Battaglia comunista, n. 28, 13 - 20 luglio 1949
Offriamo oggi un piccolo articolo ironico del 1949 del nostro giornale di allora (che era settimanale) in cui si prende in giro e si ironizza su uno dei tanti funzionari tutti d'un pezzo del Pci rigidamente stalinista. Questa volta si tratta di Felice Platone che, militante del Pcd'I delle origini (di provenienza gramsciana) nel 1927, condannato a 12 anni di galera dal fascismo, fu costretto all'esilio (in Francia, Spagna e Russia).
Finita la guerra e ritornato in Italia fu (probabilmente per meriti di fedeltà alla linea stalinista del partito) al senato (dal 1950 al 1953) per sostituire Massimo Bontempelli.
Come sempre, visti i contorcimenti a cui il Platone deve sottoporsi per spiegare il "tradimento" della vecchia guardia bolscevica e la grandezza di Stalin, l'infamia va ricompensata!
La disgrazia di chiamarsi Platone
E' sempre una disgrazia portare sulle spalle un grosso nome: ma la disgrazia prende qualcosa di tragicomico quando, per giunta, chi lo porta è un pigmeo. E' per via del suo nome altisonante, riecheggiatore di civiltà elleniche e di meditazioni sublimi, che Felice Platone è salito ai fastigi dell'«alta cultura» nazionalcomunista; è per via del suo nome ch'egli semina a piene mani le perle iridescenti della filosofia ad usum Delphini. Ahimè, con l'unico risultato di rendere supremamente ridicolo il grosso nome che si porta sulle spalle.
Tempo fa, su «Vie Nuove», gli fu chiesta la ragione per cui «Trotzky e traditori del suo stampo» avessero tuttavia ricevuto cariche di responsabilità e funzioni di primo piano durante e dopo la vittoriosa rivoluzione russa. Platone è montato in cattedra e, memore dei dialoghi socratici del suo antenato illustre, ha risposto che, sì, Trotzky, Zinoviev, Kamenev, e via via tutto il rosario di nomi della vecchia guardia, sono sempre stati degli antibolscevichi, dei controrivoluzionari, ma che il dovere del partito è di aiutare le pecorelle smarrite a redimersi, di educare gli incolti, di salvare i traviati, insomma «di guadagnare alla causa della rivoluzione, o strappare alla controrivoluzione degli uomini che possono essere utili». Ecco perché, nonostante il loro passato, tutti quei signori furono tenuti nel partito ed utilizzati quando mostrarono di essersi convinti dei loro errori; ma quando risultò che «non erano militanti traviati ma traditori al servizio del nemico, sabotatori, assassini» il partito li liquidò dopo regolare processo e li spedì al creatore. Il discorso fila.
Senonchè il tizio che aveva posto la domanda aveva, implicitamente sollevato un problema un po' meno spicciolo, i "traditori" non erano semplici e piccoli militanti da educare, erano, guarda un po', tutti insieme, lo stato maggiore del partito e dello Stato della rivoluzione vittoriosa. Non il partito educava loro, ma loro, in un certo senso, erano il cervello del Partito. Strano modo, dunque, di «educare dei controrivoluzionari, di salvarli dagli artigli della controrivoluzione», quello di mettere Zinoviev a capo, nientemeno, dell'Internazionale, Trotzky a capo dell'Armata Rossa e tutti gli altri al timone di vitalissime branche della direzione del partito e dello Stato. Erano la vecchia guardia, i nomi che tutti i proletari di tutto il mondo conoscevano, i personaggi di primo piano: era noto a tutti che Trotzky aveva avuto una funzione direttiva capitale, accanto a Lenin, nell'Ottobre rosso, quando nessun libro e nessun giornale dell'epoca parlava di Stalin o di Molotov; era altrettanto noto che Zinoviev aveva condotto a fianco di Lenin la battaglia della lotta contro la guerra e contro il socialsciovinismo; che divergenze profonde vi erano state, a volte acutissime come in ogni partito vivo, ma che nessuna di queste divergenze aveva autorizzato Lenin non diciamo a fucilare i «reprobi», ma neppure a farli scendere dai posti di primaria responsabilità loro affidati e che, guarda caso, nessuno dei Molotov, degli Ordzonikidse, dei Mikoian e compagnia cantante ebbe mai allora. E Bukharin era stato il «teorico dell'Internazionale». Platone risponde: erano gli scolaretti indisciplinati che il partito, la grande fucina, si riprometteva di rieducare. Curioso: per rieducarli, li metteva... alla testa di se stesso.
Lasciamo da parte, ora, la questione di fondo, il giudizio cioè politico sulla vecchia guardia fucilata, e rileviamo solo questo: nella loro infinita goffaggine, i Platone e altri illustri nomi del nazionalcomunismo non si sono ancora accorti che, con tutta la loro campagna scandalistica contro i «traditori» della vecchia guardia - campagna di una bestialità e volgarità che neppure il fascismo e il nazismo hanno mai eguagliato - hanno raggiunto lo splendido effetto di coprire di fango e di ridicolo lo stesso partito della rivoluzione, quello stesso Lenin ch'essi hanno debitamente mummificato per farne una specie di icona. Che bello spettacolo, questo partito della rivoluzione russa e mondiale, che a un certo punto si accorge che tutti i suoi antichi dirigenti - l'unico ad essersi salvato, di questi, è stato infatti Stalin l'impareggiabile - erano «traditori, sabotatori, assassini»; che bello spettacolo, aver messo a capo della Internazionale e dell'Armata Rossa (per tacer del resto), cioè dei punti nevralgici della resistenza e dell'attacco alla controrivoluzione, i campioni della controrivoluzione, perché... si educassero! E che scena da leggenda cattolica, questo partito, e per esso questo Stalin, che si serve anche degli «assassini» e dei furfanti per realizzare i suoi piani come la Provvidenza si serve, restando dietro le quinte, dei geni del male per compiere il bene!
Così, dopo di aver massacrato l'avanguardia della rivoluzione di Ottobre, i nazionalcomunisti massacrano anche il partito: Il piombo a quelli, il fango e il ridicolo a questo. Ma tutto ciò rinforza il trono di Stalin e lo sgabello di Platone.Sia lodato nostro signore!
Battaglia comunista, n. 28, 13 - 20 luglio 1949