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archivio > Archivio sulla sinistra>Truffa a destra e a sinistra, (Il Programma comunista, n. 7, 3 17 aprile 1953)

aggiornato al: 20/04/2012

Il Programma comunista, n. 7, 3 - 17 aprile 1953
Riproponiamo oggi un bell'articolo del 1953, anno passato ai posteri come quello della "legge truffa" cioè della modifica in senso maggioritario della legge proporzionale vigente dal 1946. Questa legge doveva introdurre un premio di maggioranza, consistente nell'assegnazione del 65% dei seggi alla lista, o al gruppo di liste, che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti.
Alle elezioni, le forze che avevano proposto la legge (D.C. e soci) ottenne il 49.8% dei voti; la legge fallì e l'anno dopo venne abrogata.
Così dal 1953 ad oggi si è ripetuta e si ripete, nei suoi giochi, la democrazia. Quello che è rimasto invariato in modo lapidario è la conclusione dell'articolo e cioè che periodicamente L'elettore è chiamato ad eleggere la troupe del più gran baraccone da fiera che la «storia nazionale» abbia mai prodotto.
 
 
Truffa a destra e a sinistra
 
Se di qualcosa dobbiamo ringraziare maggioranza e minoranza parlamentari nella loro tutt'altro che epica battaglia per i posti nel futuro consesso, è di aver dato al pubblico un'immagine ancora più chiara della commedia oscena in cui si risolvono gli eterni principi della democrazia. Nel gioco a scaricabarile attraverso il quale ognuna delle parti ha cercato di accusare l'altra di truffa e di lavare se stessa di ogni colpa, esse hanno, certo involontariamente, mostrato in luce meridiana di muoversi nell'ambito di un solo e comune imbroglio. Dalla singolar tenzone è uscita pesta non l'opposizione, non la maggioranza, ma tutta la classe dominante. Sia lodato Palazzo Madama!
Che, invero, sia truffaldina la legge con la quale una maggioranza spalleggiata da forze internazionali ha voluto assicurarsi contro i rischi del calcolo aritmetico, fingendo di credere che il destino dei regimi si giochi nelle calcolatrici elettroniche e nel «segreto dell'urne» invece che in rapporti di forza abbraccianti tutto il mondo e traducibili non in schede ma in corazzate e aerei e attrezzature produttive, ci vuol molto poco a capirlo. Ma che cos'ha fatto l'opposizione cosiddetta operaia e di sinistra se non accreditare presso la classe proletaria la convinzione non meno truffaldina che, ricondotto alla sua purezza, il voto riflette come la fotografia più fedele gli interessi, le aspirazioni profonde e le posizioni di forza dei lavoratori, che di fronte all'urna ― come di fronte al tribunale ― proletario e borghese sono uguali, che esiste una legge che non sia espressione delle esigenze di dominio e di sfruttamento della classe dominante e che la via del potere passa per le sedi elettorali? In verità, come la maggioranza governativa, l'opposizione ha lavorato accanitamente a ribadire nelle menti degli «uomini comuni» che le decisioni storiche si prendono al livello dell'alzata di mano. La truffa è di entrambe; l'imbroglio è comune.
Questa truffa concorde ha ben altre mire che quelle di una soluzione di problemi giuridici e di regolamento, così come la «cruenta» battaglia di palazzo Madama è stata recitata ad uso e consumo di ben altro pubblico che gli habitués delle sedute parlamentari. La truffa è giocata a danno dell'uomo della strada, dell'uomo che sarà presto chiamato a votare ancora. Bara la maggioranza quando pretende di aver salvato insieme con la sua legge, chissà quali tesori minacciati dalla protervia dell'opposizione; bara doppiamente l'opposizione quando fa della propria disperata difesa di un seggiolino più o di un seggiolino meno l'alfa e l'omega delle battaglie proletarie. Questi partiti autoproclamantesi socialisti e comunisti che hanno fatto dello sciopero nella vita quotidiana degli operai non il grido di battaglia di una classe oppressa e che tuttavia sa di avere in pugno il proprio destino, ma il singhiozzo del povero travet timoroso di scombinare l'attività della sua azienda e pronto a rifondere con ore straordinarie i danni delle piccole libertà che ha osato prendersi, questi partiti che nelle aziende singole e nella loro amministrazione collettiva hanno barattato la lotta di classe con la difesa della patria e della produzione, non esitano un minuto a proclamare scioperi per la difesa del proprio diritto ad essere presenti al baraccone delle due assemblee!
E, finita anche questa pagliacciata, bara la maggioranza vantando nel forte numero delle astensioni dallo sciopero la manifestazione di una precisa volontà popolare di difendere i sacri valori della repubblica; bara doppiamente l'opposizione preparandosi ad orchestrare la grancassa elettorale sul motivo dei templi violati della democrazia.
Poiché la battaglia ora chiusa dovrebbe servire, nelle intenzioni di entrambi le parti, a mobilitare le masse dei votanti il 7 giugno, traggano i proletari candidati al voto almeno la piccola lezione ch'essa dà. In definitiva, la maggioranza che si dispone a sciogliere il Senato perché un settore dei padri coscritti ne ha insozzato la vergine purezza e chiede a un falso in aritmetica il riconoscimento della sua superiorità materiale e morale, e la minoranza che minaccia al padre della Costituzione mille volte sbandierata e alle balie asciutte delle leggi «popolari» e del governo le sanzioni del Codice penale, hanno dato all'elettore un quadro relativamente fedele di se stessi, e della democrazia di cui sono stati, sono e saranno i ben pasciuti apostoli. La patria è in pericolo gridano entrambi: in pericolo è, in realtà, soltanto la professione di qualche giullare. L'elettore sa che, il 7 giugno. è chiamato ad eleggere la troupe del più gran baraccone da fiera che la «storia nazionale» abbia mai prodotto.
 
Il Programma comunista, n. 7, 3-17 aprile 1953