il programma comunista, n. 14, 31 luglio 1970
Amadeo Bordiga morì a Formia il 23 luglio del 1970. Ricorre quindi questo mese il quarantesimo della sua morte e noi intendiamo ricordarlo nel nostro sito riproponendo, nel corso di questo mese, alcuni degli scritti che apparvero quaranta anni fa per ricordarlo.
Già in passato abbiamo ospitato alcuni di questi scritti (si veda ad esempio: Morte di un compagno che apparve su Le Fil du Temps, n 7 del novembre 1970 e che abbiamo riproposto il 22.9.2009).
Oggi riproduciamo un magnifico scritto che apparve, alla sua morte, su il programma comunista il giornale di partito che aveva ospitato tutto quanto egli scrisse, in forma anonima, dal 1952.
Una milizia esemplare al servizio della rivoluzione
Tradiremmo il gigantesco patrimonio teorico e di milizia pratica che Amadeo Bordiga ci ha trasmesso con dedizione eroica, riportandolo giorno per giorno alla luce dalla vena di puro diamante del marxismo e da un solco continuo di ciclopiche battaglie proletarie, se a queste prime e povere righe in sua memoria scritte nel tormento per la sua scomparsa dessimo il carattere del panegirico verso la persona, per quanto di rara statura, o dell'omaggio fugace all'uomo, per quanto legato a noi da vincoli molto più tenaci di quelli che si forgiano nel breve arco di una vita. Il suo insegnamento è stato ben diverso e ben più alto - e ci è venuto dalla sua stessa vita di severa rinunzia a tutto ciò che uscisse da quella vena e si discostasse da quel solco; ci viene perfino dalla sua morte sommessa di militante che chiude la sua lunga e diuturna battaglia avendo dato tutto e non avendo mai chiesto nulla.
Egli stesso nel 1924, commemorando Lenin ha dettato non la orazione funebre a se stesso, ma le parole che ad ogni militante, grande o piccola che sia stata la sua funzione nel movimento, devono essere rivolte quando l'inesorabile legge della vita e della morte l'abbia stroncato. Diamogli ancora una volta la parola, come gliel'abbiamo data tanti anni affidandoci a lui come a quella che egli amava impersonalmente chiamare «la sonda», e ben sapendo che dovevamo affidarci ad essa perché era la voce di un passato luminoso in uno squallido presente; diamogliela per sentirci ancora una volta tutti uniti - come nelle riunioni generali ch'egli inaugurò e condusse avanti fino a spendervi l'ultima goccia di energia -, tutti uniti dal vincolo ininterrotto fra lo ieri, l'oggi e il domani, alla cui salvaguardia egli ha sacrificato tutta la vita cercando di insegnarci che solo esso vale, perché è di una forza che non ha nome di persona, non appartiene individualmente a nessuno, non ha e non deve avere i segni infami della proprietà, vive e deve vivere al di là del cerchio angusto dell'io.
«Il colosso, e non da ieri, ha abbandonato l'opera sua. Che cosa significa questo per noi? Qual è il posto della funzione dei capi nell'insieme del nostro movimento e del modo con cui lo giudichiamo?» si domandava nella conferenza del 1924, pensando a Lenin da poco scomparso; e rispondeva: «Per noi un individuo non è una entità, una unità compiuta e divisa dalle altre, una macchina per se stante, o le cui funzioni siano alimentate da un filo diretto che la unisca alla potenza creatrice divina o a quella qualsiasi astrazione filosofica che ne tiene il posto ... La manifestazione e la funzione del singolo sono determinate dalle condizioni generali dell'ambiente e della società e della storia di questa. Quello che si elabora nel cervello di un uomo ha avuto la sua preparazione nei rapporti con altri uomini, e nel fatto, anche di natura intellettiva, di altri uomini. Alcuni cervelli privilegiati ed esercitati, macchine meglio costruite e perfezionate, traducono ed esprimono e rielaborano meglio un patrimonio di conoscenze e di esperienze che non esisterebbe se non si appoggiasse sulla vita della collettività. Il capo, più che inventare, rivela la massa a se stessa, e fa si che essa si possa riconoscere sempre meglio nella sua situazione rispetto al mondo sociale e al divenire storico, e possa esprimere in formule esteriori esatte la sua tendenza ad agire in quel senso di cui sono poste le condizioni dai fattori sociali, e il cui meccanismo, in ultimo, si interpreta partendo dall'indagine degli elementi economici. La più grande portata del materialismo storico, come soluzione geniale del problema della determinazione e della volontà umana, sta nell'averne tolto la analisi dal circolo vizioso dell'individuo isolato dall'ambiente e averla riportata allo studio sperimentale della vita delle collettività...
Il cervello del capo è uno strumento materiale funzionante per legami con tutta la classe e il partito; le formulazioni che il capo detta come teorico e le norme che prescrive come dirigente pratico non sono creazioni sue, ma precisazione di una coscienza i cui materiali appartengono alla classe-partito e sono prodotti di una vastissima esperienza. Non sempre tutti i dati di questa appaiono presenti al capo sotto forma di erudizione meccanica, cosicché noi possiamo realisticamente spiegarci certi fenomeni di intuizione che vengono giudicati di divinazione e che, lungi dal provarci la trascendenza di alcuni individui sulla massa, ci dimostrano meglio il nostro assunto che il capo è lo strumento operatore e non il motore del pensiero e dell'azione comune...
L'organizzazione in partito, che permette alla classe di essere veramente tale e di vivere come tale, si presenta come un meccanismo unitario in cui i vari "cervelli" (non solo certamente i cervelli, ma anche altri organi individuali) assolvono compiti diversi a seconda delle attitudini e potenzialità, tutti al servizio di uno scopo e di un interesse che progressivamente si unifica sempre più intimamente nel tempo e nello spazio. Non tutti gli individui hanno dunque lo stesso posto e lo stesso peso nella organizzazione; man mano che questa divisione dei compiti si attua secondo un piano più razionale (e quello che è oggi per il partito-classe sarà domani per la società) è perfettamente escluso che chi si trova più in alto gravi come privilegiato sugli altri. L'evoluzione rivoluzionaria non va verso la disintegrazione, ma verso la connessione sempre più scientifica degli individui tra loro.
Essa è antindividualista in quanto materialista; non crede all'anima o a un contenuto metafisico e trascendente dell'individuo, ma inserisce le funzioni di questo in un quadro collettivo, creando una gerarchia che si svolge nel senso di eliminare sempre più la coercizione e sostituirvi la razionalità tecnica. Il partito è già un esempio di una collettività senza coercizione».
Questo aveva detto colui che per noi, in questi anni di travagliata ma entusiasmante ripresa del «filo del tempo» era ed è stato sempre e soltanto «Amadeo»; non il «migliore» corteggiato e magari tradito, ma il magnifico «strumento», la splendida «macchina» attraverso la quale passava - e si trasmetteva ai figli di generazioni nate sotto il triste segno non più della rivoluzione vittoriosa o in marcia verso la vittoria, ma della controrivoluzione cinicamente trionfante - la corrente ad altissimo potenziale del marxismo; e diciamo marxismo come l'abbiamo sempre inteso noi della Sinistra, non come astratta teoria sulle cui gemme chinarsi in quotidiana venerazione pretesca, ma come arma lucida e tagliente di cui non si deve mai perdere l'impugnatura, cioè la direzione verso l'obiettivo, e per salvare la quale, affinché non si smarrisca nei vortici della sconfitta, bisogna saper sacrificare tutto, prima di ogni cosa l'ignobile se stesso, così come per usarla bene quando la battaglia divampa, è necessario distruggere le debolezze, le miserie, le vanità, gli stupidi orgogli, il meschino «libro dei conti» dell'individuo, per salvarne e utilizzarne le potenzialità sane o addirittura preziose nell'interesse della «classe-partito».
Quella corrente ad alta tensione non era, come non è e non sarà mai (egli diceva a proposito di Lenin) «di soli dati intellettivi»: era e sarà fatta soprattutto di passione, diciamo pure di cuore, per contrapporre un organo del corpo - il più generoso e il più saldo - a quello di cui il borghese va tanto orgoglioso proprio perché è il più fragile, il più incline al calcolo, il più vulnerabile alle seduzioni del grande palcoscenico; era ed è fatto di partecipazione vissuta alle battaglie della classe oppressa, al sangue versato con eroica abnegazione da centinaia di migliaia di militanti anonimi, ai sacrifici offerti senza nessuna pretesa di ricompensa da proletari che agivano d'istinto prima ancora di sapere, da incolti che non sognavano mai di chiedere anticipatamente o di presentare poi il conto delle proprie splendide audacie di combattenti, tanto più alieni dal risparmiarsi quanto meno inibiti da fardelli culturalistici e da remore cerebraloidi.
E come la corrente, così la macchina-Amadeo attraverso la quale essa continuò a passare senza alternanze di fasi sull'arco di un sessantennio era almeno altrettanto passione quanto dottrina, almeno altrettanto cuore quanto cervello; era anzi teoria e cervello solo perché sostenuti ed alimentati da passione e cuore, una passione che non conosceva confini, un cuore che non saltava un battito.
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Tre cicli storici si erano accumulati nei suoi poderosi ingranaggi: gli anni della preparazione rivoluzionaria, nella lotta tenace contro le ricorrenti malattie del riformismo, del parlamentarismo, del centrismo parolaio e traditore, dell'anarchismo o del sindacalismo negatori del Partito e della dittatura e contro la vergogna somma del socialpatriottismo, dal 1912 al 1919; gli anni della rivoluzione tumultuante nelle viscere della società capitalista ed esplosa nel suo anello più debole, quando si trattò non soltanto di costruire il partito, ma di farlo operare senza tentennamenti o nostalgia di ritorni indietro, nell'avversa come nella buona fortuna, dal 1919 al 1923; gli anni della controrivoluzione, quando il poderoso strumento del Partito Mondiale venne prima a poco a poco demolito, non avendone coscienza, per aver smarrito il duro ma rettilineo cammino che aveva portato all'Ottobre, e per essersi illusi di raggiungere più in fretta la meta gloriosa per la via più facile e breve delle manovre elastiche e dei compromessi a danno dei principi, poi venne coscientemente schiantato col rullo compressore del potere statale russo strappato dalle mani della classe proletaria e rivolto contro di essa.
E l'enorme ventura delle giovani generazioni proletarie che dalla melma di quarantacinque anni di controrivoluzione sono chiamate a risalire la china verso battaglie altrettanto gigantesche e più risolutive, e la risaliranno - una ventura di cui è tanto vero che nel Partito essi hanno già coscienza, quanto è vero che a noi di generazioni più sfortunate è stato difficile acquisirla - questa ventura è che dell'età dei grandi rivoluzionari uno almeno abbia resistito, fermo al suo posto, anche nel più disperato isolamento, con la stessa tenacia e lo stesso spregio della popolarità nei giorni in cui il volgo non soltanto dei gazzettieri lo ammirava alla testa di un Partito negli statuti del quale (riprendiamo la conferenza del 1924) non era scritto né «capo», né «comitato di capi», ma ogni individuo occupava naturalmente il suo posto come esigeva e dettava «la dinamica del movimento e non la banalità di consultazioni elettive», con la stessa tenacia e uno spregio ancor più sconfinato della popolarità e del «successo» nei giorni ben altrimenti difficili in cui il volgo dei gazzettieri lo immagina o lo presenta «ritiratosi dalla vita politica», ed egli invece martellava, nella solitudine che tanti rivoluzionari avevano conosciuto prima di lui, l'antica canea d'acciaio del marxismo rivoluzionario, perché si incarnasse finalmente in un Partito, anche forzatamente piccolo, anche temporaneamente senza eco, certo e per sempre ignaro di pennacchi e galloni, ma che crescesse e lottasse su una via ed una sola. Non per libera scelta, ma per determinazione storica, «Amadeo» fu e rimase lì a condensare nell'efficientissimo serbatoio della sua macchina di lavoro il bilancio e quindi l'insegnamento di questi tre periodi dialetticamente uniti. E appunto perciò egli ha potuto essere, come Lenin, il restauratore del marxismo su un piano perfino più alto, non per virtù personali, ma per collocazione storica, eliminando fin l'ultimo anello di congiunzione con qualunque residuo, anche involontario, esteriore e linguistico-formale, di democratismo.
Un compagno, un compagno qualunque in questa nostra piccola ma fervida collettività di militanti, che traggono forza non da se stessi, ma dal possesso collettivo di una tradizione emanante da un lungo passato di azione rivoluzionaria, ha detto giustamente che «Amadeo» sarà forse l'ultimo rivoluzionario al quale un nome e un cognome restino legittimamente legati, non perché così volesse lui, né perché egli vi riconoscesse (tutt'altro!) l'ideale cui tendere, ma perché la corrente ad altissimo potenziale del marxismo aveva ancora bisogno di questi poderosi «tralicci umani» emergenti al di sopra di una pur solida e ben cementata «base».
Nella conferenza del 1924, egli stesso aveva anticipato - e in parole rimaste incise nella nostra memoria le ribadì nelle roventi pagine di demolizione del «battilocchio» - il giorno in cui i militanti avrebbero tratto dall'immenso dolore per l'arresto della «macchina possente e mirabile» di Lenin la «certezza che la funzione di essa si continua e si perpetua in quella degli organi di battaglia nella direzione dei quali egli ha primeggiato»; aveva previsto ed auspicato il giorno in cui il Partito più o meno numeroso secondo le circostanze e non per «scelte» labili e sempre fugaci, si sarebbe mosso come corpo unitario e anonimo nella connessione «sempre più scientifica» e nella integrazione «sempre più razionale» delle sue forze, per esili individualmente che fossero, e in cui alla superiore potenza di una o due o dieci macchine poderose sarebbe stato possibile supplire con rotelline più modeste e cinghie di trasmissione meno geniali ma sicuramente fuse nel comune lavoro organico, e spoglie di ogni attributo personale; aveva antiveduto il giorno in cui i proletari non avrebbero più aspettato che «venisse qualcuno» a portar loro la salvezza, ma sarebbero insorti tutti insieme, attratti da una gigantesca forza collettiva, da un campo magnetico senza connotati anagrafici, tanto più irresistibile quanto meno legato all'attesa dell' Uomo o del comitato di aspiranti ad un posticino nel Pantheon di una gloria bottegaia; aveva preannunziato il giorno in cui la classe si sarebbe levata tutta d'un pezzo, insieme e intorno al suo Partito, avendo distrutto nel proprio cuore immensamente generoso il mito della «necessità dei pontefici, dei re, dei "primi cittadini", dei dittatori e dei duci, povere marionette che si illudono di fare la storia».
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All'altezza di questa visione - una visione che supera di milioni di miglia ogni idealismo ed ogni fideismo -, noi dobbiamo, noi tutti, cercare di levarci e di saperci tenere, E' forse questo l'insegnamento più duraturo, anche se il meno ponderabile, che ci lascia la vita di un militante il cui sforzo fu d'essere già oggi l'uomo del domani comunista, libero dalle incrostazioni secolari dell'individualismo borghese, paziente nell'ora difficile come impetuoso nell'ora lieta, candido verso i compagni e severo con se stesso, non mai stanco di dare sapendo che tale è la missione di chi più ha ricevuto e sempre riceve - e che sul filo di questa feroce coerenza, così avara di onori e di applausi, e così negatrice di compensi, è vissuto non con pena, ma con gioia.
I pochi che non per elezione, ma per fatalità, hanno seguito le spoglie del loro compagno - fino in un umile cimitero di campagna, hanno sentito - esattamente come quelli che per la stessa fatalità non hanno potuto farlo - il grande battito d'ala di un secolo e mezzo di movimento rivoluzionario. Sanno, e lotteranno per non dimenticarlo, che su quella traccia è luce e forza, fuori di essa è buio e infamia. Le vite spese al servizio del proletariato mondiale non si misurano ai «successi» o agli «insuccessi» né di un giorno né perfino di decine di anni: si misurano al metro, ignoto agli «storici» non meno che ai gazzettieri, di un'invarianza non solo nella fedeltà alla dottrina, ma nella conformità ad essa in ogni atto della vita. La forza che tiene l'individuo sulla linea, diritta anche se a volte accidentata, della classe per la quale è stato chiamato a lottare da oscure determinazioni, non può venirgli dal viscido mondo in cui egli è oggi condannato a vivere, ma può venirgli soltanto dalla milizia in un organismo anonimamente costruito sulle dure esperienze del passato, tra i bagliori di fiamma della rivoluzione come nei foschi tramonti della controrivoluzione.
Ricordarlo, non in astratto ma nella vita quotidiana, è veramente far rivivere con Amadeo le schiere di militanti che, nella frase di Marx, hanno difeso, propugnato, salvato nel presente - qualunque presente, anche e soprattutto il più torvo e sconsolato - l'avvenire del movimento comunista.
il programma comunista, n. 14, 31 luglio 1970