il programma comunista, n. 7, 1 - 14 aprile 1963
Riproponiamo oggi l'articolo di fondo di un numero del nostro giornale del 1963. Si affacciano i problemi tra Russia e Cina e si intravede il loro dissidio con "libretti rossi" all'orizzonte; sono sempre presenti le solite infamie di casa nostra.
E' una buona lettura rispetto a quanto ci propone l'attualità: che sia forse meglio dedicarci al nostro inarrivabile numero 1 con il suo viaggio in Israele, il suo intervento alla Knesset o a quanto asserirà con i palestinesi e cioè della forte volontà di Israele di riprendere il dialogo con loro? Oppure prendere il considerazione il suo sogno "Ho un sogno: che Israele possa entrare un giorno nella Unione Europea".
Se potessimo esprimere e realizzare un qualche desiderio sarebbe che le isole Figi fossero accolte nella Unione Europea e che il nostro leader maximo con la sua vagonata di accompagnatori trovasse una dolce dimora definitiva in quelle rive del mediterraneo come un altro gran politico nostrano (che a lui piaceva) la trovò ad Hammamet. Ma non ci è dato di fantasticare, anche se ... per cominciare ...
Castità ideologica o fornicazione militante?
Quando in tutto il mondo una forma sociale sopravvive a se stessa, la sua ideologia e la sua putrescente «intelligentsia» non si possono alimentare che di annunci e di attese alla quota dei «vertici».
Per qualche breve nota dobbiamo seguire lo stile della forma nemica, mentre svolgiamo la opera diuturna di tradurre i suoi balbettamenti nel linguaggio rivoluzionario del marxismo, che ci consentirebbe di tutto narrare senza nominare Krusciov e Mao; o - in queste piazzuole di provincia - Togliatti e Fanfani; e di discutere la questione della «personalità» senza bisogno di fare altri piani scenografici maneggiando in alterne luci ed ombre il dispettoso cadavere di Giuseppe Stalin, che non riescono a deporre in decente oblio, anche se e quando lo vogliono.
Krusciov è quello che si «è fatta una posizione meglio di Cavurre» (come una brava consorte borghese diceva di Salandra) con la condanna del culto della personalità. E da allora lo stato più vasto del mondo paga i diritti di pubblicità ai giornali di massima tiratura per inserire le sue res gestae! Adesso avrebbe tagliata un'altra peregrina coda di cane, mandando in giro, tra colonne e colonne di stampa un'altra formula: Non so che sia la libertà assoluta della persona, ma ritengo che non ci sarà mai nemmeno nel comunismo completo!
Non valeva la pena di spese per comunicare questa novità a noi. Le forme storiche non comuniste se ne sono tutte fregate della libertà assoluta e relativa per la persona assoluta e relativa, fino a quella del Re Sole; ma noi comunisti non di falso conio non la abbiamo mai messa tra i traguardi della marcia, nemmeno relativa, della rivoluzione.
Tali scoperte fatte dal «vertice» che si appunta in lui, le comunichi piuttosto nei messaggi di famiglia al papa, e si sentirà dire che la libertà assoluta della persona si può enunciare solo in Dio. E provi a far rispondere, come farebbe ognuno di noi marxisti impersonali: sono senza Dio.
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Ecco i problemi di attualità nel linguaggio dei comuni picchiatelli stipendiatelli. Perché Krusciov risuscita Stalin e adotta l'altra audace tesi che la coesistenza politica diplomatica e statale resta, ma coesistenza ideologica tra capitalisti e comunisti non vi può essere mai? Per tenere buono Mao, al quale ha rivolto l'invito a conversazioni al vertice?
Perché, per i giornali ingolfati come quello del partitaccio italiano nella sbornia elettorale, ha poca importanza la zuffa o la pace tra Krusciov e Mao, o la strigliata agli artisti ed intellettuali russi che quelli sorbiscono in santa pace ed in veste di giullari di corte che il pan rubano in dispensa, ma i caratteri di scatola e le prime pagine vanno riservate al traguardo sacrosanto del 28 aprile, alla diffusione ulteriore delle pisciate incredibili che hanno allagato gli schermi televisivi, con l'impiego proprio di quegli artisti ed intellettuali che con termini di stile insuperabile si dicono apparentati, ed ingaggiati?
La manipolazione è la stessa, e pari l'assenza totale di ogni esitazione nel fornicare commerciando principi ideali, o patti politici, o basse combines schedaiole; ma per capirci qualcosa, va spiegato che si tratta di due campi, di due piani, per compiacere il gergo di moda, ben distinti.
Alla scala di quei supervertici che parlano di Washington, Mosca o Pechino, si tratta del rapporto tra forze di mostri pronti a coprirsi di armi, dei mostri statali o anche mostriciattoli, se vediamo sulle scene anche Albania e Vietnam. Comunque, quando gli stati dialogano si preoccupano poco della ideologia e dei principii. Se è vero il nuovo dogma di Nikita che nella ideologia non si fanno compromessi (ammirate!) è anche vero che la vera sede del compromesso è il gioco tra le unità statali. Su questo piano sognammo una volta che nel campo delle rivoluzioni vittoriose il legame tra i partiti avrebbe sotteso quello tra gli stati, e davvero si sarebbe lavorato alla quota della dottrina e non a quella del mercato di vacche. Ma da Mao è stato mandato l'ambasciatore dello stato russo, ad offrire le conversazioni.
Si tratta dunque di conversare sugli interessi di stato e non su filosofie politiche. Mao non chiederà che si riabiliti la linea di Stalin, ma discuterà la convivenza di Mosca con l'Occidente chiedendo che sia condizionata a certi vantaggi per Pechino, come la defenestrazione di Formosa dalle nazioni Unite.
Perché sul piano dei principi Mao vale Nikita e concorda con le tradizioni di Stalin oggi rimesse in alto: la rinunzia alla rivoluzione universale, che nel 1926 provocò il dissidio con Zinovief e Trotsky, veri rivoluzionari marxisti e leninisti testé risqualificati, e la rinnovata condanna di Tomsky Rikov e Bucharin per la falsa accusa di non avere voluto entro la Russia la industrializzazione e la collettivizzazione agricola, che appunto in quanto Stalin scannò tutti quei sani rivoluzionari ha degenerato in una economia industriale e terriera borghese e piccolo borghese.
D'altra parte se Krusciov vuole sedurre Mao deve riabilitare lo Stalin di un'altra fase storica (in essa noi già lo vedemmo transfuga della scuola di Marx e di Lenin) in cui, pure smontando i partiti comunisti di occidente, contava dopo la seconda guerra di immergere un ferro freddo statale e militare nelle reni ancora molli di America ed Inghilterra. Cioè gettare al macero la teoria della coesistenza e della pace futura.
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Veniamo agli squallidi crocicchi italici in cui si tengono i comizi, e agli ancora più squallidi salotti da mezze calzette, col televisore e il moderatore. Quanto siamo scurricolati più sotto di quanto sfottevano Turati buonanima: nel bel mezzo del salotto, dalle sedici alle otto, splende il sol dell'avvenir!
Se da sempre la democrazia è per noi stata emetica, anche quando nel discutere di candidati e di voti ci scappano le coltellate, davvero la forma attuale ha superato ogni massimo dello schifo.
Non siamo più sul piano dei mostri, e su quello dei colpi di Stato in cui generali e colonnelli si alternano nel salire al potere e sul patibolo. Siamo sul piano dei milioni e milioni di gonzi meritatamente presi e lasciati per tali. Non si tratta più della dialettica dei vertici cozzanti, ma di quella della presa degli insensati elettori per i controvertici, per il fondello dei pantaloni.
Non vi è membro della «intelligenza» italiana che non sia in attesa del «corso nuovo» che si aprirà il 28 aprile.
Che cosa verrà dopo le elezioni? Ma nulla, nulla come sempre, nemmeno una fettina di quel nuovo che potrebbe dare una mangiata di colonnelli in eretismo o un plotone di guardie di pubblica sicurezza a custodia dell'ordine.
Il grosso blocco centrale della democrazia cristiana sarà quello di oggi, con qualche per cento in più o in meno. Avrà lo stesso vantaggio di stare nel mezzo e la eterna scelta di fare un fischio a destra se non tornasse il livido conto parlamentare.
Che avrebbe detto Stalin (senza, si capisce, commuovere noi)? La sola possibilità di rovesciare gli equilibri e vibrare poi qualche colpo alle reni sta proprio nel rinnegato frontismo, nel tentativo di una maggioranza tutta a sinistra, solo mezzo di scavalcare la famosa DC.
Non si può? Infatti. Vi è troppa fame di fette di potere, e di posti nel sottobosco del governo. I socialisti, molti comunisti, non possono aspettare. Quindi la formula sciagurata della apertura a sinistra ha il successo garantito. E nessun nuovo corso si aprirà, nel senso di Palmiro.
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Nello sferzare i deformi artisti della decadenza russa, bassa copia di quella occidentale (e come altrimenti, dopo il vero tradimento di Stalin?) Krusciov ha avuta un'altra frase. Non dovete istigare i figli contro i padri! Se fosse vero che i padri fecero Ottobre, il loro ideale rivoluzionario poteva essere un socialismo di grado inferiore, statizzatore, espropriatore nel buon vecchio senso ingenuo di mezzo secolo fa. Allora la nuova generazione non sarebbe andata contro, ma avrebbe fatto il passo dialettico ulteriore: verso il comunismo superiore, che non vuole mercato, aziende, carriere e denaro. Ma la linea luminosa è stata rotta, e la generazione giovane (le sia vergogna) risdrucciola nel culto schifoso del vitello d'oro, insulta i padri e bestemmia Lenin. Se ci fosse in Russia una gioventù rossa, non crederebbe né agli Eherenburg né ai Krusciov, supremi ciarlatani.
E se ci fosse in Italia, spezzerebbe la catena della truffa democratica, e sputerebbe nelle urne sozze della degenerazione sociale, sulle monete oscene di un posticino a stipendio nel sottobosco dei corrotti e dei vili.
il programma comunista, n. 7, 1 - 14 aprile 1963