Prometeo n. 139, 22 novembre 1936
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Proseguiamo, e siamo arrivati al n. 14, nella pubblicazione di articoli sulla guerra di Spagna apparsi su Prometeo. Il n. 139 (novembre 1936) del giornale ne contiene molti. Già nel numero scorso ne abbiamo pubblicati alcuni e il prossimo inserimento sarà dedicato alla Discussione in seno alla frazione riportato nello stesso numero del giornale.
Perché non c’è rivoluzione in Ispagna
Basta enunciare le posizioni della nostra frazione verso gli avvenimenti di Spagna perché immediatamente ci si senta rispondere con veemenza: gli operai non hanno forse espropriato le aziende; i contadini non hanno forse espropriato le terre; le chiese non sono forse distrutte. Certo si riconosce che Companys sia sempre al potere e che Caballero è quello stesso che aveva mitragliato gli operai dopo la proclamazione della repubblica. Ma ciò diviene solo accessorio. L’essenziale è la concezione seguente: che sia possibile fare la rivoluzione proletaria senza distruggere lo stato capitalista, ma impadronendosi delle officine ed occupando la terra.
Senza volerci coprire dell’autorità di chicchessia ci sembra tuttavia necessario di mettere in evidenza qualche nozione fondamentale del marxismo la cui negazione significherebbe l’annullamento di tutta l’esperienza accumulata in più di un mezzo secolo di lotte proletarie e che i nostri maestri hanno consacrato nei loro scritti.
Per Marx l’esperienza del 1848 provava già che il compito storico che toccava al proletariato fosse quello di distruggere dalle fondamenta lo stato della borghesia, il suo potere politico. Non si trattava di costruire accanto allo stato una sinagoga di buone intenzioni, sul tipo della Commissione del Luxembourg presieduta da Luigi Blanc. Bisognava distruggere le stato borghese, di là doveva cominciare il potere proletario e non finire. Sulla traccia della Comune di Parigi Marx ha percepito storicamente la nozione della dittatura del proletariato che, in forme molto embrionali, si eleva sui rottami dello stato capitalista ed è solo dopo che il problema della difesa della Comune contro Thiers si porrà nei suoi termini classisti: proletariato contro borghesia.
Lenin resta fedele agli insegnamenti stessi della lotta di classe quando difende con accanimento il punto di vista che i bolscevichi resteranno disfattisti finché il proletariato non avrà preso il potere. L’obiettivo supremo per il partito bolscevico non era di impadronirsi delle officine e di concedere la terra ai contadini ma di fare comprendere alle masse che queste parole d’ordine non potevano avere una consistenza che nella misura in cui il proletariato lottasse per il potere politico.
Cioè che il sovvertimento sociale od economico della società capitalistica non è possibile senza la conquista del potere politico da parte del proletariato.
Ora nessun militante sincero oserebbe dire che gli avvenimenti di Spagna hanno seguito, in modo progressivo, il tracciato della lotta di classe che ci è indicato come il solo che possa condurre gli operai alla vittoria. Certo, per gli anarchici questo problema è semplice: essi negano lo stato e spingono la loro idiozia fino a negare la necessità di distruggere lo stato. Non si tratta più di discutere con essi se necessiti o meno uno stato di transizione dopo la rivoluzione proletaria, si tratta di sapere se si può fare la rivoluzione senza distruggere prima lo stato.
Bisogna essere molto chiari a questo riguardo. A Barcellona gli operai si sono impadroniti delle industrie fondamentali nel momento in cui già le loro organizzazioni patteggiavano con la Generalità. I comitati di officina invece di potere erigersi ad organi della dualità dei poteri, dovevano per questo trasformarsi naturalmente in organi di collaborazione di classe.
Perché ci sia dualità di potere bisogna ameno che i comitati di fabbrica espropriati possano trasformarsi in organismi di classe realizzanti la volontà del proletariato di opporre il suo potere a quello del capitalismo: i Soviet. E bisogna che i Soviet medesimi evolvano sotto l’impulso del partito di classe verso una lotta sempre più accentuata contro la macchina statale del capitalismo che non troverà più in tale situazione la forza di fare funzionare in pieno il suo congegno.
In Catalonia i fatti provano che i comitati di officina si sono legati al Comitato centrale delle milizie anti-fasciste costituitosi non per abbattere il regime capitalista presieduto da Companys ma per trascinare gli operai lontano dalle città verso la lotta contro il fascismo. Nella fase più avanzata della lotta il 12 agosto i comitati di officina saranno allacciati al Consiglio superiore dell’Economia che lo è alla sua volta alla generalità, per assicurare –sulla carta- la realizzazione di un piano economico che avrebbe permesso alla borghesia ed al proletariato di Catalonia d’incamminarsi, a braccetto, verso la realizzazione del … socialismo.
In nessun caso i consigli di officina saranno dunque organi capaci di esprimere un’azione di classe diretta verso la distruzione dello stato capitalista, ma null’altro che esca gettata dalla borghesia per allontanare gli operai da ogni attacco al suo apparato di dominazione. Che cosa importa, in fine dei conti, che un comitato di operai diriga una fabbrica quando questo comitato è legato a sindacati ed al consiglio economico che si trovano incorporati allo Stato borghese. Del resto la realtà apparirà meglio espressa da questo aforisma grossolano: «bisogna anzitutto vincere la guerra contro il fascismo» si aggiungerà certo che bisogna estirpare il fascismo anche sul terreno economico e sociale, ma ciò non sarà compito degli operai che si troveranno al fronte, ma delle organizzazioni repubblicane ed operaie, d’accordo con lo stato capitalista. Concretamente tutto questo vuol dire: i comitati di officina diverranno organismi per attivare la produzione, per impedire agli operai di posare rivendicazioni di classe avanti che il fascismo sia stato battuto.
Evidentemente, per i demagoghi che assimilano rivoluzione a «tumulto», «violenza», «fucilate» e che non vogliono comprendere che una rivoluzione significa l’intervento di una classe che posi con la violenza armata il problema del potere politico, la rivoluzione è bell’e fatta in Ispagna e gli operai, perche lavorano per «loro», devono logicamente accettare il divieto delle lotte rivendicative che farebbero il gioco del fascismo o dell’ «egoismo» dei proletari. Certamente noi respingeremmo questa concezione assurda anche se il proletariato avesse preso il potere in Spagna, ma resta tuttavia il fatto che oggi gli operai debbono accettare la loro militarizzazione nelle officine ed innumerevoli sacrifici nel nome della guerra «antifascista» mentre lo stato capitalista resta sempre in piedi.
Oggi questi problemi sono ancora più elevati perché i consigli di officina sono stati legati al ministero economico della Generalità diretto dall’anarchico Fabregas e che la collettivizzazione delle aziende viene proclamata ufficialmente in un decreto del nuovo gabinetto del sig. Companys.
Affinché l’espropriazione delle officine possa rappresentare una fase della rivoluzione proletaria bisognava farne una fase dell’assalto violento dello stato capitalista. Legare questa espropriazione a questo ultimo significava in fin dei conti farne un elemento del suo rafforzamento di fronte lo scatenarsi delle battaglie del 19 luglio, facilitare la manovra del capitalismo che lasciava non solo gli operai impadronirsi delle fabbriche ma anche distruggere le chiese, a questa sola condizione che lo stato restasse in piedi per potere spingere gli operai verso i massacri sul fronte militare.
E non si tratta di una semplice affermazione quando noi affermiamo che lo stato capitalista resta in piedi in Catalonia. Le banche a cominciare dalla Banca di Spagna sono restate intatte custodite dalle milizie o dalla guardia civile. La guardia d’assalto, la guardia civile sono state semplicemente «epurate» e in questa ultima sovratutto sono stati introdotti elementi anarchici. La polizia è stata pure «epurata» ma la istituzione è restata in piedi mentre tanto a Barcellona come a Madrid le sezioni di vigilanza e di investigazione dei differenti partiti sono state ingranate ad essa.
Così gli istrumenti della repressione capitalista sono stati tutt’al più epurati ma per nulla distrutti. Possiamo anche aggiungere che mentre la parola d’ordine centrale dei vari partiti era «tutte le armi al fronte», «disarmo dei militi che restano nelle città», la guardia di assalto di Barcellona è stata riorganizzata ed armata con gli ultimi mezzi tecnici.
Finalmente, per quanto concerne il problema agrario, possiamo osservare che se fosse vera l’affermazione corrente che sia stata realizzata la rivoluzione nell’agricoltura bisognerebbe ancora provare che il centro dell’evoluzione del capitalismo si trovi là e non nelle città dove lo stato capitalista si va invece rafforzando. Ma se esaminiamo un po’ da vicino risulta che tutte le innovazioni si limitano a questo: i piccoli proprietari sono stati liberati da una parte degli oneri mentre tutte le organizzazioni in pieno accordo con la Generalità hanno proclamato che rispetterebbero la piccola proprietà. Solo le grandi proprietà appartenenti a dei fascisti saranno collettivizzate. Finalmente differenti attività agricole sono state sindacalizzate obbligatoriamente: vendita dei prodotti, compra di materiale, ecc., ecc. Misure tutte che non sono la negazione del sistema capitalista. Del resto dove il problema agrario si pone più acuto come in Estremadura a Salamanca o in Andalusia è stato Franco a risolverlo col massacro dei contadini.
Queste considerazioni ci permettono dunque di concludere che la rivoluzione proletaria è ancora da farsi in Ispagna e fin dall’inizio.
Oggi è il capitalismo che trionfa gettando i contrasti di classe della sua società nel vortice della guerra.
Dove si trovano i plotoni di esecuzione degli operai spagnoli?
Quotidianamente numerosi proletari cadono nella lotta in Ispagna alimentata dalle munizioni «italo-tedesche» o «franco-russe» e da ogni altro materiale bellico. La demagogia più immonda e più cinica è adoperata per gettare nella fornace centinaia di operai rivoluzionari degli altri paesi che, oltre al sacrificio della loro vita, dovrebbero incoraggiare i proletari di Spagna a persistere in una via di cui ogni passo costa la vita a innumerevoli sfruttati.
Come non reagire con forza e decisione davanti una simile situazione? Come frenare la propria indignazione davanti alla sinistra messa in scena dell’ «aiuto alla rivoluzione spagnola?».
La nostra frazione si è sforzata di strappare i veti che coprono questa tragica impostura. Lo ha fatto senza retrocedere neppure davanti l’eventualità della scissione con elementi che non hanno compreso che il loro «intervenzionismo» equivaleva a quello dell’agosto del 1914. Si tratta ora di proseguire la lotta a fondo contro tutte le deviazioni, le illusioni smascherando traditori ed opportunisti di ogni risma che ingannano ed accecano le masse operaie.
Già dalla fine di luglio, da quando cioè il fronte dell’ «antifascismo» ebbe spezzato le reni allo sciopero generale degli operai di Barcellona, di Madrid, di Valenza, fu chiaro che il suo successo dipendeva da due cause:
1°) Avanti il 19 luglio tutte le organizzazioni operaie –compresa la C.N.T. ed il P.O.U.M.- consideravano i governi del Fronte Popolare e della Generalità come degli alleati. Ciò è talmente vero che il 17 luglio esse si recarono alla sede del governo per domandare armi contro Franco, mentre nessuno pensò a lanciare un appello agli operai per invitarli a scendere nelle strade. In tali condizioni uno sciopero generale inscenato spontaneamente dai lavoratori non aveva possibilità di sviluppo rivoluzionario che riuscendo a mettere i lavoratori contro le proprie organizzazioni che facevano da diga allo stato capitalista «antifascista». Per colpire Companys gli operai di Barcellona avrebbero dovuto avere la forza di sbarazzarsi dei suoi alleati che non erano solamente i social-centristi, ma anche il P.O.U.M. e la C.N.T.
2°) Ponendo gli operai davanti la necessità d’abbattere il fascismo prima di toccare allo stato capitalista, l’unico mezzo corrispondente alla situazione era la organizzazione di colonne di militi e l’adeguare il ritmo dell’economia capitalista alle esigenze della guerra.
Questi due punti ci permettono di comprendere perché sia stato così facile spostare le battaglie avvampate nel luglio nelle strade di Barcellona, di Valenza, di Madrid, di Saragozza, di Siviglia sul terreno della lotta militare e sovratutto perché lo sviluppo della battaglia militare abbia dovuto seguire una logica propria e non le previsioni dei Don Chisciotte del P.O.U.M. e della C.N.T.
Si voleva battere il fascismo senza intaccare il sacrosanto stato capitalista; bisognò allora dire agli operai di Barcellona: ora che avete schiacciato i militari nelle città dovete cessare lo sciopero e o rientrare nell’officina o recarvi al fronte. La lotta sociale è terminata per voi, mentre tocca a noi, alle vostre organizzazioni di realizzare i passi decisivi verso il socialismo d’accordo… con i borghesi della Generalità. Voi gli sfruttati e gli ingannati di tutti i secoli, voi difenderete la nostra fornicazione con la borghesia sacrificando la vostra vita al fronte. Ed il capitalismo è restato dappertutto al potere. A Madrid si è dato una fisionomia «rivoluzionaria» con i Caballero, a Barcellona incorporandosi gli anarchici e il P.O.U.M.
I massacri si sono succeduti ai massacri, i tradimenti ai tradimenti. Ogni volta la soluzione fu trovata nella duplice direzione: rimpastare i ministeri facendoli scivolare sempre più «a sinistra» e rinserrare il cappio della disciplina militare al collo degli operai. Il due agosto gli anarchici dicevano ancora con veemenza: noi non vogliamo essere dei soldati, ma solamente dei militi del popolo. Il POUM insisteva sulla formazione di un esercito rosso come se questo fosse concepibile senza la presa del potere da parte del proletariato. Il 15 settembre il plenum di Madrid della C.N.T. sanciva la volontà della C.N.T. di partecipare al un «Consiglio» con la U.G.T. Caballero ed i repubblicani accettando la costituzione di milizie di guerra a carattere obbligatorio.
Che cosa si è verificato nel frattempo? La caduta di Irun, di San Sebastiano e l’avanzata dei fascisti verso Madrid. Mentre sempre più chiaro si avverava che i Caballero e compari repubblicani conducevano le colonne verso il loro destino: il massacro senza uscita per gli operai ecco la C.N.T. [che] si integrava nel ministero, previo semplice cambiamento di nome, ed accettava la creazione di contro all’esercito regolare di Franco di un esercito regolare della repubblica. E poiché si trattava di due eserciti destinati al soffocamento dei contrasti di classe della società capitalistica tutti e due dovevano ricorrere a mezzi che permettessero loro d’inquadrare operai e contadini, mezzi che andavano dalla mobilitazione ideologica alla più dura coercizione disciplinare.
In un primo momento bisognava dare l’impressione agli operai che lottavano per la rivoluzione per la rivoluzione socialista se marciavano dietro al fronte «antifascista». Quando poi i fiumi di sangue hanno cominciato ad aprire gli occhi a molti operai si è ricorso alla disciplina militare e al ristabilimento della leva delle classi.
La militarizzazione delle milizie ha tuttavia servito a chiarire la natura della lotta che oggi si combatte in Ispagna: si sa ora che la lotta delle classi è bandita e che si tratta di due eserciti che combattono tutti e due per il trionfo della dominazione capitalista: E come durante la guerra imperialista un vero rivoluzionario deve essere contro ogni intervento così in Ispana bisogna lottare per far rivivere la lotta di classe e praticare conseguentemente il disfattismo il più completo finché il capitalismo non sia rovesciato ed il proletariato non abbia preso il potere. Non vi può essere via di mezzo in questo problema ma due punti estremi che non sono in realtà che l’opposizione brutale ed intransigente che separa il proletariato dalla borghesia.
La nostra frazione chiama i lavoratori stranieri a fare della militarizzazione delle colonne in Ispagna il segnale dell’abbandono delle legioni «Garibaldi», «De Rosa», «Lenin» al fine di dare col loro atto un avvertimento agli operai spagnoli perché essi pure tentino di ritrovare il cammino della lotta contro la borghesia mettendosi in una via su cui il minimo sacrificio varrà mille volte più che le ecatombi che si accumulano davanti a Huesca, Saragozza e Madrid. E i proletari non si spaventino se i traditori grideranno loro, levando ipocritamente le braccia al cielo: voi fate il gioco di Franco. E’ pertanto la sola via che avrebbe potuto condurre i lavoratori alla vittoria contro il fascismo.
All’organizzazione delle milizie partenti per il fronte per abbattere Franco bisognava opporre la lotta di classe, la lotta armata quando le circostanze lo permettevano, per abbattere da principio ed avanti tutto il potere del capitalismo nelle città e nelle campagne. Solo allora, e solamente allora, il proletariato avrebbe potuto creare le sue legioni che avrebbero abbattuto Franco scatenando in tutta la Spagna la battaglia di classe.
Dal momento in cui i proletari sono stati gettati sull’altra via, quella della collaborazione con la borghesia, essi ne hanno pagato il terribile scotto. Essi sono stati scacciati violentemente dal loro terreno di classe e mantenuti sui fronti, le catastrofi si sono susseguite alle catastrofi. Ed ogni istante si parlerà di tradimento, della necessità di rafforzare la disciplina, del dovere di «vincere o di morire». Gli anarchici diverranno i compari di Caballero nel ministero di Madrid per ottenere più disciplina ed impedire agli operai di interrogar se stessi sulla natura della loro lotta e di domandarsi perché malgrado il loro numero ed il loro eroismo sempre sono sconfitti e massacrati.
Quelli che preparano il letto al fascismo sono proprio i coccodrilli dell’ «antifascismo» che valorizzano l’idea che si possa schiacciare il fascismo senza scatenare un attacco di classe, ed unicamente di classe, contro l’apparato capitalista. Colpire Companys, distruggere lo stato di Catalonia, significa al tempo stesso disgregare il fronte interno di Franco ed in definitiva colpire Franco. Sostenere Companys significa sostenere il sistema capitalista e preparare attraverso i tradimenti militari inevitabili lo schiacciamento degli operai e la vittoria finale di Franco.
E se anche per un miracolo che ci pare oggi impossibile il Fronte Popolare dovesse finir col vincere, non bisogna farsi illusioni che ci sarebbe gran cosa di cambiato. Gli operai sarebbero legati allo stato capitalista e questo ultimo, con alla testa gli stessi «rivoluzionari» di oggi, non avrebbero scrupolo alcuno di massacrarli alla prima minaccia rivoluzionaria contro il regime borghese.
Prometeo n. 139, 22 novembre 1936