Il Lavoratore 7 marzo 1923
Questo articolo di Ruggero Grieco venne pubblicato su Il Lavoratore di Trieste (organo, in quegli anni, del P.C d'I come Il Comunista e l'Ordine Nuovo) il 7 marzo del 1923. Bordiga era stata arrestato da qualche giorno a Roma (precisamente il 3 febbraio mentre usciva dall'Ufficio segreto dell'Esecutivo). Dopo l'arresto di Bordiga cui era legatissimo, Grieco aveva già scritto a Gramsci e Gennari: «Vi basti sapere che non appena Bordiga fu arrestato vi fu in Germania taluno che se ne compiacque perché così la fusione con i socialisti non avrebbe subito ostacoli», ma sarà tratto in arresto anche lui il 30 di marzo. Un paio di anni più tardi (esattamente al V Esecutivo Allargato dell'I.C. del marzo-aprile 1925) Grieco abbandonerà la Sinistra.
Bordiga
La scissione socialista di Livorno (1920) ebbe ragioni molto complesse che furono già raccolte e lungamente esaminate e sulle quali bisognerà un giorno ritornare. Bisognerà ritornarvi anche per determinare quale fu la missione del Partito Comunista Italiano in questi due anni, del Partito che nasceva da una grande sconfitta proletaria portando il peso della sconfitta che esso, come frazione del Partito Socialista Italiano, aveva preveduta e temuta, ed il grosso bagaglio critico in cui erano le ragioni stesse della sua nascita. C'erano, dunque, una critica e l'esperienza di una sconfitta colossale che coincidevano: e - forse - alla critica comunista semplice e logica sarebbe mancata ancora nel gennaio 1921 la possibilità di strappare al riformismo e all'opportunismo la miglior parte degli operai italiani (abbagliati dal leaderismo, pur nel fallimento dei vecchi leaders) se una esperienza vicina non avesse detto parole taglienti assai più dell'oratoria affilata dei nostri migliori. La frazione comunista al Congresso del gennaio 1921 non era omogenea nel senso piatto che si dà a questa parola: e più che un gruppo di "temperamenti" fu un incontro logico di idee che dovevano coordinarsi; idee nate da una dottrina comune che erano il nucleo della tattica e del programma del nuovo Partito, ma che avevano bisogno di elaborazione attenta. Idee che sprizzavano dalle esperienze ed avevano bisogno di sperimentarsi. Allorché Terracini disse al Congresso questo spasimo della volontà e dell'intelletto dei comunisti italiani provocò risate ed ululati dai confederali e dagli opportunisti, i quali soffrono più frequentemente il mal di pancia che i tormenti della elaborazione del pensiero. E l'incontro di queste idee non fu casuale. Già da un anno il gruppo torinese de l' Ordine Nuovo chiamava intorno a sé il proletariato della città piemontese mettendo la vita della fabbrica, i rapporti fra proletariato e capitale, all'esame dei comunisti. Così si educarono migliaia di operai e si educarono anche taluni capi intellettuali del nostro Partito.
Il gruppo del Soviet di Napoli ebbe origini più antiche. Fu un movimento schiettamente critico che mantenne la continuità della sinistra marxista del Partito Socialista Italiano la quale aveva appena iniziato un lavoro di chiarificazione nel 1912 e nel 1914, ma che mancava assolutamente di maestri.
Il gruppo de L'Ordine Nuovo che ha una parte preminente nella storia proletaria degli ultimi anni, ed ha gettata una semente che frutterà ancora nell'avvenire, apparve dopo la guerra, e fu composto di giovani che avevano acquistato nella guerra una esperienza. La mente più illuminata di questo movimento fu Gramsci, che nel 1917 aveva rappresentato, in un convegno socialista tenutosi a Firenze, i "rigidi" di Torino. Il gruppo del Soviet usciva vittorioso dalla campagna contro il massonismo e l'opportunismo napoletano (1912, 1913, 1914) e già aveva portato il suo contributo critico nel Congresso di Reggio Emilia (1912) e di Ancona (1914); e durante la guerra aveva fatta propria la tattica della "disfatta militare" sostenuta a Zimmerwald e Kienthal dal gruppo dei bolscevichi russi. Il gruppo cosiddetto dei "napoletani" si raggruppava intorna ad Amadeo Bordiga.
Non si possono ben delineare la figura e l'opera di Amadeo Bordiga senza dare alcuni caratteri della società politica italiana. Le eccessività, le angolosità, l'asprezza che molti sanno come aspetti preminenti del carattere di Bordiga sono spiegate da chi conosce un poco la storia del proletariato italiano e gli uomini che lo hanno diretto. Bordiga è una reazione al parlamentarismo, al democraticismo, all'opportunismo che in Italia, assai più che altrove, hanno schiacciato il proletariato. Una reazione è sempre eccessiva. Ma nel momento (1919) in cui gli opportunisti italiani aderivano alla III Internazionale ed inneggiavano alla rivoluzione imminente, Bordiga ha salvato la tradizione della sinistra marxista in Italia, formulando le note tesi sull'antielezionismo. Le tesi sull'antielezionismo sono precipuamente una critica all'opportunismo ed ebbero molte adesioni operaie. All'estero Bordiga fu confuso, fin dal 1919, con i sindacalisti, con gli anarchici. L'astensionismo parlamentare dei "bordighiani" era il risultato di una critica a tutta l'attività del socialismo riformista e opportunista. Era la continuità del pensiero critico, che aveva condotto le campagne del 1912 e del 1914 e che aveva interpretato marxisticamente il grandioso avvenimento bellico, traendone conclusioni rivoluzionarie. Nel 1919 non vi fu in Italia nessuna altra interpretazione marxista della nostra situazione di quella racchiusa dagli astensionisti nelle tesi presentate al Congresso di Bologna. Se gli astensionisti peccarono -come fu detto- di "infantilismo" sulla questione parlamentare, ebbero il merito di contribuire ad iniziare quella chiarificazione che fu compiuta a Livorno (1921). Dopo Bologna l'attività del Bordiga andò coincidendo con quella iniziata dal gruppo torinese fino a che nel Convegno di Imola (1921) si costituiva la frazione comunista del partito Socialista Italiano.
Bordiga non è né filosofo, né scienziato, né scrittore. E' un comunista giunto al Comunismo attraverso lo studio dei nostri Maestri. Agli agi della sua famiglia di antica nobiltà e della sua professione in cui poteva eccellere, ha preferito farsi condottiero di masse. Interessante è fare un confronto fra le due mentalità più caratteristiche del nostro movimento: Gramsci e Bordiga. Il primo è temperamento filosofico, di studioso indefesso, un "affamato di dottrina", propenso all'analisi, prezioso raccoglitore di "elementi" intorno ad una questione o situazione. L'altro, il Bordiga, è un sintetizzatore, che diffida dei libri, desideroso di schermagliare su qualunque terreno; innamorato della battaglia, giovialissimo e fortissimo. Nel primo il giudizio ha uno sviluppo più lento, perchè ha bisogno della ricerca di tutti i suoi elementi; nel secondo il giudizio è più sollecito per la rapidità con cui avviene la selezione fra gli elementi utili e necessari da quelli inutili o superflui. Il Gramsci tende alla divulgazione, alla scuola, all'insegnamento; il Bordiga preferirebbe comandare battaglioni armati; ha un po' in uggia la cattedra ed anche il podismo dei peripatetici. Bordiga non ha scritto libri e temiamo che non ne scriverà. Un compagno francese rilevava su l' Humanité, lo scorso anno, l'influsso delle teorie crociane e gentiliane sulla gioventù comunista italiana; ed a prova di questo citava le tesi, redatte da Bordiga sulla tattica per il Congresso di Roma. Ma Bordiga non ha mai visto la copertina di un li8bro di Croce e di Gentile. In che cosa consiste l'insegnamento che egli ha dato ai più giovani fra noi, e cioè alla buona maggioranza del nostro Partito? Basterebbe quello della volontà al lavoro per fare di lui un capo meritevole di tale nome. Ma quel che più conta è la educazione rivoluzionaria che egli ha dato al Partito, e l'abitudine allo studio ed alla discussione. Chiamiamo educazione rivoluzionaria non la dirittura formale e la coerenza intesa come pregiudizio, ma il metodo che ciascuno di noi impone a se stesso e che forma l'abito morale e mentale del comunista. Chiamiamo educazione la disciplina più stretta, l'accettazione ed il rispetto di una gerarchia, la conoscenza dei compiti del partito politico della classe operaia, della organizzazione del partito, dei rapporti tra il Partito Comunista e gli altri partiti operai, la inflessibilità dello spirito critico che non cede alle blandizie del piccolo espediente, ma vuole dare alle masse una educazione per trascinarle, ad un dato momento, con mano ferma e senza timore del sangue, sulla via della vittoria.
Se noi, oggi, gettando uno sguardo alle nostre sezioni sfollate, i cui componenti furono gettati nelle carceri, possiamo mantenere una certa serenità interiore, gli è per la certezza che i nostri compagni reclusi arroventano la loro fede nei cellulari. Una tal forza morale, che è potenza per un partito di massa, noi la dobbiamo alla confidenza che i nostri compagni hanno posta nel lavoro dei loro dirigenti; ed i dirigenti possono, devono dichiarare che gran parte dei loro poveri meriti li debbono all'insegnamento ed all'esempio del compagno Bordiga. Noi abbiamo appreso dal nostro compagno che bisogna avere serenità nell'affrontare tutti i disagi della milizia rivoluzionaria; che i capi debbono essere ogni momento d'esempio alle masse, e debbono dare agli operai quelle conoscenze di cui queste abbisognano, e debbono inquadrarli e dirigerli senza chiedere ad essi null'altro che disciplina. Abbiamo da lui appreso tutti che non c'è merito nell'essere più pronti e capaci; ma solo, in tal caso, il dovere di mettere a profitto delle masse la nostra capacità. Abbiamo da lui imparato a colpire senza esitazione, brutalmente e ciecamente, l'avversario, a dire la verità, senza scrupoli, solamente se necessario, a mentire ove occorra; a vivere, insomma, la vita del rivoluzionario comunista, fredda, spietata, audace, appassionata, intelligente, generosa, crudele.
La continuità logica del suo metodo critico, lo sviluppo sicuro del suo lavoro, il suo disinteresse per tutto quanto sia utilitario o vada a beneficio del singolo, la stessa sanità del suo corpo che esprime la forza dei nervi e dei muscoli, sono per la massa dei compagni una garanzia; e per questo essi hanno affidato la bandiera del Partito ad Amadeo Bordiga.
Ed è perciò che oggi, senza suscitare gelosie, noi possiamo salutare nel nome di Bordiga tutti i compagni carcerati ai quali dedichiamo queste righe.
Ruggero Grieco
Il Lavoratore 7 marzo 1923