Il Giornale, 7 gennaio 1982
Riproponiamo oggi un articolo, senza infamia né lode di Egidio Sterpa che già abbiamo ospitato nel sito; quando abbiamo riprodotto nel 2008 un suo articolo del 1953(Fu amico di Lenin ed è nemico di Togliatti) ne abbiamo dato alcune note biografiche che si possono andare a rileggere. Una evidente correzione da apportare: Bordiga fu espulso nel 1930 e non nel 1926 dal partito.
Quel Bordiga
Se ci fosse ancora Bordiga, l'uomo che volle - è il caso di dire: fortissimamente volle - il Partito comunista nel 1921, tanto che ne fu il fondatore, leader e primo segretario, chissà cosa direbbe degli attuali travagli dei comunisti italiani.
Oggi Amadeo Bordiga avrebbe 93 anni. Di lui rimangono alcuni scritti, ignoti ai più, e un pallido ricordo negli ambienti estremisti di sinistra, di cui pure egli è stato antesignano, precursore. L'ingegnere di Resina (Napoli) ha riavuto momenti di popolarità in questi anni, in piena esplosione dell'estremismo di sinistra. Morto nel luglio 1970, qualche anno più tardi fu pubblicata un'antologia di suoi scritti (Scritti scelti a cura di Franco Livorsi Feltrinelli editore), che oggi è di grande attualità. Nella ricerca spasmodica di fonti marxiste alternative alla tradizione gramsciana-togliattiana, sono in molti a ripensare a Bordiga, l'irriducibile avversario d'ogni tendenza riformista, l'uomo del rifiuto totale del mondo borghese, massimalista viscerale, refrattario ad ogni compromesso.
Degli estremisti italiani Bordiga fu il solo che conobbe Lenin e con lui ebbe dimestichezza. Nel 1920 raggiunse fortunosamente la Russia e partecipò come delegato al secondo congresso dell'Internazionale comunista, dove riuscì a farsi ascoltare dai bolscevichi. Lì sostenne le sue note tesi rivoluzionarie: niente partecipazione alla democrazia borghese che deviava le forze proletarie dalla preparazione rivoluzionaria e quindi astensionismo, necessità di un partito nuovo e quindi abbandono del partito socialista. Lenin non condivise la tesi dell'astensionismo, ma sul problema del partito nuovo fu d'accordo con lui, schierandosi per l'isolamento dei riformisti.
Lo sbocco fu inevitabile. Bordiga era un «duro» e aveva fretta: a Imola, nel novembre 1920, fu prefigurato il tipo di scissione, grazie anche all'appoggio di Gramsci, e a Livorno, nel gennaio 1921, il dado fu tratto. Nacque così il Partito Comunista d'Italia, di cui Bordiga fu leader indiscusso fino all'autunno 1923, avendo a fianco, oltre Gramsci, Terracini e Togliatti.
L'idea di partito che aveva Bordiga era quella di un gruppo di rivoluzionari, sintesi della classe operaia, quasi militarizzato, una specie di setta con iscrizioni sottoposte a vaglio severissimo.
L'estremismo bordighiano era d'antica data. Figlio d'un professore e d'una nobildonna, dunque classica espressione di quell'intellettualismo borghese che anche ai giorni nostri partorisce velleità rivoluzionarie, Bordiga aveva fondato il periodico della sinistra socialista La soffitta, nato per respingere l'idea riformista che già allora si riprometteva di mettere «Marx in soffitta». Fu amico del Mussolini massimalista, lo appoggiò al congresso di Reggio Emilia (1912), partecipò alla «settimana rossa» nel 1914 (a Napoli ci furono 200 feriti), ne pagò lo scotto facendosi licenziare dalle Ferrovie dello Stato, dove prestava servizio come ingegnere. Il suo estremismo arrivava a negare l'esistenza d'una specifica questione meridionale: il Sud, diceva, era nient'altro che la brutta faccia del sistema capitalistico italiano.
Questo modello di comunismo, che la storiografia del Pci ignora volutamente, è senza dubbio l'archetipo dell'estremismo nostrano. Vi si trova traccia persino nell'ultimo Bordiga.
Egli prevedeva, in sostanza, una grande crisi dell'economia capitalistica e perciò una grande rivolta operaia, la rivoluzione sognata. Personaggio vigoroso (era un moralista) spinse la sua logica estremista fino a schierarsi dalla parte di Trotzki nel 1925, a scontrarsi con Stalin nel 1926 (c'è il verbale di un colloquio fra i due che è un documento di grande interesse), a farsi espellere dal Pci nel 1926, a scrivere nel 1950 che la rivoluzione russa era stata sostanzialmente capitalista («la società russa d'oggi è capitalista in giovane sviluppo, non socialista»).
E' difficile immaginare quali conclusioni egli trarrebbe dai travagli dell'attuale dirigenza comunista italiana. C'è da chiedersi se, pur nella sua «posizione cocciuta e settaria», egli almeno avrebbe trovato il coraggio di mettere in discussione la rivoluzione d'ottobre, ch'è poi il nocciolo del problema attorno a cui si arrovellano oggi in via delle Botteghe Oscure.
Egidio Sterpa
Il Giornale, 7 gennaio 1982