curiosa ricorrente accusa che, da parte stalinista e antistalinista, si muove alla Sinistra Italiana e, in genere al «bordighismo», è di tenere in conto esagerato il lavoro teorico e di essere inetto all'azione. Orbene, negli anni 1919-20, la condizione indispensabile dell'azione rivoluzionaria era data dalla formazione di saldi partiti comunisti a fermo programma dittatoriale. Ebbene, tra tutte le correnti marxiste soltanto la Sinistra Italiana puntò risolutamente sulla costituzione del partito di classe mentre altre formazioni si baloccavano con elucubrazioni intellettualistiche, che inceppavano lo sviluppo della nuova internazionale rivoluzionaria. Cosa che i detrattori non ricordano mai è che a fare «meno teoria» fu proprio la sinistra italiana non perché incapace ma per il semplice fatto che fin dalle sue origini afferrò in blocco e interpretò senza deviazioni ed esitazioni la teoria marxista. la successiva miseranda fine di coloro che passano a confutatori del «bordighismo» sta a provare quanto siano state valide le loro invenzioni dottrinarie di 30 anni fa.

Il comunismo in Italia nacque adulto. Non attraversò le crisi infantili cui andarono soggetti, l'abbiamo visto, i reduci del sindacalismo rivoluzionario in Francia, gli spartachisti in Germania, i tribunisti in Olanda e, dulcis in fundo, gli ordinovisti in Italia. Se ben si legge, il tanto famoso testo di Lenin su «L' estremismo malattia infantile del comunismo», ci si avvede che il «morbo»  contro cui maggiormente si accanisce il medico Lenin è proprio la insufficiente concezione del ruolo del partito di classe comune a tutti quanti i movimenti che abbiamo nominato. La cosa divenne chiara allorché si trattò per questo di passare all'azione. Allora scomparvero senza lasciare traccia oppure – è il caso dell'ordinovismo – caddero nel pantano del bloccardismo antifascista passando al servizio della controrivoluzione stalinista. La Sinistra Italiana rimasta fedele alle sue origini  non ha dovuto mutare, né nel complesso né nei dettagli, il corpo della dottrina e delle norme tattiche elaborato fin dal 1914. Le future lotte rivoluzionarie, la nuova associazione internazionale comunista, la conquista del potere e la instaurazione della dittatura del proletariato, non potranno diventare viva materia di storia che a condizione di richiamarsi ai principii fissati nei testi fondamentali della Sinistra Italiana, del nostro movimento comunista internazionalista. Le «Tesi della Sinistra», «Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe», «Proprietà e capitale», la battaglia di restaurazione teorica dei «Fili del tempo» non sono fatica letteraria, sono tappe della Rivoluzione.

Le sorti del conflitto sorto all'interno del partito Comunista d'Italia non furono decise,  contrariamente a quanto afferma il togliattismo, dal sopravvento dell'ordinovismo gramsciano. La ideologia ordinovista,  cui i togliattiani pretendono di richiamare le origini del comunismo in Italia, non ebbe mai partita vinta, in sede teorica ed organizzativa, su ciò che si pretende di chiamare «bordighismo» e che invece fu e resta l'interpretazione autentica rivoluzionaria del marxismo operata con duro lavoro dalla Sinistra Comunista Italiana. L'ordinovismo, dal 1919 al 1923, anno in cui, con la complicità del potere statale di Mosca, già incombente sinistramente sulla terza Internazionale, si impossessò con prassi burocratica delle redini del partito, non seppe fare altro che accordarsi alla Sinistra, mai osando rivelare divergenze di principio.

In realtà, la Sinistra Italiana perse la sua battaglia non contro l'ordinovismo resuscitato da morte di Gramsci e Togliatti, che non ebbe mai cittadinanza nel partito, ma sibbene contro la forza bruta dello Stato di Mosca , passato al servizio del capitalismo avanzante in Russia.

La descrizione della lotta della Sinistra contro le aberrazioni di Mosca e i tirapiedi ordinovisti dello stalinismo trionfante merita successiva puntata.

 

il programma comunista, n. 5, 5 - 19 marzo 1954