Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>Al servizio di tutte le bandiere (Battaglia comunista, n. 8, 19 aprile - 3 maggio 1950)

aggiornato al: 26/10/2012

Battaglia comunista, n. 8, 19 aprile - 3 maggio 1950
Un bell'articolo del 1950 che illustra l'azione e il comportamento del PCI nella sua funzione controrivoluzionaria.
 
Dedicata ai comunisti ancora nel P.C.I.
Al servizio di tutte le bandiere
 
Di tutte, anche di quelle politicamente più ripugnanti; ma in nessun caso e per nessuna ragione al servizio della bandiera proletaria definitivamente ammainata, da quando, sotto la pressione della controrivoluzione trionfante, idee, forze e metodi della causa socialista erano state piegate al trionfo dell'interesse dello stato russo che da strumento della dittatura proletaria si era fatto assertore e protagonista delle competizioni imperialiste.
E' di ieri la difesa della manovra tattica condotta nel marzo 1946 dai nazionalcomunisti in funzione apertamente monarchica cui è ritornato Togliatti sotto la sferzante accusa di capitolazione mossagli da Salvemini.
Per i comunisti che ancora si illudono nelle file del partito di Togliatti, l'episodio in questione, per essere avvenuto nel meridione d'Italia mentre nel nord si avevano le ultime lacerazioni della guerra condotta in nome della repubblica sociale di Salò, può sembrare sbiadito nel tempo ed essere in buona parte ignorato.
Capita perciò opportunissima e quanto mai chiara e significativa la risposta che «obtorto collo», Togliatti è costretto a dare e che l'Unità pubblica con la sua ben nota impudenza sotto il titolo «La politica di unità dei comunisti nel '44».
Già, unità con la monarchia sabauda per la soluzione Badoglio, il solo terreno solido rimasto alla conservazione capitalista nel momento che il terremoto della guerra stava sommergendo gli ultimi fortilizi del regime di Mussolini; già, unità realizzata allo stesso modo e con uguale facilità prima con i fascisti di Hitler contro l'egoismo della plutocrazia anglo-americana e poi ancora unità con la stessa plutocrazia divenuta di improvviso democratica e progressiva.
In una parola, unità non importa se oggi con i servi di dio e domani con i servi del diavolo, quel che conta per i comunisti come Togliatti è di riuscire a piegare a volta a volta il proletariato allorché questi può essere spinto dagli avvenimenti a commettere qualche pazzia e mandare a gambe all'aria una volta per sempre questo vecchio e traballante scenario della vita borghese e con esso i pagliacci pari a Togliatti che tuttora vi dominano.
Questo, Salvemini non lo capisce; non può capire cioè, egli che come storico passa per un sottile analizzatore degli accadimenti della grande rivoluzione borghese, che si deve proprio al senso tattico del nazionalcomunismo di Togliatti se allora fu resa possibile l'organizzazione di una salda linea di difesa delle forze della conservazione realizzabile allora soltanto attorno al tradizionale fortilizio della monarchia contro l'insorgente e spontaneo moto delle masse.
Salvemini può accontentarsi di constatare con evidente fine polemico che la realizzazione di un simile piano tattico avrebbe necessariamente condotto ad una vera e propria resa a discrezione dell'Italia antifascista democratica progressista nella sfera d'influenza inglese. E che ciò sia vero nessuno oserebbe contestarlo: Ma noi non ci accontentiamo di questa prima verità che affiora troppo facilmente alla superficie della nostra storia recente, ma andiamo alla ricerca di ben altra verità che alla prima si salda: è un fatto che se a Togliatti risale la responsabilità di aver dato via libera all'affermazione ulteriore della potenza economica e politica angli-sassone sul corpo esangue del nostro paese, ciò non significa che Togliatti ha tradito l'interesse dell'Italia borghese a cui del resto allora non era data altra possibilità di scelta, perché tradita allora è stata soltanto l'Italia del lavoro, l'Italia del proletariato rivoluzionario. Ecco tutto.
Capiranno i comunisti tuttora nei ranghi del P.C.I. quest'altra lezione della storia e avranno ancora tanto coraggio ed autonomia critica per riandare col pensiero al monito espresso dalla lunga lotta condotta nel partito dalla «sinistra italiana» fino al congresso di Lione, che rivendicare la libertà d'azione tattica per «giocare» l'avversario equivaleva a rivendicare la libertà di tradire, e nel modo più abbietto come poi è avvenuto, la causa del proletariato e della rivoluzione?
Non pensiamo che esistano oggi in questi compagni possibilità del genere: le armi della critica rivoluzionaria difficilmente si affilano nelle fasi crepuscolari della storia; bisogna perciò attendere e sapere rimaner soli di fronte all'immane compito di non lasciar rompere il filo che lega la nostra avanguardia rivoluzionaria alle masse disorganizzate e politicamente smarrite del proletariato italiano.
 

Battaglia comunista, n. 8, 19 aprile - 3 maggio 1950