Battaglia comunista, n. 11, 1-14 giugno 1950
Un altro bell'articolo di più di sessanta anni fa che riproponiamo, cosa che con perseveranza - anche se poi altri presentano tutto ciò come loro scoperte o novità - facciamo da parecchio tempo.
Buona lettura!
L'arma al piede
L'accusa non è di oggi. E' nostro onore continuare ad esserne l'oggetto perché perseveriamo nel cammino illuminato dai nostri maestri. Nella migliore delle ipotesi siamo additati al disprezzo delle folle come degli inconcludenti, degli scettici, dei pessimisti; nella peggiore come dei sabotatori delle lotte in difesa degli interessi dei lavoratori.
Lasciamo andare che a ... confermare queste accuse vi è un piccolissimo fatto di un'importanza arcisecondaria: l'ottobre 1917, il trionfo della rivoluzione del proletariato internazionale in Russia, trionfo che discende in linea diretta dalla posizione presa da Lenin nel 1914 di sabotaggio e non di appoggio della prima guerra imperialista (ed è risaputo che questa, come la seguente e quella fredda attuale, fu condotta «in difesa degli interessi proletari» contro lo spettro della barbarie).
E' ben vero che a rivendicare la continuità con l'ottobre 1917 vi sono anche gli staliniani, ma si potrebbe far loro osservare, poiché osano richiamarsi al materialismo storico, che, per restare al potere dello Stato in Russia dopo il capovolgimento dei rapporti di forza mondiali in favore della borghesia, hanno dovuto ricorrere alla'uccisione di tutti gli artefici della rivoluzione del 1917, anche dopo che avevano sintetizzato nella loro persona la figura dell'accusatore e dell'imputato riconoscendosi colpevoli di tutti i delitti. Era necessaria una lezione al proletariato russo e internazionale: esso doveva imparare come si espii non solo la colpa di partecipare a un movimento rivoluzionario, ma anche quella di avervi partecipato. E per conto del capitalismo internazionale, mentre si inaugurava il mattatoio spagnuolo, Stalin impartì la sanguinosa lezione.
Non è facile ― ma è purtroppo l'unica posizione possibile, ieri come oggi e domani ― saper tenere l'arma al piede fino al momento in cui la situazione ne avrà permesso l'impiego grazie all'accumularsi dell'esplosivo nel caricatore. In una società divisa in classi ― e la capitalista è quella che porta i contrasti alle sue massime altezze e densità ― non è vero che la lotta fra le classi determini la presentazione delle armi il solo giorno in cui la storia fissa il match fra i due antagonisti principali. Non è vero nemmeno che fino al momento in cui sarà impossibile impugnare l'arma della lotta rivoluzionaria, nelle situazioni che lo precedono, sia possibile prendere altra posizione che quella del tiratore costretto ad attendere le condizioni necessarie per scaricare l'esplosivo. Scostarsene significa trasformare l'esplosivo da proletario in capitalista.
La cosa più difficile è, diceva Marx, disfarsi della più inconsistente delle cose, ― il senso comune ― per giudicare fatti e situazioni la cui spiegazione non è mai ipotetica o ― come si dice ― libera, ma sempre già bell'e fornita dalla classe dominante che dispone di un apparato formidabile per modellarne e imporne l'esecuzione. E' questo senso comune che fa giudicare i fatti, le lotte sociali, le guerre fredde o calde, non per il loro reale significato nel corso dell'evoluzione storica, azionata dalla classe dominante fino a quando il modo di produzione lo consente ai rapporti di produzione che ne assicurano il privilegio e il dominio, ma in funzione della divisa iscritta sulla bandiera impugnata o dell'obiettivo che sembra corrispondere agli obiettivi apparenti del movimento.
In ogni situazione, le intermedie come le rivoluzionarie, il corso dell'affermazione e della presentazione della classe proletaria risulta dal processo simultaneo della negazione di tutte le istituzioni ed obiettivi nemici e da una disposizione di lotta imperterrita contro di essi. L'esplosione rivoluzionaria, condizionata dagli elementi materiali della situazione, presuppone a suo volta il lavoro dell'avanguardia rivoluzionaria nelle situazioni precedenti l'urto definitivo. Fra disposizione alla lotta e lotta rivoluzionaria esiste un filo diretto; spezzato questo, non vi è né l'una né l'altra.
Questo lavoro di importanza pregiudiziale è fissato in considerazione di dati stabiliti in forza non di un'analisi di carattere speculativo sul passato e sul presente, ma delle esperienze della lotta della classe proletaria e di un'analisi delle situazioni passate ed attuali condotta col metodo dell'interpretazione materialista che queste esperienze hanno confermato. Noi sappiamo non quello che vogliamo o possiamo fare, ma quello che dobbiamo non fare, e la posizione dell'arma al piede ci è imposta come condizione sine qua non perché l'esplosivo di classe possa continuare ad accumularsi. Portare l'arma entro una cinta controllata dalla classe nemica ― anche sotto il pretesto che, poiché si tratta non di lotta armata ma di semplice propaganda, il pericolo non è grande ― significa uscire dai ranghi dell'evoluzione verso la vittoria della classe proletaria ed entrare nei ranghi opposti e nemici. Immaginare che la linea del fuoco di classe sia non quella imposta dalla situazione storica nella quale si vive ma quella che contrassegnò momenti precedenti della lotta delle classi, significa mettersi nella stessa situazione, ed essere trascinati dalla classe nemica. I marxisti non sono degli esteti della storia, anzi sono proprio il contrario. Se dicono che oggi la posta della lotta fra le due classi fondamentali, fra la borghesia ed il proletariato nelle loro espressioni non più nazionali ma internazionali, è la rivoluzione, che questa posta è tutto o niente, lo dicono in forza di un'analisi storica che dimostra come, dopo le due esperienze rivoluzionarie della Comune francese e russa, ora che la direzione dell'economia mondiale appartiene in modo totale e totalitario al capitalismo, dopo che ogni potere statale pre-capitalista suscettibile di giocare un ruolo nell'evoluzione è stato eliminato, una sola prospettiva esiste: quella della rivoluzione proletaria in un ambiente sociale specificamente ed unicamente capitalista. Intendiamo con questo non dire che la rivoluzione non potrebbe verificarsi in paesi dove sussistano ancora formazioni preborghesi, ma che anche in questi paesi la sola forza del sovvertimento rivoluzionario è rappresentata dal proletariato internazionale mentre le altre, tutte le altre, hanno una funzione di conservazione e di controrivoluzione.
Quel famoso senso comune porta a due conclusioni aberranti: quella di considerare che in una società basata sul contrasto degli interessi materiali non solo fra le due classi fondamentali, ma fra le altre molteplici formazioni intermedie e fra ciascuna delle individualità nel loro seno, sia possibile prospettare situazioni di tranquillità sociale, l'altra che gl'inevitabili tumulti sociali siano non il portato di questa struttura antagonica, ma il frutto della premeditata volontà della classe che domina.
Di fronte a questi tumulti, anche se apparentemente sembrano mettere in linea capitalisti e lavoratori in lotta che sembrano avere per obiettivo il miglioramento degli operai, la questione sovrana si ripone con la forza di un imperativo al quale non si sfugge se non cadendo nelle maglie della classe nemica: chi dirige questi movimenti, quale classe? La capitalista: ed è secondario se in un paese essa si personalizza nello sbirro, in un altro nel deputato che arringa le folle alle quali proclama che, per assicurare la difesa dei lavoratori, occorre scalzare il padrone individuale e sostituirvi lo stato padrone.
Una volta risolto questo punto, occorre puntare l'arma anche in questa direzione al fine di preparare la condizione pregiudiziale per la vittoria di domani, di immagazzinare l'esplosivo rivoluzionario che le situazioni determinano. Non possiamo far scattare l'arma, è vero, ma dobbiamo non spiazzarla, e mantenerla al piede là dove la storia l'ha messa.
E' per sempre finito il tempo in cui uno scatto dell'evoluzione poteva comportare l'aggiustamento della nuova classe privilegiata alle forze di produzione: la borghesia ha liquidato ogni peso delle forze pre-capitalistiche. I fatti lo provano in modo luminoso. Mosca e Washington e rispettivi satelliti si contendono non un principio di organizzazione sociale, poiché entrambi santificano il principio del salariato, ma due forme di gestione sociale basate su questo principio. L'eredità rivoluzionaria del proletariato si prepara tenendo saldamente l'arma al piede, là dove gli avvenimenti l'hanno definitivamente posta.
Battaglia comunista, n.11, 1-14 giugno 1950