il programma comunista, n. 5, 2 - 16 marzo 1957
Questo articolo di Amadeo Bordiga, non ancora presente in internet e che oggi riproponiamo, risale al 1957, periodo in cui quattro formazioni politiche: G.A.A.P., Battaglia Comunista (Partito comunista internazionalista), Azione Comunista, G.C.R. (IV Internazionale), il Quadrifoglio appunto, diedero vita a fine 1956 ad un Convegno della Sinistra Comunista e, in quanto "oppositori di sinistra del PCI", vennero intervistati alla radio.
Del "quadrifoglio" abbiamo già parlato presentando la riedizione di Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, ad opera di Lotta Comunista e a quel testo rimandiamo (vedi nella sezione saggi ed inediti).
Nelle prime pagine del Dialogato coi morti è scritto:
Quando l'ora sarà dalla storia segnata, la formazione dell'organo di classe non avverrà in una risibile costituente di gruppetti e di cenacoli che si dissero e dicono antistalinisti o che oggi si dicano bene o male «anti-ventesimo congresso».
Il Partito, ucciso goccia a goccia da trent'anni di avversa bufera, non si ricompone come i cocktails della drogatura borghese. Un tale risultato, un tale supremo evento, non può che essere posto alla fine di un'interrotta unica linea, non segnata dal pensiero di un uomo o di una schiera di uomini, presenti «sulla piazza», ma dalla storia coerente di una serie di generazioni.
Buona lettura!
MICROFONIE DIARROICHE
(il Quadrifoglio intervistato alla radio)
L'esperienza insegna che per evitare un'intervista con le relative fregnacce non si possiede solo il classico metodo del calcio applicato a chi fa di se stesso scudo al microfono o alla Leika, nella più nobile regione del suo essere. Vi è un altro metodo e lo illustriamo con un esempio a base di domande e risposte:
D. - Non le sembra che il senso della differenza tra il partito comunista fondato a Livorno nel 1921 e l'attuale partito di Togliatti consista in questo: che allora si intendeva lottare per il comunismo con forze italiane ed escludere l'intervento in tali lotte di partiti e governi di paesi esteri, e, in ispecie dello Stato sovietico?
R. - La differenza è tutt'altra, e sta nel fatto che lo Stato russo attuale e il partito che lo dirige hanno di comunista e sovietico soltanto il nome, e non hanno alcun carattere rivoluzionario; per questa sola ragione un partito che fosse sulle direttive di Livorno, rifiuterebbe di collaborare con essi ed escluderebbe di avere il loro appoggio nella lotta del proletariato italiano per rovesciare la borghesia nazionale. Ove si trattasse di un partito e di uno Stato proletario rivoluzionario, russo o di un qualunque altro paese straniero, secondo la dottrina e la politica di Livorno sarebbe graditissimo ogni suo appoggio anche armato nel venire a buttare giù lo Stato borghese e democratico italiano. A sua volta il partito comunista d'Italia, ove la cosa fosse conciliabile con i rapporti di forze, sarebbe pronto a partecipare alla lotta antiborghese in ogni paese straniero.
Le decisioni nell'uno o nell'altro caso dipenderebbero da quell'unico partito, che nella dottrina seguita a Livorno è la Internazionale Comunista, alla quale ogni sezione dà i suoi apporti, e dalla quale, sempre secondo quella dottrina politica, avrebbe dovuto attingere le direttive il partito russo, per imprimerle allo Stato sovietico. Tutto il movimento internazionale è stato sconvolto, appunto per aver invertito tale rapporto e introdotto, tanto in Russia che negli altri paesi, direttive chiuse e stagne nazionali, e diritti ad iniziative nazionali per la politica nazionale.
D. - La sua opposizione alla politica del partito comunista attuale non si esprime bene col fatto che, in Russia come in Italia, una burocrazia dispotica detta le sue norme di azione alla base operaia, mentre se così non fosse sarebbe stata conservata la buona direttiva dei primi anni del partito?
R. - Non è affatto sicuro che se la base fosse liberamente e democraticamente consultata (per usare terminologia non nostra né «livornese», ma propria dell'interrogante, ed omaggiata in partenza, in Russia e in Italia, da ogni staliniano o togliattiano, nella divergenza abissale con noi, cui sempre si rimproverò di non voler far dipendere la politica del partito dal gradimento delle masse, e delle masse non proletarie ma «popolari»), non è affatto sicuro che la base si pronunzierebbe, oggi, contro la politica del «centro». La degenerazione del movimento è tanto alla testa quanto alla periferia; le sue cause profonde, sono storiche e sociali. Non abbiamo quindi nulla a che fare con la richiesta di libere consultazioni di popoli quali sono, e di partiti quali sono. La posizione che importa è che se anche, come è certo, la maggioranza votasse Stalin-Krusciov-Togliatti, noi seguiteremmo a combattere con ogni nostro mezzo l'indirizzo così suffragato, perché la dottrina internazionale ed antica del partito marxista insegna che è direttiva controrivoluzionaria, a chicchessia venga a piacere. E lo è specialmente per le sue inveterate dichiarazioni democratiche, progressive, nazional-indipendentiste, legalitarie e pacifiste.
D. - Adunque lei non condanna nel partito togliattiano la capacità di tornare ai metodi dittatoriali, terroristici, monopartitistici e repressivi di ogni movimento ideale od armato contro il dispotismo sovietico?
R. - Noi condanniamo in quel partito la irrevocabile rinunzia ad ogni capacità di condurre la dittatura rivoluzionaria di classe, terrorista e monopartitista, fino a che la resistenza della classe e degli ordinamenti capitalistici non sia piegata. Riteniamo che ogni Stato ed ogni potere costituito, non meno di quello oggi di Mosca o ieri di Berlino -non parliamo di Roma - sta al di fuori di ogni rinunzia all'impiego di mezzi spietati, nel caso che ne disponga e non abbia vie meno costose per salvare la sua sopravvivenza. La questione non sta dunque nei metodi, a cui i partiti stalinisti sono divenuti impotenti, al di fuori della Russia, ma nella natura sociale e storica delle forme di potenza di cui si tratta.
In dottrina noi siamo sul terreno su cui Livorno era, anche nella politica militante con forze apprezzabili prima che se ne praticasse la castrazione; e la nostra avversione all'impiego della potenza statale russa sta solo nel fatto che storicamente e socialmente non agisce più nel senso dell'abbattimento del potere capitalistico e della struttura sociale capitalistica, in Russia e negli altri paesi.
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Le domande e le risposte possono continuare, ma abbiamo raggiunta la prova socratica che volevamo fornire: una simile intervista non verrà pubblicata, anche se pronunziata, dettata o scritta, da nessun quotidiano che esista in Italia, né governativo, né di opposizione, né anarchico (se vi fosse), e lo scopo è raggiunto. Il risultato risponde ad un metodo antico, semplice e livornese: per mettere un investigatore fuori di combattimento basta rispondergli raccontandogli serenamente proprio tutto quello in cui consiste la nostra opinione. Infessisce d'urgenza, occupato a scoprire quello che gli si nasconde, come è suo mestiere.
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Se invece non si ha orrore delle pubblicate interviste ma se ne gode, e si gode di sentirsi cantare dagli altoparlanti, allora tutto cambia. Il nostro metodo sarà rifiutato. Si dirà invece che, per arrivare alle masse, bisogna trovare ogni tribuna che abbia risonanza: la grande stampa. la radio, la televisione. E saper cogliere le occasioni per arrivarci, e anche quella stupidissima che in questo momento, più o meno preelettorale, a stampa, radio o televisione fa comodo tutto quello che porta via aderenze e seguito al partitone togliattifero; e quindi ci danno (a chi?) la parola. Lenin disse che si doveva profittare del parlamento, eccetera. Questa posizione che la borghesia goda di vedere un'opposizione rivoluzionaria scagliare sassi nella piccionaia delle Botteghe Oscure, è per lo meno tanto idiota quanto quella dei togliattiani che per ripigliare i punti perduti contano su una condanna nel processo Montesi. L'una e l'altra cosa si basano sull' effetto tra le masse, e provano quali vie storte si andrebbero a trovare seguendo la norma di solleticare le masse medesime, quali sono uscite dal funesto decoro attuale.
Proprio le dichiarazioni ai microfoni di quel movimento a quattro lobi, che si compiace di richiamarsi alla tradizione di Livorno in modo più o meno tanto banale quanto quello dei giornalisti governativi, sono una prova - nel loro contesto - come con la mania che tutto sta nello sciogliere le masse da una oligarchia burocratica si ottiene l'effetto di peggiorare ancora l'impegolamento dei lavoratori italiani, come di altri paesi, nella paurosa assenza di principi cui si lavora da trent'anni. (Si veda, per chi ne abbia lo stomaco, l'intervista integrale Raimondi in «Azione Comunista»).
Non vale proprio la pena di commentare tutte le battute per dimostrare come l'ideologia comune al quadrifoglio (che non esiste, se vi si vede enunciare questa formula: accettazione di correnti diverse diramantesi da una piattaforma comune) sia enunciabile solo in quanto è una ideologia su cui hanno camminato, volte le terga al marxismo, gli staliniani, ultima edizione dell'eterno opportunismo che, riformista o libertario, insidia a decennali ondate, l'Internazionale proletaria. L'enunciazione è questa: il principio di libertà e democrazia popolare è generale e supremo: esiste una sua sottospecie particolare e cadetta, ed essa è il socialismo economico!
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Qualcosa tuttavia si deve pure notare al solo fine di svergognare un falso indecente, come quello di collegare tale ciarpame con la tradizione del Partito comunista d'Italia del 1921, con quella della Sinistra comunista italiana che dal 1920 lotta contro la degenerazione della Terza Internazionale, giunta fino a farne un cadavere, e del Partito comunista internazionalista che si formò in Italia durante la Resistenza scavando un abisso tra sé e il fronte sconcio della Liberazione Nazionale, che ha fabbricato tutta la attuale grandezza di quel povero e tartassato Togliatti.
Ad ogni passo il Quadrifoglio esalta gli ideali della Resistenza (da Imola per tutta la Resistenza!...) e non sa che la linea Imola - sinistra comunista si impianta così (fa pena che coi giovani ignari siano anche dei vecchi militanti imolesi e livornesi): quando nel 1922 Zinoviev a Mosca e Graziadei in Italia (uomini morti senza vergogna) ci dissero: avete generosamente lottato per un'offensiva rivoluzionaria del proletariato in Italia, ma avete perduto; oggi il fascismo ha vinto: il compito che la storia vi assegna è di essere la valorosa ala sinistra di un fronte antifascista (Tonino) e di lanciare in Italia la parola: viva la Libertà! (Gregori) - la nostra risposta a quei valentuomini fu dura: non è un linguaggio che marxisti possano tenere a marxisti; da oggi siamo da due parti, non di un cortese dialogo di corrente (come quello che Palmiro soffoca!) ma di una storica barricata.
Quando fu elaborato il tracciato di impostazione del partito comunista internazionalista, nel 1945, che pure era tutto costruito sullo svergognare il frontismo antifascista italiano e internazionale, la valutazione di una speculazione sulla energia rivoluzionaria proletaria, da parte dei balordi comandi partigiani, fu trovata concessiva da elementi milanesi.
Questi ed altri concetti storici mostrano che ben si può sputare da rinnegati su Imola, su Livorno e sulla connessa più recente tradizione del piccolo partito internazionalista, ma non è permesso portarle in un calderone ove da tutte le parti il bandierone stolido, ed americano, della resistenza viene levato. E levato come base per rivendicare «il diritto che ai lavoratori compete nella politica e nella produzione»! Questo poi ai microfoni vorrebbe dire indignarsi per «il camuffamento socialdemocratico del marxismo»? Noi conosciamo qualcosa di più disgustoso: il camuffamento marxista, e peggio se di sinistra della socialdemocrazia, della democrazia e del libertarismo!
Ma anche intrinsecamente questo tentativo di figliare piattaforme comuni, che non si reggeranno nemmeno come comuni palcoscenici, è insostenibile. Come esaltare la Resistenza, e poi dire che non bisogna essere strumenti di uno Stato, organi di una politica di potenza? Che cosa era la Resistenza partigiana se non lo strumento di Stati in guerra, tra cui la Russia, e della loro politica di potenza, che paracadutava dollari, munizioni ed armi senza i quali le brigate non sarebbero esistite? Allora la nuova dottrina è che, se si tratta di uno Stato comunista, servirsi del gioco della sua potenza è una porcheria, ma se sono Stati capitalisti, allora è pulita e nobile cosa! Abbiamo insegnato come si pone in dottrina questa questione. L'orrore della potenza è fesso, quando non si tratti di potenza del nemico giurato. Se di Stati comunisti ne avessimo - oggi non è - rinunzieremmo alla potenza statale che ci cala mitra, per batterci «con la coscienza diffusa tra i lavoratori, grande maggioranza dell'umanità, che può fermare pur disarmata i più grandi spaventosi apparati di repressione e di guerra»? Più anarchici, più fabiani, più gandhisti di così, si cade esanimi. Chiederemo agli apparati irti di armi il permesso; prima di tutto contateci, poi confessateci, e poi sparate i vostri cannoni e noi spareremo le nostre coscienze?! E bestemmieremo esser marxisti!?
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Ci si dirà: ma questi sono liberi apporti di una sola foglia del quadrifoglio, come un'altra, nella incalpestabilità delle coscienze, ci viene a servire un articolo sul tema che non operano nell'URSS le leggi fondamentali del capitalismo. L'economia russa è socialista, o un quid simile; ma allora la sua potenza di Stato fa schifo, o meno? Piccolezze, utili ad opinioni non «acritiche».
Il quadrifoglio è fatto così: ogni foglia volge ad uno dei quattro venti.
Vedremo allora se nella «mozione comune» non vi è la stessa improntitudine falsaria. Questo testo parte col programma del Partito comunista d'Italia votato a Livorno e stampato sulle tessere, ma poi si ferma se si torce la foglia anarchica, o quella trotzkista, o quella speruta per non aver dialogato con Togliatti.
Al punto 1 è stata ficcata la bestiale parola «formale», ed è diventato: Gli attuali rapporti di produzione sono protetti e difesi dal potere dello Stato che, fondato sul sistema della democrazia formale, costituisce l'organo di difesa degli interessi della classe capitalistica. Naturalmente la dizione non fu inventata a Livorno ma è un'espressione notissima di Marx e di Engels in cui la distinzione (tra legalitaria e libertaria, o tutte e due le cose assieme), tra democrazia formale e sostanziale, qui insinuata, non ha mai figurato. Che altro è dunque, pseudo e non nominabili internazionalisti, il far commercio dei principi?
In che diversa da questa la speculazione Stalin-Krusciov sul rispetto al marxismo-leninismo?
Al punto 2 l'abbattimento violento del potere borghese diventa l'abbattimento rivoluzionario. Quale foglia di fico! Anche la marcia su Roma vantò di essere rivoluzionaria, in cappello a cilindro.
Poi vi è una interpolazione gesuitica. Il proletariato non arriverà mai al potere né alleandosi con partiti borghesi - questo lo avevamo cancellato fin da Modena 1908, e anzi da Genova 1892, e non ce lo sognammo proprio a Livorno 1921! - ed ancora: né servendosi unicamente del suffragio elettorale per la conquista dei mandati elettivi nei parlamenti. In questo ineffabile avverbio unicamente vi è tanto che l'Unità ha avuto ragione di parlare di saragattismo. Anche Turati diceva che ad un governo che va contro il volere del parlamento si risponde con le carabine!
Tutto il rivoluzionarismo che è in questa gente è fame di medaglina. Compromesso per compromesso, lo potevate fare con la foglia anarchica! Ma hanno pescato dei tipi di anarchici parlamentari! e galoppini elettorali.
Al punto 3 si copia che: l'organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del proletariato è il partito politico di classe, ma si tace tutto il resto (per non parlare più del partito), ossia: il partito unifica gli sforzi della classe lavoratrice volgendoli dalle lotte per interessi di gruppi e per risultati contingenti alla lotta per l'emancipazione rivoluzionaria del proletariato. Si tace che: il partito ha il compito di diffondere nelle masse la coscienza (leggi la dottrina) rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materiali di azione e di dirigere nello svolgimento della lotta il proletariato (nella dittatura la lotta continua).
Si salva al punto 4 il 6 del diagramma, per cui: il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell'apparato di Stato borghese e con la instaurazione della propria dittatura... e si aggiunge: di classe (per sottolineare non di partito), togliendo le parole: escludendo da ogni diritto politico la classe borghese. Questo è un beguin, al pari anarchico e stalinista puro. Una fregnaccia degna della «democrazia formale».
Al punto 5, dopo aver detto col testo che: la forma della rappresentanza politica nello Stato proletario è il sistema dei consigli dei lavoratori già in atto nella rivoluzione d'Ottobre, si toglie: inizio della rivoluzione mondiale (perfino i trotzkisti entrati in fronte, loro mania, si declassano a stalinisti) e prima stabile realizzazione della dittatura proletaria; e si fa un banale «aggiramento ai nuovi tempi» con la più sconcia delle frasi; e avevamo sbagliato a dire che del partito non si sarebbe più parlato; se ne riparla per farselo perdonare: eh che sinistri di Livorno, che internazionalisti da gamba de legn!
Ecco la perla. «Dittatura (parola che non era nel periodo, ma la lingua batte dove il dente duole) non personale, non di comitato centrale, non di partito (di che allora? del canchero che vi frega?) ... ma esercizio totale autonomo, sul piano della più vasta democrazia, della volontà e del potere proletario negli organi della stessa dittatura».
Siamo arrivati agli esercizi sul piano e negli organi, come nella fraseologia classica di ogni intervistato al microfono quando glielo mettono sotto il pacchiano grugno. Dalle formule gloriose della dottrina di Marx, a frasario da processo di Venezia; ecco l'impresa dei truffatori del nome del Partito Comunista Internazionalista, truffatori che hanno voglia di perdere il diritto alla generosa designazione di innominabili, che usiamo nei rari accenni ad essi.
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Sulla trama di queste palpate di tasti e di organi si svolgerà il lavoro di «elaborazione di una piattaforma ideologica unitaria»!
I pochi compagni che vengono o dalle lotte degli anziani di Livorno o da quelle dei pochi giovani lavoratori che non si imbrancarono tra le ibride bande dei partigiani stalin-american-vaticani, non sentono il ribrezzo di queste elaborazioni puttaneggianti? Non sentono la grandezza della nostra antica luminosa linea senza storture e senza mercati, nemmeno su di una parola? Non vedono che questa del quadrifoglio è ancora una via perché la masse consumino, nella vellicata lubricamente loro impossibile volontà e autonomia, il tradimento di se stesse e della strada che la storia segnò loro con la luce del Manifesto del Partito Comunista, scritto da non vivi e quindi non ispiranti terrori di dispotiche guide?
Anche senza le masse e senza il successo del Quadrifoglio di fico, e senza il poco rumore che concedono gli altoparlanti alla sua pochezza, restino quei compagni nei limiti stretti ma netti e lucenti di un movimento anche di minimo numero, ma che non si sconfigge da se stesso nel rispetto di maggioranze sciagurate, perché schiacciate da una società sciagurata e maledetta così nella forma che nella sostanza dei suoi istituti infami: più infame di tutti quello della democrazia, sola moderna droga ai malati di libidine di potere.
il programma comunista, n. 5, 2 - 16 marzo 1957