inedito
Il comunismo rivoluzionario di Amadeo Bordiga
(II parte)
Ogni sezione nazionale del Comintern, omogenea nella sua composizione [17] e disciplinata nei suoi ranghi, aveva il compito di preparare la rivoluzione nel proprio paese in stretto contatto con lo stato maggiore internazionale. Con quali criteri? Cominciando a «diminuire l'attività legale [elettorale] per iniziare quella illegale» [18]. Potrebbe essere questa una concessione al volontarismo che permea, a volte inconsapevolmente, le coscienze degli uomini delle prime decadi del XX secolo. Ma egli si trincera sempre dietro la formula del «determinismo» per sfuggire ad ogni accusa di volontarismo, precisando che «preparare» non significa «fare» e che la rivoluzione si compie solo quando i rapporti di forza sono favorevoli al proletariato [19]:
La concezione comunista e il determinismo economico non fanno affatto dei comunisti gli spettatori passivi del divenire storico, ma anzi ne fanno degli infaticabili lottatori; la lotta e l'azione diverrebbero più inefficaci se si distaccassero dalle risultanze della dottrina e dell'esperienza critica comunista [20].
Sull'argomento dei rapporti di forza, egli non ritenne mai che nel «biennio rosso» 1919-20 questi fossero favorevoli ad una vittoria del proletariato [21].
Quali saranno le linee della società e dello stato scaturiti dalla insurrezione armata vittoriosa? Il proletariato imporrà in un primo momento la sua dittatura fino a quando, con la creazione della società degli eguali di fatto, verranno meno le funzioni repressive rimanendo in piedi solo le funzioni organizzative della produzione e della distribuzione:
Prima il proletariato insorge e con la violenza abbatte il governo borghese sostituendovi il sistema politico proletario, lo stato dei Soviet, fondato sull'esclusione dei borghesi dal diritto politico. Quindi, in un processo evolutivo accelerato lo stato proletario espropria i capitali privati accentrandoli nelle sue mano ed amministra la produzione a mezzo dei suoi ordini costitutivi. Durante questo processo evolutivo, che durerà anni ed anni, vi sono ancora borghesi che sfruttano, ma si va eliminandoli ed assorbendoli nel proletariato. Potenzialmente essi sono eliminati fin dal primo momento col privarli di ogni diritto politico. Ciò è la dittatura del proletariato.
Si tende così all'abolizione delle classi e del potere politico esecutivo di una classe contro l'altra, ma non all'abolizione dell'amministrazione economica centrale, caratteristica che definisce il regime comunista contro quello dell'economia privata [22].
Quale sarà il rapporto tra direzione del partito e militanti? «Centralismo democratico» o «centralismo organico»? A Lione nel gennaio 1926, quando si scontrarono bordighiani e gramsciani per il controllo del partito, vi furono lunghe ed estenuanti discussioni sul problema se il partito dovesse essere concepito come «avanguardia», «organo» o «parte» del proletariato. Per Gramsci ed i suoi seguaci il partito era «avanguardia»; per Bordiga il partito doveva essere considerato «organo». Per l'uno la dizione esatta del rapporto tra partito e militanti era «centralismo democratico»; per l'altro, che quando sentiva parlare di «democrazia» o «democratico», provava un ribollimento viscerale, la dizione esatta era «centralismo organico» [23]. Comunque fosse considerato, il dilemma era se il referente fosse il proletariato o le «masse». Ora se vi è un termine per il quale Bordiga ha provato una repulsione altrettanto forte ed istintiva quanto la parola «democrazia», questo è stato il termine «massa». La sua posizione si riassume in poche e incisive annotazioni di Bordiga vecchio, ove si cela anche la sua avversione alla nozione togliattiana di «partito di massa»:
Quando noi, a riformismo che credevamo per sempre debellato, udimmo levare a chiave delle questioni di tattica del partito di classe questa specie di consultazione della coscienza e volontà delle grandi masse, avemmo ragione di sentire, venti anni dopo, a Mosca, odore di bruciaticcio! Chi ci disse che questo era leninismo non poté ingannarci, perché Lenin aveva imparato da Marx e insegnato a noi, giovani allora, che la coscienza e la volontà sono del partito e non delle masse, e nemmeno della classe proletaria, prima che il partito l'abbia resa capace non solo di forza fisica, ma di potenza rivoluzionaria [24].
Si è presentata in sintesi la concezione rivoluzionaria che Bordiga aveva del comunismo. Ma esiste il problema: questo modo così singolare in Italia - e forse anche nel mondo - di pensare il comunismo in quali radici affonda? I gramsciani non ebbero esitazione a indicarle in quell'ambiente tra comico e tragico (tragico per le conseguenze che ne pagarono i proletari napoletani), che era il socialismo napoletano di fine Ottocento e di primo Novecento. Da questo punto di vista Bordiga fu l'antitesi di quell'ambiente fatto di personaggi in affannosa ricerca di posti di ogni genere, pronti a sacrificare ogni principio pur di appagare l'aspirazione personale ad arrivare [25].
Che la frequentazione di tale ambiente suscitasse reazioni negative in chiunque fosse dotato di una pur minima tempra morale è provato dall'esperienza che ne fece Benedetto Croce all'inizio dell'intervento italiano nel primo conflitto mondiale [26].
Colpisce ancora di più la radicata e radicale avversione alla democrazia, che costituisce un fattore di isolamento dello stesso Bordiga all'interno del socialismo italiano del primo Novecento [27], largamente compromesso con la massoneria. Tale avversione non gli veniva certamente dall'ambiente familiare, perché il nonno materno, Michele Amadei, non era stato soltanto un credente, ma un combattente per l'unità italiana [28]; né tanto meno tale avversione poteva essergli stata ispirata dal ramo paterno della sua famiglia, perché il padre Oreste [29], lo zio Giovannino [30] e la zia Erminia [31], provenivano da agiata famiglia piemontese, che non aveva combattuto, ma aveva creduto nella unificazione italiana, portandovi il contributo non di sangue, ma di laboriosità e serietà negli studi. L'osservanza sabauda e patriottica del padre Oreste e dello zio Giovannino è documentata anche dalla loro iniziazione alla massoneria [32].
Se l'antidemocrazia di Bordiga non germina da un supposto terreno fertile familiare, trova di certo un vigoroso impulso da una reazione contro il positivismo, che accomunava uomini di diversa collocazione politica, ma di livello intellettuale non mediocre. Tra fine Ottocento e primo Novecento il positivismo si manifestava in una triplice proiezione politico-culturale: democrazia, massonismo, razzismo. L'antropologia criminale di Cesare Lombroso, di Alfredo Niceforo, Salvatore Ottolenghi, Giuseppe Sergi è la summa di tale filosofia positivistica. E se su questa scuola Benedetto Croce, moderato anche nelle definizioni, non poté esimersi da qualche battuta sarcastica e ne riassunse la sostanza come «teoria dei misuratori di cranî» [33]; Bordiga, che negli appellativi era molto più drastico, nella sua polemica contro «la metafisica positivista» e la «scienza» del suo tempo, non esitò a classificare Salvatore Ottolenghi entro la griglia dell'«antropologia scientifica dei professori-poliziotti» [34].
La sua repulsione per la nozione di «massa» aveva le stesse radici, perché tra i cultori della demopsicologia si contavano moltissimi antropologi criminali. La coesistenza del demopsicologo con l'antropologo, così come veniva inteso a quel tempo, si realizza nella mite figura del medico cosentino Pasquale Rossi (1967-1905), anticlericale, massone, socialista riformista, amico di Enrico Ferri e maestro di Michelino Bianchi, studioso di Gustavo Le Bon e dei meneurs di folle, nonché fondatore dell' «Archivio di psicologia collettiva» [35]. Arma a doppio taglio questa demopsicologia, fondata da studiosi francesi di area conservatrice per screditare la storia uscita dalla Rivoluzione francese [36], coltivata da alcuni socialisti per sottrarre il «povero» all'influenza clericale con l'uso delle stesse tecniche, approfondita dai grandi dittatori del XX secolo, tipo Mussolini ed Hitler, animati dalla convinzione della «massa», come «folla» di sesso femminile, bisognosa di essere domata e trascinata verso un unico obiettivo dal «capo», dal grande uomo, non rappresentazione della forza del pensiero, ma incarnazione della «vocazione della razza» e della tensione fallica verso la volontà di dominio [37].
Da questo punto di vista egli fu troppo rispettoso della vita degli altri [38], per pensare ad una loro «massificazione», così come stavano facendo le democrazie dell'Europa Occidentale, nel momento stesso in cui scatenavano uno dei più gratuiti massacri del secolo che ora volge al declino, e così come faranno vent'anni dopo i fascismi e i nazismi della stessa Europa, nati da quella guerra che avrebbe dovuto avere come esito il trionfo della democrazia nel mondo e sfociò invece nelle spietate dittature di «massa»:
Il lavoratore, fatto soldato, sottratto alla vicinanza di amici, parenti, conoscenti, tolto alla vita dell'officina, vede soppresso il suo diritto a discutere, mozzato il proprio individuo, annullata la sua libertà, si trasforma fatalmente in un automa, in un balocco nelle mani della disciplina [39].
e ancora:
Noi siamo fautori della violenza. Siamo ammiratori della violenza cosciente di chi insorge contro l'oppressione del più forte e della violenza anonima della massa che si rivolta per la libertà. Vogliamo lo sforzo che rompe le catene. Ma la violenza legale, ufficiale, disciplinata all'arbitrio di un'autorità, l'assassinio collettivo irragionevole che compiono le file di soldatini automaticamente all'echeggiare di un breve comando, quando dalla parte opposta vengono incontro le altre masse di vittime e di assassini vestiti di un'altra casacca, questa violenza che i lupi e le iene non hanno, ci fa schifo e ribrezzo [40].
Durante tutta la sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Formia il 23 luglio 1970, Bordiga proclamò a voce alta la sua professione di fede marxistica. Nella lotta di Marx contro bakuninisti, mazziniani, proudhoniani egli identificò la sua lotta contro bloccardi, riformisti, operaisti, sindacalisti rivoluzionari, massimalisti, staliniani, gramsciani, nenniani e togliattiani. E' fuor di dubbio che le fustigate ai suoi avversari furono fatte sempre in nome di Marx e con una conoscenza dei testi marxiani di gran lunga più approfondita o meno superficiale rispetto ai suoi avversari. Ma come arrivò a Marx e come in alcuni casi ne uscì? Se è consentito citare se stessi, possiamo ripetere che «a ben riflettere egli fu portato al comunismo da una forte carica di umanitarismo, che celò o tentò di celare sotto una scorza di durezza, che fu sempre più formale che sostanziale». Il comunismo per lui fu il recupero di una felicità edenica, di una liberazione dell'uomo dal dolore del superlavoro in una visione della società futura fondata sulla fratellanza e sulla concordia [41]. Se giunse a Marx partendo da questi presupposti, non sempre ritornò a Marx, soprattutto nella sua avversione ossessiva e pregiudiziale alla «democrazia» tout court e a tutto quello che ne derivava, che lo portò ad un isolamento quasi totale e ridusse i suoi seguaci a perseguitati di tutti i governi negli anni trenta di questo secolo. E' chiaro che anche in questo caso si dovrebbe procedere con cautela e capire gli atteggiamenti a prima vista assurdi e pazzeschi di militanti della sinistra estrema. Il suo auspicio di una sconfitta nella seconda guerra mondiale degli Stati Uniti, roccaforte della «democrazia», può trovare un precedente in quanto scriveva Simone Weil nell'estate 1935:
… se scoppierà la guerra, socialisti e comunisti ci manderanno a morire per la «patria dei lavoratori» e si rivedranno i bei giorni dell'Union Sacrée. I gruppi fascisti, invece, sarebbero in gran parte fautori di un'alleanza militare con la Germania contro la Russia. Ogni alleanza militare è odiosa, ma un'alleanza con la Germania sarebbe, probabilmente, il male minore; perché una guerra tra la Germania e la Russia (e inoltre quasi di sicuro il Giappone) resterebbe relativamente localizzata; invece, se la Francia e la Russia muoveranno insieme contro la Germania e il Giappone, ci sarà di nuovo un incendio che si estenderà all'intera Europa e oltre, una incredibile catastrofe. Una simile considerazione non fa di me una fascista […], ma mi rifiuto di stare al gioco dello stato maggiore russo con il pretesto della lotta antifascista. Quanti ragazzi crederanno di versare il loro sangue, nei mesi a venire, per la libertà, per il proletariato, ecc., mentre in realtà sarà per l'alleanza militare franco-russa, e di conseguenza per la preparazione alla guerra [42].
Ma ritornando, al suo «marxismo», il suo pensiero non poteva non risentire degli umori delle filosofie del suo tempo e della sua particolare formazione matematico-scientifica. Di qui la sua attesa quasi messianica nella rivoluzione con una fede fondata in parte sopra un'intima religiosità, in parte sopra la logica del calcolo matematico:
Noi crediamo alla rivoluzione non come il cattolico crede in Cristo, ma come il matematico al risultato delle sue ricerche [43].
La tragedia di Bordiga fu la contraddizione tra prassi ed enunciato teorico. Voleva un partito omogeneo e nel Partito Comunista d'Italia figuravano dirigenti con i più diversi precedenti, che ben presto diedero vita a correnti e sottocorrenti, contro cui egli non volle agire per la sua educazione liberale e per il suo rispetto non solo per la vita, ma per le opinioni altrui. Predicò l'obbedienza assoluta alla Terza Internazionale, e questa, dominata dal partito russo, che tutto subordinava al consolidamento del regime uscito dalla Rivoluzione d'ottobre, lo estromise subito dalla direzione del Partito Comunista d'Italia, non appena fu arrestato il 3 febbraio 1923.
Nel corso della seconda guerra mondiale il Partito Comunista Italiano presentava esili legami, anche nella intestazione, con il Partito Comunista d'Italia, di cui Bordiga se non fu l'unico, fu sicuramente il massimo artefice a Livorno nel gennaio 1921. La stessa Terza Internazionale era stata sciolta da Stalin alla fine del 1942. Quanto alla definizione del regime uscito dalla Rivoluzione d'ottobre vale sempre l'osservazione sulla eterogenesi dei fatti storici: Colombo era sicuro di arrivare nel Cipango ed invece giunse in un mondo nuovo, anche se fino alla morte rimase persuaso di essere arrivato alla mèta e nei pressi del traguardo prefigurato. Bordiga era convinto che, al di là di quanto Stalin affermasse e la maggioranza dei comunisti nel mondo credesse, la Russia sovietica avesse poco a che vedere con il socialismo, nulla col comunismo, ma che stava procedendo ad un'accumulazione accelerata e forzata con ritmi di sviluppo, e quindi di sfruttamento della forza-lavoro, da primo capitalismo europeo [44].
Quanto al rapporto tra Partito Comunista d'Italia e Partito Comunista Italiano, se qualche tratto comune rimaneva tra le due formazioni, questo era dato dalla fede religiosa di gran parte dei suoi militanti nel comunismo e nell'avvento di un'èra nuova di pace e fratellanza fra i popoli, nonché di benessere diffuso. Ma poiché ogni formazione religiosa si costruisce sul sangue dei martiri, il Partito Comunista Italiano ebbe subito un vasto seguito sia perché fondato su di un martirologio, di cui Antonio Gramsci fu il massimo rappresentante, sia perché sostenuto, oltre che con altri mezzi, dal prestigio conquistato dall'URSS per la sua vittoria contro il nazifascismo.
Cosa rimane oggi di Bordiga? Alcune prove di energia morale difficili da rintracciare nei personaggi pubblici dei tempi più recenti. Se odiava la democrazia parlamentare non si fece mai sedurre dalla sinecura di una elezione alla Camera dei Deputati. Contiene ancora oggi qualche significato il suo commento alla proposta di una sua candidatura alle elezioni del 1924:
Il criterio che la notorietà designi i candidati è, elettoralisticamente, logico, ma non è comunistico. Nulla scorgo di più filisteo ed opportunistico per gli elettori e gli eletti di questo tradizionale fatto: pochi mesi di carcere portano alla conseguenza che alla prima occasione la vittima presenti al proletariato la nota e la riscuota sotto forma di voti [45]
Quando già i dirigenti dei partiti comunisti di tutto il mondo tremavano dinanzi a Stalin, Bordiga fu uno dei pochi ad avere il coraggio di affrontarlo a viso aperto. Nel famoso esecutivo allargato di Mosca del 22 febbraio 1926 egli aveva sostenuto con forza che i problemi del partito russo dovevano essere portati dinanzi alle assise della Terza Internazionale e risolti dalla Terza Internazionale, che la costruzione del socialismo in Russia doveva avvenire sotto la supervisione della Terza Internazionale. Quando Stalin sentì l'obiezione di Bordiga che la tribuna destinata a trattare le questioni del congresso russo sarebbe stato l'esecutivo del Comintern, rispose che le questioni russe erano solo russe e che i partiti occidentali non erano preparati a discuterne. Riconobbe che il partito russo - potremmo aggiungere: la fazione vincente del partito russo - aveva una posizione privilegiata nell'Internazionale e aggiunse:
Noi ci accorgiamo dell'esistenza di questo privilegio e sentiamo anche la responsabilità che deriva da esso. Sappiamo che quando i compagni russi parlano nel Presidium è difficile che i compagni degli altri partiti li contraddicano e questo anzi non ci fa piacere. Noi abbiamo anche altri privilegi, quello ad esempio che l'Internazionale risiede a Mosca, quello di avere vinto la rivoluzione. Noi siamo però pronti a trasportare la sede dell'Internazionale in un altro paese non appena la rivoluzione sarà stata altrove vittoriosa.
Famosa rimase la risposta di Stalin alla domanda di Bordiga se credeva che lo sviluppo della situazione russa e dei problemi interni del partito russo fosse legato allo sviluppo del movimento proletario internazionale:
Questa domanda non mi è mai stata rivolta. Non avrei mai creduto che un comunista potesse rivolgermela. Dio vi perdoni di averlo fatto [46].
Rimane ancora qualche previsione, che è bene ricordare, come quando scriveva nel 1914, in polemica con gl'interventisti democratici secondo i quali una vittoria in guerra, al contrario di una sconfitta, avrebbe comportato un progresso della civiltà e un trionfo nel mondo della democrazia:
Anzitutto […] la democrazia non si diffonde nel mondo con le baionette, secondariamente da tempo essa non merita più né le nostre simpatie né il nostro appoggio.
Il fenomeno - tanto citato in questi giorni come verità indiscussa - avvenne forse nel senso precisamente inverso. Le vittorie militari sono un coefficiente di ritorni politici. Dopo le vittorie napoleoniche la Francia subisce la restaurazione. Dopo Sedan, abbiamo invece la repubblica ed un tentativo socialista: la Comune. Ogni guerra, determinando la famosa unanimità nazionale dei partiti e delle classi, rialzando il prestigio delle istituzioni e dell'esercito, qualunque ne sia la causa e l'esito, non è un passo indietro nelle nostre aspirazioni rivoluzionarie, il cui mezzo naturale è la lotta di classe? [47].
Restano alcune propensioni degne di rispetto ed in qualche caso suggestive. Ne ricordiamo due soltanto. La prima si riferisce alla sua considerazione della storia del socialcomunismo italiano in relazione con le discussioni congressuali, la dialettica sociale e l'evoluzione della situazione internazionale in polemica con la ricostruzione di tale storia giudicata secondo la «linea maestra» del marxismo italiano iniziata da Antonio Labriola e continuata da Antonio Gramsci giusta la genealogia tracciata da Palmiro Togliatti. Anzi, a proposito di Antonio Labriola egli ne ricordò il filocolonialismo, invocato poi da Guido Podrecca per giustificare il suo filotripolismo [48].
La seconda riguarda la sua presa di distanza dal «meridionalismo», che egli giudicò, «edizione peggiorata del riformismo, in cui il futuro partito comunista, quando cadrà nelle mani del centrismo, avrà gravissime pecche» [49].
Quest'ultima posizione non fu molto distante da quella di Benedetto Croce, che nella sua vita non degnò mai di molta considerazione il «meridionalismo».
Michele Fatica
Note: