Prometeo, n. 139, 22 novembre 1936
Con questa finiscono le quattro puntate che abbiamo dedicato al n. 139 di Prometeo del 22 novembre 1936. Il Luciano che firma l' ultimo articolo qui riportato è Giacomo Stefanini (Palmanova 1903 - Milano 1970) detto anche Mauro o Luciano. Militante comunista venne arrestato nel 1926 e condannato a 15 anni di galera; scarcerato dopo nove anni, emigrò in Francia e si legò alla Frazione. In Italia verso la fine della seconda guerra mondiale, partecipa poi alla formazione del Partito comunista internazionalista; è implicato (e incriminato) nei primi anni del dopoguerra con la sua compagna Anna Maria Falorni nelle indagini sull'omicidio del fascista toscano Lapo Viviani della Robbia. All'epoca della scissione delle forze internazionaliste rimarrà con il gruppo attorno a Damen.
Agli altri nomi di compagni che si citano abbiamo accennato brevemente nelle precedenti puntate.
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La crisi della frazione Comunicato della C.E.
“La C.E. davanti al fatto che la minoranza rifiuta di passare la documentazione sulla sua vita politica all’insieme dell’organizzazione, decide di prendere atto della rottura organizzativa prodottasi nel seno della frazione e di affrettare la tenuta del Congresso che sarà esclusivamente riservato al problema spagnolo ed alla crisi della frazione”.
5.XI.36
N.B. – Il Comitato di Coordinazione, benché prevenuto a tempo non ha inviato alcun articolo. Una comunicazione verbale ci ha fatto conoscere che esso sta riesaminando la questione stessa della partecipazione della minoranza al Congresso della frazione.
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Un o.d.g. del Comitato Federale di Parigi
“Di fronte allo svolgersi degli avvenimenti in Ispagna caratterizzati in modo sanguinoso per la classe proletaria, la nostra frazione, conscia del suo ruolo di avanguardia, deve oggi più che mai, presentarsi con la fisionomia propria e questo in modo evidente nella sua stampa, attraverso delle parole d’ordine ben definite e chiare, capaci di portare una reazione in seno alle masse in piena ubriacatura nazionalista.
Di conseguenza la parola d’ordine della diserzione dai fronti militari della Spagna, per la lotta a fondo sul terreno sociale e di classe, va messa in evidenza nel prossimo numero del giornale”.
29.X.36
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Risoluzione
Il gruppo di Marsiglia aveva accettato la decisione della C.E. della frazione per la convocazione del Congresso per discutere, con i compagni in dissidio sulla natura e gli sviluppi della situazione spagnola e la situazione politica generale, per giungere ad una chiarificazione ben netta nell’interesse di classe del proletariato. Dacché la discussione è aperta, si è avuto qualche articolo dei compagni dissidenti che possono essere considerati come uno sforzo verso la chiarificazione ideologica delle posizioni comuniste. Esistono però, pubblicati nei numeri 137, 138 di Prometeo una serie di comunicati del Comitato di Coordinazione o del gruppo di Barcellona, la di cui impostazione politica non lascia dubbi sulla natura delle affermazioni che si ricollegano nettamente con il programma del Fronte Popolare, col solo risultato di disarmare ideologicamente gli operai in tutti i settori capitalisti, per opporre risolutamente al dilemma borghesia-proletariato, quello di fascismo-democrazia.
1. Constatiamo che nell’appello del gruppo di Barcellona del 23 agosto 1936 non esiste nessuna messa in guardia contro la doppia faccia delle milizie, ma si indicano queste come la sola arma di lotta contro la borghesia.
2. Il fatalismo politico consistente a “fidare nello sviluppo degli avvenimenti” che con la loro dinamica potranno creare il partito della rivoluzione, al luogo di porre lo scottante problema sulla base degli elementi reali della situazione politica esistente.
3. Si considera e si afferma che il POUM rappresenta “l’avanguardia rivoluzionaria” al luogo di mettere risolutamente in guardia gli operai spagnoli contro quest’amalgama di opportunisti che particolarmente per la loro fisionomia di partito di “sinistra” hanno ed hanno avuto una funzione specificamente controrivoluzionaria. Il Comitato di Coordinazione esce con il suo primo comunicato e termina con una perla del genere: esso conclude “inviando un saluto fraterno al proletariato spagnolo che, nelle milizie operaie, difende la rivoluzione mondiale”. Qui i compagni confondono la loro intenzione con la realtà della situazione.
Tito, nel suo articolo, dice fra l’altro: “La lotta, pur restando fermamente inserita nei quadri di una competizione di gruppi borghesi, pur traendo pretesto dalla difesa di una repubblica democratica contro la minaccia della dittatura fascista, assurge ora ad un significato più ampio, ad un profondo valore di classe: essa diventa il lievito ed il fermento, il propulsore di una vera guerra sociale”.
Il massimo della coerenza politica viene poi raggiunto dalla dichiarazione che dovrebbe giustificare l’uscita dalle colonne che lottavano per la rivoluzione. I compagni restano fermi sul principio della lotta armata al fronte, però essi se ne vengono e non riconoscono lo stesso diritto al proletariato spagnolo, per quanto affermino che l’armata regolare non è più l’espressione del potere proletario.
Il verbale della riunione della C.E. del 5 c.m. contiene delle dichiarazioni del comp. Candiani che sono di una gravità eccezionale. Lasciamo andare l’attitudine napoleonica: “avevo già pensato di tornare alla fine del mese di ottobre, se il fronte era calmo …” che uccide l’elemento politico ed i suoi rapporti con l’organizzazione. Ma nella situazione grave, disperata in cui i proletari spagnoli mitragliati dai mercenari di Franco e pugnalati alle spalle dal “Fronte Popolare” (Madrid), non potrebbero trovare che una sola via di salvezza disperata, ma unica: l’insurrezione contro i poteri costituiti (governi di collaborazione di classe) nei luoghi non ancora invasi dal fascismo. Il comp. Candiani espone le posizioni di “inserito” nel processo di accerchiamento dei proletari spagnoli. Partigiano del comando unico e della disciplina, ma sulla base di Comitati politici e di soldati, di congressi di combattenti rossi (diretti, agitati ed imposti da chi? Nota del gruppo). Così arriveremmo a creare un embrione di armata rossa. “Noi siamo in una posizione di attesa”. “Se io avessi avuto un partito dietro di me” (quale?).
Tutto questo completato con l’atteggiamento ostile dei compagni del Comitato di Coordinazione la di cui indipendenza organica è ormai un fatto compiuto.
Propone di organizzare questo Congresso il più rapidamente possibile per porre un termine alla gazzarra spettacolosa della discussione su Prometeo ed alle pretese della minoranza (rifiuto di diffusione) metodi degni del baraccone socialdemocratico e centrista.
IL GRUPPO DI MARSIGLIA
ANNESSO. – Il gruppo protesta respingendo la meschina definizione data dal Comitato di Coordinazione nel comunicato pubblicato sul Prometeo n. 138, al problema politico di adesione di operai alla frazione, sul terreno unico dell’arruolamento alle milizie antifasciste. Afferma che per noi, il problema non è quello di restare maggioranza o minoranza. La soluzione consiste nel fissare, senza equivoci, la continuità della lotta esclusiva del proletariato quale classe, contro e al di fuori di ogni confusione di interessi particolari della classe capitalista.
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La crisi odierna ci conduce alla scissione?
La crisi che sta attraversando la nostra frazione, manifestatasi apertamente nella valutazione degli avvenimenti di Spagna è sull’atteggiamento che di fronte ad essi si deve tenere, non è un fenomeno incidentale dovuto al solo fatto del grande eccitamento emotivo che essi hanno, ma, al contrario, questa crisi ha, a mio avviso, origini più lontane e più profonde. Più lontane perché le attuali divergenze, anche se allora non apparvero in piena luce ed in tutta la loro portata, risalgono all’ultimo Congresso della frazione; più profonde perché – come allora – non si trattava di semplici divergenze sulle prospettive, così oggi non si tratta di divergenze tattiche, ma ieri come oggi vi è una rottura brutale con i principi o – per essere più chiaro – le prospettive di ieri e la tattica di oggi mandavano e mandano in frantumi i principi. La questione non può essere posta che così e la risposta all’interrogativo che si trova all’inizio del presente articolo è evidente: la scissione è inevitabile, solo essa risolverà l’attuale dibattito. È increscioso il doverlo dire ma è così a meno che la linea catastrofica verso la quale si avvia quella che impropriamente si chiama rivoluzione spagnola non riduca i compagni della minoranza ad una revisione delle posizioni che ancora oggi essi difendono.
Ad ogni modo, quello che a me preme mettere in rilievo è in fondo questo: esiste una continuità indiscutibile in questi compagni sulla valutazione del ruolo della frazione. Non dimentichiamolo. Al Congresso di settembre essi difendevano più o meno le stesse posizioni e già allora tutte le divergenze si concretizzavano nell’opposizione al documento Giacobbe. Al prossimo Congresso è ancora su tale documento che si dovrà discutere e ci si persuaderà che i compagni della minoranza non hanno bene compreso quale sia il ruolo di una frazione.
È noto che i suddetti compagni hanno pure difeso la tesi di un maggior intervento da parte nostra nelle lotte parziali del proletariato francese e, parlando del movimenti di Brest e di Toulon, insistevano sul fatto che un nostro intervento avrebbe fatto miracoli … Forse ci saremmo sostituiti al partito francese e questo nell’attuale situazione internazionale … Ora, questa tendenza che in quella situazione non poteva esprimersi, negli avvenimenti di Spagna trova il suo sfogatoio e si manifesta in modo aperto.
Se siamo convinti che la nostra frazione diventerà partito – partito italiano operante nella situazione italiana – nelle condizioni storiche indicate nel documento Giacobbe (e non in una situazione reazionaria come qualche compagno della minoranza ha affermato) e, che sul terreno internazionale, compito nostro sarà di aiutare il sorgere di gruppi che siano la garanzia dei partiti di domani, è ovvio che, anche in questa circostanza, la C.E. e la maggioranza si sono mantenute sulla linea fissata dalle tesi fondamentali della frazione, comprese quelle di Roma, e questo non dispiaccia al maremmano. Quindi, la tattica nostra è quella indicata dalle tesi che fissano i compiti nostri di frazione.
Così non pare ai minoritari. Essi propongono nella situazione internazionale [che] non è quella nella quale possiamo divenire partito, delle misure tattiche riattaccandosi alle precedenti del Congresso e rompono attraverso esse con tutto il passato della frazione. E si osservi che è proprio sulla tattica che abbiamo rotto con l’Internazionale!
In breve la partecipazione alle milizie antifasciste di Spagna significa, lo si voglia o no, accettare il fronte unico sulla base antifascista in difesa della repubblica borghese; eppure la questione del fronte unico la sinistra italiana l’ha risoluta da lungo tempo! Ai compagni della minoranza di pronunziarsi in merito.
Questo, a mio avviso, è quello che il prossimo Congresso deve ancora ridiscutere, perché se noi non riuscimo a raggiungere una omogeneità di pensiero sul ruolo della nostra frazione, questa crisi non sarebbe l’ultima. Ed ora qualche considerazione.
In altro articolo della minoranza apparso nell’ultimo numero di “Prometeo”, si torna alla carica con l’affare Kornilov. Ma dimentica, l’autore dell’articolo, che questo è l’argomento principe impiegato contro di noi da centristi e trotskysti per giustificare la loro tattica di fronte unico? Comunque non è male ricordare che quell’episodio si inserisce nella situazione internazionale e russa seguente: siamo alla fine della guerra, ripresa del movimento proletario su scala mondiale ed il proletariato russo spazza lo czarismo. Di fronte al governo provvisorio si erge minacciosa l’organizzazione del Soviet; la frazione bolscevica, trasformatasi in partito, acquista una influenza crescente ed in luglio tenta già l’insurrezione; infine, impotenza della borghesia russa senza esperienza di governo. Quali analogie fra la situazione internazionale e spagnola di oggi e quella russa del 1917?
Questo in linea generale e di principio. In particolare, noterò che, citando dei brani staccati, si può far passare Lenin e lo stesso Marx per dei preti: la cosa non è impossibile. Ma io non lo farò. Cito invece: “Né la presa di Riga, né la presa di Pietrogrado, ci trasformeranno in difensisti. Fino a che non avremo il potere fra le mani saremo per la rivoluzione proletaria”. (Lenin, stessa opera citata dalla minoranza). Ed allora? Uno spirito maligno potrebbe dire che ce n’è per tutti gusti. Ma la realtà è una: le due situazioni non sono le medesime, quindi la si finisca una buona volta con Kornilov.
Credo di essere già stato troppo lungo. Ma siccome quello che a me sembra essere il problema centrale, è appena sfiorato in questo articolo, avrò occasione di ritornarci.
LUCIANO
Prometeo n. 139, 22 novembre 1936