Il Progranna comunista, n. 4, 14 febbraio - 1 marzo 1957
Un articolo del 1957 in cui si spara giustamente sul PSI e su Nenni...
E pensare che in quel periodo non si era ancora affacciato Craxi e la sua banda a delinquere, anticipazione, per certi aspetti, del partito che creerà a suo uso e consumo, anni dopo, un miliardario milanese.
Dai quattro punti cardinali l'offensiva dei falsificatori
La faccia tosta con la quale si applica l'etichetta socialista a regimi spudoratamente democratico-borghesi e si avallano col monotono giuramento di fedeltà al marxismo le più sconce manovre di funambolismo politico e di asservimento alla classe dominante ha raggiunto ormai vertici di fronte ai quali il riformismo e l'opportunismo del primo ventennio del secolo escono rivalutati; i loro peggiori arnesi sembrano ingenui borsaiuoli se paragonati ai lestofanti ed agli speculatori d'alto bordo che circolano con le edizioni complete di Marx sottobraccio (come i grandi pirati dell'alta finanza americana con la Bibbia di Famiglia) imbrogliando con la loro apparenza di onesti uomini gli smarriti e stupefatti uomini della strada.
Al Congresso di Venezia del PSI (che tanti fiumi d'inchiostro giallo ha fatto scorrere alla stampa di tutti i colori, i congressi della vecchia socialdemocrazia erano cose serie, in cui bene o male si affrontavano programmi e ideologie; oggi, in queste «assise», non si mette a concorso che la palma d'oro della bassa cucina parlamentare), è stata votata all'unanimità una solenne «dichiarazione sulla politica di unità socialista.». Ne parliamo unicamente a titolo d'esempio, beninteso: non perché faccia storia. Ebbene, questa dichiarazione che propone «l'inserimento del movimento operaio nella direzione della società e dello Stato come l'unico mezzo capace di rinnovamento del Paese...», cioè in termini più chiari, il ritorno ad un governo di coalizione fra partiti cosidetti operai e partiti apertamente borghesi con un programma aggiornato di riforme (la vecchia solfa ministerialista con parole diverse), questa dichiarazione si fregia, come il petto dei marescialli di una filza di decorazioni di tre «principii» (udite, udite: Nenni ha scoperto che esistono principii!): il primo è la accettazione «senza riserve» dei principii democratici sanciti nella Costituzione «tanto nell'ipotesi che [il partito] sia minoranza quanto nell'ipotesi che sia maggioranza» e, come corollario, un duplice inchino alla «legalità costituzionale» salvo a «combattere coraggiosamente» se gli stessi principi fossero violati da altri; il secondo suona, fresco fresco così: «Il PSI è classista», e il terzo, ancor più fresco: «Il PSI è internazionalista». Come un partito possa essere fedele senza riserve alla Costituzione e alla legalità democratica, corteggiatore di tutte «le forze laiche e cattoliche che abbiano comuni obiettivi democratici», aspirante ad «inserirsi» nel governo del Paese per la realizzazione delle immancabili riforme di struttura, ed essere nello stesso tempo classista ed internazionalista, questo arcano solo Pietro Nenni può averlo nelle sue tasche di filibustiere e voltagabbana d'alto bordo (costui ha avuto la faccia di ricordare ai giornalisti i tempi in cui «eravamo giovani e frequentavamo le sezioni socialiste la sera, dopo aver lavorato tutta la giornata»; eh no, don Pietro, da giovane tu frequentavi la redazione del «Popolo d'Italia»; le «sezioni socialiste» non ti conoscevano neppure di vista!). Ma tant'è: oggi il «socialismo» è divenuto merce che possono e debbono trattare anche i borghesi se vogliono accalappiare proletari.
Al Soviet Supremo, Scepilov ha teso a sua volta l'ennesimo ramoscello d'ulivo al mondo occidentale e particolarmente all'America («è falso il mito secondo il quale non ci possono essere rapporti tra America e Russia. Abbiamo molti interessi comuni»); ha soprattutto chiesto e offerto di commerciare, commerciare, commerciare; ma non ha mancato di aggiungere: «Noi non possiamo rinunciare alle leggi fondamentali della lotta di classe. La linea della distensione internazionale deve essere realizzata insieme alla vigilanza per impedire che gli imperialisti ostacolino il nostro cammino pacifico». Classisti anche loro, internazionalisti anche loro, come se il mercante ultimo venuto sul mercato dicesse ai concorrenti: «Siamo tutti bravi borghesi, nulla ci vieta e tutto ci impone di commerciare, ma se mi date lo sgambetto, spingerò i vostri operai a scioperare finché non vi deciderete ad accogliermi nel vostro nobile consesso; io sono pacifista e distensivo, ma sono disposto (ne ho anzi il dovere) a servirmi della... lotta di classe altrui per difendere i miei affari». E così si tira avanti e la classe operaia smarrite segue.
Di fronte a questa offensiva convergente che il mondo borghese lancia alla classe lavoratrice per strapparle di mano le armi ideologiche e piegarle alle esigenze del proprio vocabolario demagogico non sarà mai abbastanza tenace e rabbiosa la controffensiva dei rivoluzionari, non sarà mai abbastanza ripetuto che fra borghesia e proletariato non esiste terreno neutro e comune, che fra democrazia e conquista del potere ed opera della classe operaia non v'è conciliazione possibile, che classismo ed internazionalismo non hanno senso (o hanno senso dichiaratamente borghese) fuori dal riconoscimento della dittatura del proletariato, senza attenuazioni, senza infingimenti.
Il Programma comunista, n. 4, 14 febbraio - 1 marzo 1957