Il Ponte, 31 gennaio 1973
Oreste Lizzadri, l'autore di queste righe,nacque a Gragnano, in provincia di Napoli, nel 1896 e fu, in gioventù, compagno di lotta e di milizia di Amadeo Bordiga nel "Circolo Carlo Marx".
La via seguita da Lizzadri fu però poi molto diversa: non seguì a Livorno la sinistra che andava a fondare il Partito Comunista d'Italia ma rimase nel Partito Socialista.
Partecipò, durante la seconda guerra mondiale, alla resistenza e con Giuseppe Romita ed altri alla rifondazione, nel 1942, del P.S.I. e alla formazione nell'estate del 1943 del P.S.I.U.P.
Più volte parlamentare, rimase sempre sulle posizioni del P.S.I
Morì il 30 luglio del 1976.
Ricordo di Amadeo Bordiga
Conobbi Amadeo Bordiga il 13 aprile del 1913. Ricordo bene la data perchè coincise con la mia iscrizione al P.S.I. e la fondazione della prima sezione socialista di Gragnano (mio paese d'origine). Ad inaugurarla intervennero Bordiga, Misiano e Mario Bianchi, un torinese calato a Napoli come rappresentante delle manifatture Martiny. In dissenso formale con le direttive ufficiali del partito, rappresentato a Napoli da un gruppo molto autorevole di avvocati e di massoni, Bordiga aveva fondato il circolo rivoluzionario «Carlo Marx» al quale aderivano gran parte dei giovani tra i quali ricordo i tre fratelli Cecchi, Oscar e Nino Gaeta, il dott. Senise, medico e parente del futuro direttore generale della pubblica sicurezza, la Ortensia De Meo che Bordiga poi sposò, Gino Corradetti, Nicola Fiore, chi scrive queste note e altri numerosi di cui gli anni hanno cancellato il ricordo.
Tutto il socialismo napoletano era dominato allora da cinque grandi avvocati e massoni eletti deputati nelle prime elezioni a suffragio universale: Alfredo Sandulli, Arnaldo Lucci, Arturo Labriola, Carlo Altobelli e un professore: Ettore Ciccotti. Tutti e cinque, subito dopo il congresso di Ancona abbandonarono il P.S.I. optando per la Massoneria. Lo strano della situazione napoletana, se strano poteva chiamarsi un qualsiasi avvenimento, nella Napoli di allora, risiedeva nel fatto che la direzione di sinistra, con Costantino Lazzari segretario, riconosceva come ufficiale la sezione diretta dai massoni, ma appoggiava di fatto i dissidenti del Circolo Carlo Marx e, in qualche modo, li aiutava.
Bordiga era un po' il fratello maggiore di noi giovani, seppure di carattere piuttosto severo e alle volte austero, sia nella vita pubblica che privata. Il suo rigorismo marxista e la sua intransigenza rivoluzionaria, anche da un punto di vista formale, erano spaventosi. Il cambiamento del suo nome in «Amadeo» (in realtà si chiamava Amedeo) dovuto ai molti «Amedeo» della casa Savoia ne era un sintomo. Per alcuni mesi (fine 1914 e inizio 1915) facemmo vita comune; fu lui a presentarmi in pubblico per la prima volta in un comizio contro la guerra (915-18) e di esaltazione dell'atteggiamento assunto al Reichstag da Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg. Tutti i suoi articoli sul «Socialista» di Napoli da lui fondato e sull' «Avanti!» (si pubblicava solo a Milano ed era diretto da Mussolini) erano redatti da me che possedevo la scrittura più leggibile fra tutti.
Non v'era discussione politica, anche la meno impegnata che Bordiga non concludesse richiamandosi al marxismo. Per comprendere l'uomo e il suo comportamento futuro è necessario ricordare le cause che, per sua dichiarazione, lo avevano portato al socialismo.
Aderente fino al 1912 dei gruppi nazionalisti, si sentì attratto, lui uomo «quadrato», dalle teorie sul «plusvalore» e in sei mesi digerì Il Capitale ed altri scritti di Marx ed Engels. Colpito dal rigore scientifico dell'analisi, passò al Socialismo senza però concedere il benché minimo margine al sentimentalismo e l'umanitarismo come i tanti che vi erano pervenuti a causa delle ingiustizie sociali e delle condizioni miserevoli della classe lavoratrice e del popolo italiano in genere. A me diede l'impressione, mai modificata in seguito, di un chirurgo preoccupato di riscontrare sul paziente la giustezza della propria diagnosi. In poche parole, il socialismo era per lui una scienza e basta. Una scienza esatta per la verità, per le cui prospettive e finalità ogni sacrificio di uomini e mezzi doveva giustificarsi.
Al Congresso di Ancona Bordiga potè partecipare proprio grazie alla delega della sezione di Gragnano e tutti i giovani furono con lui e Mussolini contro i riformisti e i massoni che affollavano il Congresso. Da Giovanni Zibordi, uno dei pionieri del socialismo italiano, venne presentato sull' «Avanti!» tra i protagonisti dell'assemblea insieme a Mussolini e a Raimondi, un grande avvocato che pochi giorni prima aveva difeso e fatto assolvere in un celebre processo, una contessa indiziata dell'omicidio del proprio amante. Bordiga fin d'allora, credette scorgere nelle argomentazioni di Mussolini i primi germi della deviazione che denunciò alcuni mesi dopo in un articolo sull' «Avanti!» che Mussolini pubblicò con un «cappello» che lo stroncava ma che in pratica gli dava ragione. E' noto che egli fu sempre contro il parlamentarismo; nulla esisteva di più deteriore alla causa della rivoluzione proletaria, come i corridoi di Montecitorio. Il Parlamento rappresentava per lui lo strumento più efficace nelle mani della borghesia per illudere le masse e addormentarle ai tiepidi raggi del sole dell'avvenire. Per una indicazione esatta delle sue prospettive, sarebbe interessante riesumare le poche copie del «Socialista» che egli fondò e diresse fino all'inizio della prima guerra mondiale quando fummo tutti chiamati alle armi. Negli articoli, con un linguaggio in verità non sempre comprensibile alle grandi masse, vi è tutto Bordiga giovane, con una certa inesperienza, si capisce, ma con il filo logico che lo legò al movimento operaio, anche fuori dall'attivismo militante, fino alla morte. Intransigente fino alle estreme conseguenze, nelle elezioni amministrative di Napoli del 1914, nelle quali erano di fronte la lista clerico-conservatrice capeggiata dall'on. Rodinò e quella del blocco popolare con a capo il Duca del Pezzo, comprendente tutti gli ex deputati socialisti, volle che fosse presente anche una lista socialista, poco curandosi dei voti e dell'ostilità palese della popolazione, pur di riaffermare la volontà rivoluzionaria del P.S.I.
Il blocco del popolo vinse e la sua vittoria rappresentò un autentico successo della democrazia napoletana e della massoneria. Ma per Bordiga un successo della democrazia raramente si confondeva con un successo del socialismo, e perciò continuò nella sua strada che trovò poi il suo sbocco nella costituzione ufficiale della frazione astensionista, e la scissione di Livorno.
Fummo licenziati dalle ferrovie dello stato Bordiga, Misiano, Corradetti, il sottoscritto ed altri per uno sciopero di protesta contro gli arresti della settimana rossa e, per un certo tempo, la sua casa in via dei santi Cosma e Damiano a Napoli, divenne anche la mia. Finché lo scoppio della guerra ci divise, lui ufficiale di artiglieria e io radiotelegrafista in marina.
Ci rivedemmo per pochi istanti alla stazione di Napoli nel maggio del 1915. Ritornava da Bologna ove il consiglio nazionale del P.S.I. aveva deciso, col suo voto contrario, né collaborare né sabotare, mentre io mi avviavo verso il fronte.
La guerra interruppe ogni possibilità di collegamento, e ci ritrovammo a Napoli nel subito dopo guerra, lui capo della frazione astensionista e preparato alla scissione che poi effettuò. Nel nuovo partito, il posto di responsabilità di segretario non valse ad ammorbidire non tanto il suo carattere, quanto la sua posizione intransigente, verso tutti gli avversari che considerava e trattava da nemici. In un articolo sul «Comunista» riaffermò lo scopo immediato del P.C.I. per la dittatura del proletariato, e non si fece scrupolo di aggiungere che i democratici sarebbero stati i primi ad accorgersi di ciò che essa significasse.
Le successive sue posizioni sono note. Lo incontrai l'ultima volta a Napoli nel marzo del 1944 a Piazza della Carità e si dimostrò lieto che il Longobardi che aveva attraversato le linee nemiche fosse il suo vecchio allievo Lizzadri. Non poté aggiungere altro. La moglie, già malata, lo trascinò via, lasciandomi l'amara constatazione che un uomo di tanto ingegno e anche fisicamente più che dotato, fosse dominato da una donna amorosa ma fragile e malata.
Oreste Lizzadri
Il Ponte, n. 1, 31 gennaio 1973