Battaglia comunista, n.2, 4 - 18 gennaio 1951
Un bell'articolo, sempre tratto da Battaglia comunista degli inizi degli anni cinquanta, che tratta, questa volta, della distruzione della sede del giornale comunista Il Lavoratore di Trieste nel 1921 opera congiunta di fascisti e forze dell'ordine.
Rinfrescare la memoria
Come andava la faccenda tra fascisti e comunisti e tra fascisti e democratici
Un saggio che si potrebbe riferire a moltissimi altri episodi, delle lotte tra fascisti - pienamente appoggiati dalla democrazia ufficiale - e comunisti negli anni del primo dopoguerra, è data dalla distruzione de «Il Lavoratore» di Trieste.
Non a caso nel primo numero della «Rassegna comunista» organo del P.C.d'I., uscito il 30 marzo 1921, l'articolo di presentazione diceva: «... il Partito Comunista ha dato prova di essere già in grado di agire come centro di raccolta delle energie proletarie che, con contrattacchi decisi, hanno posto fine alla serie di facili successi dell'avversario. I socialisti hanno ripudiato ogni solidarietà con queste azioni delle masse, hanno perseguita in ogni circostanza, col tradizionale cretinismo parlamentare, la prova che erano stati i lavoratori ad «essere provocati», ad essere trascinati fuori dalla legalità, ad essere picchiati anziché a picchiare; hanno auspicato la tregua di classe, la pace civile, l'evolversi pacifico dell'attuale crisi sociale».
«... A Roma i fascisti si adunano ufficialmente - mentre le nostre bandiere salutano l'immolazione generosa di Lavagnini - a commemorare le vittime fasciste dei comunisti e sembrano così commettere ancora alle forze ufficiali dello stato borghese la lotta contro un avversario meno comodo di quelli che sistematicamente rinculano rinnegando pietosamente ogni proposito offensivo».
Prima di passare all'episodio del «Lavoratore» che illustra in pratica questo concetto politico, ricordiamo soltanto che il 9 febbraio del 1921 non governava Mussolini ma Giolitti, lo stesso cui le postume esegesi togliattiane dedicano accenti di ammirazione e di rimpianto.
Per le potenti energie del proletariato triestino «Il Lavoratore» riapparve l'8 settembrer1921. Ecco ora il testo tratto dall' Almanacco Comunista 1922 edito dal PCI a Torino.
«Il 9 febbraio 1921, il «Lavoratore» comunista veniva per la seconda volta devastato. I fascisti, al servizio degli industriali triestini, vedevano chiaramente nel battagliero quotidiano dei lavoratori il nemico meglio agguerrito contro gli interessi dei loro padroni. E decisero così di sopprimerlo ancora una volta, tanto più che non mancavano i malcelati incitamenti della stampa borghese, che non riusciva a battere la concorrenza al giornale proletario per la innegabile superiorità tecnica di questo. L'occasione favorevole a giustificare l'attacco e a dare un carattere di rappresaglia al saccheggio preordinato, non tardò a presentarsi. L'uccisione di un carabiniere che scorazzava avvinazzato profferendo minacce in un rione popolare fornì il pretesto alle bande fasciste per attuare il loro proposito contro il «Lavoratore».
Infatti, il giorno dopo, verso le 23, 30, una squadra di circa trenta fascisti, armati di tutto punto e provvisti di leve e di picconi, mosse all'assalto. Le poche guardie regie poste a difesa dell'edificio, simularono una colluttazione che prestamente cessò, lasciando libero il passo agli assalitori. Essi avanzarono fino alle porte e già stavano per entrare, quando i comunisti dall'interno iniziarono l'azione difensiva.
Due bombe furono sufficienti per far dileguare in un battibaleno, a velocità vertiginosa, la squadra degli aggressori. Questo scacco iniziale impensierì la Questura, che per suo conto provvide a vendicarlo. Tutte le adiacenze del giornale furono tosto occupate dalla forza pubblica, venne intimato un ultimatum, lo stesso questore diresse di persona il brillante assedio. «Il Lavoratore» fu occupato e quanti furono trovati nei locali tratti in arresto. Dei bestiali trattamenti cui furono vittime i nostri compagni, non parliamo perché a tutti ormai sono tristamente noti i metodi di brutale malvagità inaugurati dalla polizia italiana nella Venezia Giulia, metodi che fanno rimpiangere a quelle popolazioni l'odiato dominio degli Asburgo.
Dopo l'occupazione della forza pubblica, le porte furono spalancate all'irruzione dei fascisti che, sotto l'ala protettrice della Questura, avevano ritrovato il coraggio perduto nel primo assalto.
L'opera vandalica, iniziata nella tipografia, dove i macchinari furono spezzati, distrutti, frantumati a colpi di piccone, non ebbe termine che quando il fuoco appiccato alle carte trovate nel giornale e propagatosi all'edificio, aveva preso proporzioni tali da minacciare l'incolumità degli assalitori stessi. E uscirono all'aperto guardie regie e fascisti a contemplare lo spettacolo, impedendo ai pompieri sopraggiunti di iniziare la estinzione dell'incendio. Soltanto quando le fiamme minacciarono di comunicarsi alle case private vicine, fu possibile mettere in azione gli idranti.
Ma l'opera dei vigili a nulla valse; del «Lavoratore» non rimase che un cumulo di rovine. Soltanto lo scheletro dei muri maestri resistè alle fiamme. Il proposito degli industriali triestini aveva avuto la sua realizzazione per l'opera malvagia, concorde della regia guardia e dei Fasci.
La fede del proletariato triestino non si spense per questo, non vacillò. Fermi, incrollabili, i lavoratori giuliani non si scoraggiarono, non rinunziarono alla lotta, ma si strinsero vieppiù intorno alla bandiera del nostro Partito».
Battaglia comunista, n. 2, 4 - 18 gennaio 1951