Il Ponte, fasc. 6, 1972
Il ricordare con questa recensione di Giancarlo Bergami il bel libro di Michele Fatica Origini del comunismo e del fascismo a Napoli è un invito alla sua lettura (o rilettura), soprattutto per chi non conosce le origini e gli albori del comunismo in Italia. L'invito vale anche se, purtroppo, il libro è da tempo esaurito, fuori commercio e rappresenta una rarità da bibliofilo.
Amadeo Bordiga e le origini
del movimento comunista napoletano
Si presentano a Napoli, tra il 1911 e il 1915, acuite dal fatto che su di una superficie urbana ristretta il sottosviluppo si scontra con punte isolate di accelerazione industriale, talune delle contraddizioni e ineguaglianze tipiche del processo di accumulazione capitalistico nazionale. Il sorgere contemporaneo di ideologie «fasciste» e socialiste di sinistra in un quadro tanto poco omogeneo di forze sociali differenziate o naturalmente contrapposte è però una spia che può definire la fisionomia del capitalismo italiano in quel momento.
E l'incubazione di tale crisi, che racchiude in sé il modello di organizzazione politica della lotta successiva, si colloca a ragione negli anni immediatamente precedenti l'entrata in guerra dell'Italia, «quando l'industria pesante, siderurgica e meccanica, minaccia la crisi per la carenza di commesse militari, e l'industria tessile, afflitta da problemi di sovrapproduzione, tenta, con l'ausilio dello Stato di praticare il dumping per la conquista di nuovi mercati» (1). La partecipazione alla guerra mondiale è quindi il tentativo del sistema economico italiano, quasi un punto di approdo obbligato, di adeguare le proprie risorse e i propri interessi oggettivi al ritmo di crescita materiale e alla logica dell'imperialismo mondiale; l'occasione per impadronirsi armata manu di più sicuri sbocchi commerciali e incentivare la produzione di quei settori che devono incessantemente ricostituire quanto la guerra consuma e distrugge.
L'area metropolitana di Napoli sembra possedere i caratteri di una vera e propria metropoli industriale nell'età dell'imperialismo, ospitando alcune industrie cruciali della produzione di materiale bellico e dando luogo a interessanti fenomeni di compenetrazione tra interessi pubblici e privati al livello della mediazione e dell'intervento delle autorità statali e amministrative. Di qui la presenza, commista alle schiere numerose del sottoproletariato cittadino, di un'avanguardia operaia composta di quadri politici e sindacali selezionati, quegli stessi già distintisi durante la Settimana Rossa del giugno 1914.
Si segnaleranno allora accanto a Bordiga militanti come Giovanni Sanna (2), Gerardo Turi (3), Gino Alfani (4), Francesco Misiano (5), una delle guide dell'insurrezione. Il gruppo si era tuttavia affermato qualche tempo prima nella lotta contro la tattica del socialismo napoletano di invocare l' «unione di tutti gli onesti» e la sua rinunzia dei principi rivoluzionari e dell'azione classista.
Contrariamente alle versioni ufficiali, in auge fino a pochi lustri addietro, della storiografia comunista, che tacciavano di rozzezza teorica e di angustia provinciale le tesi bordighiane in quanto frutto dell'arretratezza economica e delle strutture civili della società meridionale, il Fatica sottolinea il salto di qualità fatto compiere al movimento di classe dall'elaborazione del fondatore del circolo Carlo Marx e dei suoi amici. Egli è rigorosamente impegnato nella critica di deviazioni e sbandamenti opportunistici, di uno dei vizi più gravi della degenerazione italiana: la cattiva abitudine di «ficcare la morale nelle questioni politiche e di classe». La polemica investe il «blocchismo», ma sono già analizzate le ragioni del «mancato sviluppo del movimento e della coscienza socialista nel Mezzogiorno» (6).
Si manifesta la contraddizione, e insieme il punto di maggior forza del riformismo, dell'avanzata delle idee socialiste in una regione in cui si nota specialmente «l'assoluta insufficienza politica e intellettuale delle classi dirigenti, lo scarso livello della loro cultura, il loro misoneismo e la loro pigrizia accidiosa di fronte ai gravi problemi sociali». L'errore dei socialisti è di lasciarsi attrarre nell'orbita della piccola borghesia senza programma; la piccola borghesia rurale è anzi «una vera entrave per i movimenti del proletariato, con cui è legata da mille intrecci di complessi rapporti economici».
Agendo concretamente nelle tensioni e nei contrasti tra i socialisti bloccardi Bordiga riesce a esercitare mano a mano un controllo sempre maggiore nella sezione socialista locale. Un episodio significativo di questa lotta è dato dalle elezioni amministrative del luglio 1914, in cui egli si scontra ripetutamente con i socialmassoni e i moderati del tipo di Oreste Gentile, segretario della Borsa del Lavoro, e Carlo Altobelli, deputato socialista di Napoli e amico personale di Antonio Salandra, affermando la sostanziale identità ideologica tra borghesia democratica e borghesia liberale o denunciando la subordinazione del potere amministrativo a quello politico.
Viene ripresa con severità ogni vuota esibizione di vanagloria personale ad opera di chi «si arroga la missione di civilizzare e educare il popolo», mentre ci si dichiara scettici sulla possibilità di attuare a livello amministrativo un programma socialista, sia pur minimo, finché il potere centrale sia saldamente detenuto dalla borghesia. E' in particolare preso di mira il trasformismo dei socialisti massoni che invischiati nell'ossessione elezionistica si legano al carro democratico senza prima definire un programma di mutuo accordo, limitandosi piuttosto ad agitare il vecchio motivo del municipalismo ossia del «bene supremo» di Napoli che deve essere «superiore alle esigenze di partito». Proprio su tali premesse avveniva intanto l'avvicinamento di non pochi esponenti «socialisti» alla classe dirigente conservatrice, sacrificando alla strategia del grande capitale anche le scelte dei piccoli e medi operatori economici.
Sintomatici a questo proposito i rapporti intercorsi tra l'Altobelli e il primo ministri Salandra (7); ma anche il comportamento di Arturo Labriola, che si mostra adesso conquistato, auspice il ministro degli Esteri Antonino di san Giuliano, dagli orientamenti della politica ministeriale, dimenticando del tutto la sua ostilità a Salandra «spettro del '98». Analogo il discorso da fare per l'Altobelli, pronunziatosi in favore dell'intervento italiano in guerra perché il paese non rimanga nella resa finale dei conti «a mani vuote»; o per Ettore Ciccotti che «socialisticamente benedice l'intervento come guerra di difesa preventiva contro l'inevitabile spedizione punitiva dell'Austria-Ungheria»(8). Né le motivazioni dei democratici Tommaso Senise e Leonardo Bianchi, già legati ai circoli giolittiani di Napoli, sono diverse, richiamandosi piuttosto «alla missione e al destino dell'Italia risorgimentale».
Di fronte alla smania piccolo borghese, alla loro confusione e incoerenza ideale, e alla vocazione ministeriale dei socialisti indipendenti di Napoli occorre infine riconoscere le doti di abilità e accortezza diplomatica di Salandra. che raggiunse largamente gli obiettivi della «concordia nazionale» e di un ampio schieramento ideologico in favore della guerra. Il Fatica nota la sostanziale continuità delle regole della democrazia parlamentare da Giolitti a Salandra, accogliendo quest'ultimo abbastanza spregiudicatamente tutti quei suggerimenti, raccomandazioni, proteste in grado di rafforzare e dare credibilità nel paese alla sua guida politica (9).
Lo stesso Benedetto Croce non si sottrae a questa generale conversione, continuamente confortato nel periodo della neutralità e fino al giugno 1916 che «l'onore e il bene d'Italia» siano affidati al conservatore pugliese e a Sonnino (10).
Lo studio del Fatica offre quindi l'occasione per una riflessione puntuale sul significato dell'attività di un personaggio che non fu soltanto quel triste reazionario, «pacchiano parvenu» additato finora dalla pubblicistica democratica. Pregio non secondario questo, di un lavoro che contribuisce, al di fuori di ogni valutazione moralistica, alla migliore conoscenza delle proposte autonome del giovane Bordiga nella crisi del riformismo giolittiano e delle tendenze bloccarde del socialismo napoletano.
Note
1 Cfr. l'introduzione dello studio di Michele Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli (1911-1915), Firenze, La Nuova Italia, 1971, pp. 529, L. 4.000.
2 Lo studioso meridionale di problemi agrari ed economici, futuro redattore della bordighiana «Rassegna Comunista» che divideva «con il Gramsci le preoccupazioni di realismo politico apprese alla più feconda scuola politica che l'Italia abbia avuto in questo scorcio di secolo: "L'Unità" di Gaetano Salvemini» (P.Gobetti, Storia del comunisti torinesi scritta da un liberale, «La Rivoluzione Liberale» a. I, n. 7, 2 aprile 1922; ora in Opere di Piero Gobetti I, Scritti politici, Torino, Einaudi, 1960, p. 294).
3 Un giovane socialista rivoluzionario irpino morto al fronte nel corso della prima guerra mondiale, certo meritevole di venire meglio conosciuto. Su di lui abbiamo intanto un breve profilo tracciato nel 1915 da un funzionario della prefettura di Napoli; ora in appendice all'op.cit. di M. Fatica, pp. 476-487.
4 Segretario della Camera del lavoro di Torre Annunziata, che nel corso della guerra diventò «una delle più salde roccaforti della CGL, schierata sulle posizioni più avanzate, non solo nel Sud, ma sul piano nazionale. Lo stesso Alfani, nel dopoguerra, entrò a far parte della Direzione nazionale del Psi come esponente del massimalismo elezionista» (A. De Clementi, Amadeo Bordiga,Torino, Einaudi, 1971, p. 22).
5 Le vicende biografiche di questo fermo sostenitore dell'autonomia classista, dalla Settimana Rossa all'opposizione irriducibile contro la guerra e alla battaglia internazionale, sono affrontate per la prima volta da Franca Pieroni Bortolotti nel volume Francesco Misiano. Vita di un internazionalista, Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 270, L. 2.000. La ricerca, che non riesce a celare qua e là un tono apologetico del personaggio, si propone di evitare «la bipolarizzazione ordinovismo-bordighismo nella descrizione delle origini del P.C.d'I.», spostando l'attenzione alle altri correnti accomunate «nella definizione di massimaliste e che pur tuttavia conoscevano notevoli differenziazioni interne» (p.9).
6 A. Bordiga, Il socialismo meridionale e le questioni morali, «Avanti!» dell'1.11.1912; ora in Storia della sinistra comunista. Nuova raccolta di scritti 1912-1919, I bis, Milano, Edizioni il programma comunista, 1966, pp. 9-12.
7 Cfr., nell'op. cit. di M. Fatica, l'appendice dedicata a un interessante carteggio inedito tra i due, pp. 492-499.
8 Op. cit., p. 296
9 Una valutazione del genere, altrettanto duttile ed equilibrata, avevamo incontrato in G. Carocci (Giolitti e l'età giolittiana, Torino, Einaudi, 1961, p. 166): «A differenza di Sonnino, Salandra si rivelò un abile parlamentare, datato di alcune delle qualità - non fra le più elevate - che avevano fatto la forza di Giolitti. Mentre Sonnino aveva opposto al programma di Giolitti un altro programma, con l'ambizione di attaccare e battere frontalmente l'avversario, Salandra aveva intuito, intorno al 1912, che il solo modo di combattere il giolittismo era usare le sue stesse armi, penetrare nel suo interno e di qui eventualmente corroderlo. Per questo, sembra, nel dicembre 1913, aveva fatto professione di ministerialismo giolittiano in misura assai maggiore di Sonnino. Salandra ebbe cura di far nascere il suo ministero sotto l'alta tutela di Giolitti, quasi di mimetivizzarvisi. Nonostante le pressioni degli ambienti conservatori, egli mirò, giolittianamente, a non forzare la mano contro i socialisti e seppe fronteggiare con morbida fermezza il disordinato movimento rivoluzionario del giugno 1914».
10 Cfr. la lettera affettuosa all'on. Antonio Salandra dell'11 giugno 1916 in B. Croce, Epistolario I, Scelta di lettere curata dall'autore 1914-1935, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici,MCMLXVII, p. 11. «E tutte le sue dichiarazioni - a giudizio di Fatica - sia pubbliche che private, rilasciate nel periodo della neutralità sottolineano il rapporto di fiducia con il governo presieduto dal suo amico Salandra, di cui bene interpreta, insito nella dichiarazione di neutralità, il possibilismo aperto alla decisione di una "guerra nostra" che è poi la formula che più delle altre lo alletta» (op. cit., p. 327).
Giancarlo Bergami
«Il Ponte», 1972, fasc. 6, pp. 822-826